Il dibattito sulla vaccinazione di massa anti-covid nelle Filippine

Con l’uscita di scena di Rodrigo Duterte, che si è ritirato a quanto pare proprio a causa del crollo nei consensi dopo aver tentato di utilizzare i suoi metodi autoritari anche per la campagna di vaccinazione (minacciando di mettere i non vaccinati agli arresti domiciliari o di far iniettare ai contagiati “ivermectina per maiali”), nelle Filippine il dibattito sui vaccini è in stallo.

Attualmente (fine settembre 2021) il numero di vaccinati con doppia dose si aggira attorno al 20% (25 milioni, metà dei quali nella regione di Manila, su una popolazione di 109 milioni), segno che i filippini non sembrano molto convinti delle virtù dei “sieri salvavita”.


Da una parte, è ancora viva nella memoria la disastrosa campagna di immunizzazione anti-dengue del 2017 tramite vaccino Sanofi, che ha portato a centinaia di decessi sospetti, specialmente tra i bambini, oltre che un aumento dei casi (a quanto pare iatrogeni).

Dall’altra, è sorta una spaccatura all’interno del mondo cattolico nazionale, con il dissidio tra la “base” e la gerarchia che questa estate ha costretto l’arcivescovo di Cebu, Jose Palma, a intervenire per ammonire i sacerdoti a non usare il pulpito nella loro “campagna personale” contro il programma di vaccinazione.

Pur rispettando le opinioni personali dei sacerdoti, mons. Palma ha ricordato loro che il pulpito deve essere utilizzato solo per predicare gli insegnamenti ufficiali della Chiesa cattolica. Questo, ha aggiunto, significa che l’omelia deve condividere la riflessione o il messaggio della Chiesa in generale anche se, a volte, è in contrasto con le opinioni personali del sacerdote stesso. “E la Chiesa raccomanda la vaccinazione”, ha concluso l’arcivescovo.

I sospetti dei cattolici filippini vertono soprattutto sull’utilizzo di cellule di feti abortiti per fabbricare i vaccini. A tal proposito, a rassicurare i fedeli è intervenuto nella discussione il padre domenicano Nicanor Austriaco, teologo e biologo (laureato al MIT e docente presso il Providence College nel Rhode Island), attualmente in anno sabbatico per sviluppare un vaccino a basso costo per il suo Paese d’origine.

Il teologo-biologo alla tv nazionale filippina ha stigmatizzato l’atteggiamento dei cattolici americani nei confronti del vaccino e se l’è in particolare presa con i vescovi statunitensi che hanno condannato l’utilizzo di cellule di feti abortiti sia nei test che nella produzione del nuovo vaccino Johnson&Johnson, affermando che comunque questo fatto non dovrebbe impedire a un cattolico di sottoporsi alla vaccinazione.

Padre Austriaco ha affermato che la linea cellulare utilizzata per lo studio e la produzione di vaccini si chiama HEK-239, derivata da un feto abortito nei Paesi Bassi nel 1973. All’epoca, ha detto, l’aborto era ancora illegale nei Paesi Bassi, ed è del tutto possibile che il tipo di aborto coinvolto fosse spontaneo oppure “terapeutico”, eseguito per salvare la vita della madre. Questo, a suo parere, potrebbe escludere il coinvolgimento di un male morale nella realizzazione del siero.

Pur esprimendosi perciò favorevolmente alla vaccinazione di massa (perché “i vaccini sono un dono Dio” e “faranno finire la pandemia”), il domenicano ha portato a esempio due casi ipotetici, quello di un single di 29 anni che vive da solo e presenta un rischio minimo di infettare gli altri e rifiuta quindi il vaccino per una “testimonianza profetica” contro l’aborto, e quello di un altro che, lavorando in una casa di cura dove alcuni ospiti non possono essere vaccinati, decide di farsi il siero. Entrambi, ha detto, avrebbero fatto scelte del tutto virtuose.

In conclusione, sembra che almeno nelle Filippine il mondo cattolico trovi più difficoltà a sposare completamente la linea governativa pro-vaccini. Uno scenario decisamente diverso rispetto a quello di un Paese anch’esso tradizionalmente cattolico come il nostro, dove invece l’idea del Green Pass è stata attivamente supportata da vescovi e diocesi (oltre che dal “vescovo di Roma” stesso), che lo hanno imposto surrettiziamente a preti, catechisti e, nel caso di Milano, persino seminaristi.

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