Il buon Christopher Othen, storico di razza di origine britannica, ha dedicato anni fa un articolo fondamentale riguardante l’omicidio del giovane Bohdan, figlio del politico polacco (ex fascista e poi comunista) Bolesław Piasecki (1915-1979), rapito e ucciso nel 1957 in circostanze -scusate la formula banale- ancora avvolte nel mistero (A Kidnapping In Poland, 2 dicembre 2016).
La vicenda sembra ormai lontana nel tempo, tuttavia non posso fare a meno di ripensarci ogni volta che mi imbatto in qualche caso di cronaca di recente accadimento, per i quali né le colossali mappature di DNA, né le indagini senza quartiere o i processi interminabili, sono riusciti a condurre a verdetti privi di ombre.
Prima di parlare del caso in sé, è obbligatorio introdurre la figura di Bolesław Piasecki, uno dei personaggi più controversi della Polonia sovietica, dalla cui biografia spicca immediatamente il passaggio di campo, da una militanza falangista e un aperto antisemitismo (lo so, da quelle parte poco ci vuole, ma vedrete che è un dato importante) alla “conversione” dovuta alla zelante custodia degli sgherri dell’NKVD, che lo trasformò in uno dei più ferventi sostenitori della “comunistizzazione” del cattolicesimo polacco.
Nel 1945 Piasecki fondò il movimento cattolico filo-governativo Pax, il quale appunto propugnava l’idea di una “Chiesa patriottica” e tra le altre cose aveva il compito di passare informazioni alla polizia segreta sui cattolici europei e il Vaticano.
Per qualche tempo in Pax militò anche Tadeusz Mazowiecki, che poi lasciò in contrasto con la linea di Piasecki e in seguito divenne uno dei fondatori di Solidarność. Anche in Vaticano era noto l’opportunismo di Piasecki, tanto è vero che il suo libro Zagadnienia istotne (“Questioni rilevanti”) e la rivista del Pax Dziś i Jutro (“Oggi e Domani”) vennero messi all’Indice nel 1955.
L’antisemitismo di Piasecki riemerse poi quando egli si schierò dalla parte della fazione stalinista Natolińczycy (dal nome del quartiere di Varsavia, Natolin, dove si svolgevano gli incontri), in seguito sbaragliata dagli eventi, per attaccare il gruppo di intellettuali miglioristi Puławianie (dalla via Puławska, sempre nella capitale polacca, dove invece si ritrovavano loro), che a suo parere faceva parte di un complotto giudaico contro il comunismo. Inoltre, Piasecki sostenne la campagna antisemita organizzata nel 1968 dal generale Mieczysław Moczar, che propugnava l’epurazione dal governo di elementi appartenenti all'”infiltrazione sionista”.
Il miscuglio ideologico di nazionalismo, cattolicesimo patriottico e stalinismo propugnato da Piasecki per certi versi fa di lui il primo rappresentante del cosiddetto “rossobrunismo”, come testimoniano i suoi stessi studiosi (cfr. M. Kunicki, The Red and the Brown: Bolesław Piasecki…, “East European Politics and Societies” 1 maggio 2005)
Così ne parla Thomas Molnar in Vero e falso dialogo (Borla, Torino, 1968, pp. 156-158), inquadrandone il ruolo nel più ampio contesto del controllo di regime sulla Chiesa polacca:
«Coloro che non osano manifestare il proprio dissenso [per le persecuzioni dei regimi comunisti], sono chiamati a far parte di una Chiesa nazionale “patriottica”, sotto una gerarchia che gode la fiducia del partito comunista. Questa “gerarchia”, reclutata con l’intimidazione o la corruzione, esiste ed esercita i suoi poteri con il consenso dei suoi “padroni”. Così i membri della gerarchia sono non soltanto obbedienti esecutori della politica comunista all’interno della loro Chiesa da burla, ma sono anche spie del governo comunista, obbligati a denunciare chiunque in questa “Chiesa nazionale” volesse seguire una linea di condotta più indipendente. La delegazione dei vescovi ungheresi al Concilio era, per esempio, sotto la continua sorveglianza di alcuni preti, che facevano parte anch’essi della delegazione.
[…] La maggior parte di queste false Chiese oggi esistenti si trova in Polonia. A rigor di termini, non è una Chiesa, ma un movimento detto Pax, diretto da un noto informatore della polizia segreta, Bolesław Piasecki. Ex nazista, fu reclutato dopo la guerra dal generale sovietico della NKVD, Ivan Serov, che gli promise di sottrarlo alla pena capitale in cambio del suo aiuto per minare la Chiesa polacca, incrollabile ostacolo alla “comunistizzazione” del Paese.
Il movimento Pax ha avuto due funzioni: l’indebolimento della Chiesa polacca per mezzo della tecnica già descritta, e la sovversione dei cattolici francesi ai quali i polacchi sono sempre stati particolarmente legati da vincoli stretti di fiducia. Il piano globale era dimostrare agli intellettuali cattolici francesi, i più vicini al marxismo e i più influenti nella cristianità, che il cristianesimo è compatibile con il comunismo e che il futuro della religione dipende, comunque, dal suo modo di comportarsi sotto i regimi comunisti.
[…] Zenon Kliszko, vicepresidente del Parlamento polacco, inviato al concilio personalmente dal segretario del partito, Gomulka, dichiarò a Roma che l’obiettivo supremo del partito è sempre la sistematica repressione del clericalismo e una laicizzazione totale. […] Dopo che gli intellettuali della Chiesa erano stati impressionati a dovere da questo parlar chiaro, Gomulka inviò a Roma Piasecki, il quale dichiarò che la sola alternativa rimasta ai cattolici polacchi era l’arruolamento nel Pax o l’eliminazione totale».
Considerazioni storiche e politiche a parte, veniamo allo sventurato Bohdan. Il ragazzo venne rapito il 22 gennaio 1957 all’uscita dal Liceo Sant’Agostino, un istituto che aveva forti legami col Pax. Il suo corpo venne ritrovato l’8 dicembre 1958. Il movente non è ancora chiaro (una vendetta contro il padre oppure un rapimento a scopo di estorsione, dato che Piasecki era uno degli uomini più ricchi del Paese), così come i responsabili: la Wikipedia polacca (Zabójstwo Bohdana Piaseckiego) riporta anche le ipotesi della “pista giudaica” (riferendosi alle ricerche dei più importanti storici polacchi contemporanei, come Peter Raina, Jan Żaryn e Jan Engelgard, nonché del politologo Antoni Dudek), una punizione per il passato fascista di Piasecki o un complotto di alcuni funzionari ebrei di basso rango del Ministero di Pubblica Sicurezza.
Christopher Othen con ancora più coraggio, evoca la figura di Ignacy Ekerling, il tassista che guidava il veicolo utilizzato per rapire Bohdan il 22 gennaio 1957 e che affermò di non conoscere i rapitori (due uomini dei quali si era limitato a seguire le istruzioni). Il personaggio va citato perché, oltre a essere di origini semite, collaborava occasionalmente con la polizia segreta come informatore e aveva anche agganci con la mafia ebraica di Varsavia. Per non dire che a un certo punto tentò di emigrare in Israele, ma fu fermato dalle autorità polacche (comportamento sospetto se tuttavia non si valuta il fatto, come ricorda Othen, che all’epoca l’accordo tra Polonia e Stato ebraico favorì l’emigrazione di molti ebrei).
Il settimanale polacco Polityka (Bez litości, 4 novembre 2009) ha riportato stralci da un articolo di un quotidiano israeliano (Maariw) del 13 marzo 1966, intitolato Gli assassini del figlio di un politico polacco vivono in Israele. Il suo autore scrive che Piasecki era odiato dagli ebrei polacchi e che la morte di suo figlio era un modo per “vendicare le vittime dell’olocausto”.
«Bolesław Piasecki avrebbe ricevuto una lettera dal generale Moczar per informarlo che avrebbe ripreso le indagini sull’omicidio del figlio e le avrebbe allargate su due ebrei che precedentemente lavoravano come autisti per i servizi segreti polacchi. […] Subito dopo l’omicidio, gli assassini hanno lasciato la Polonia per recarsi in Israele. L’estradizione non è prevista, perché in base al diritto internazionale non vale per i delitti politici».
Ad ogni modo, lo storico britannico conclude avanzando i principali sospetti: la pista criminale (non si può escludere che sia stato un rapimento a scopo di riscatto, nonostante l’uccisione della vittima, dal momento che Piasecki era uno dei politici più benestanti del Paese); regolamenti di conti interno al regime, sia di stampo “liberale” (avversione allo stalinismo di Piasecki che si era avvicinato a Gomułka) che “consevatore” (alcune fonti suggeriscono che a Piasecki fu chiesto di spiare Gomułka per Krusciov, ma egli rifiutò, facendo così apparire il rapimento come una rappresaglia, nonché un tentativo di dissuadere il Segretario dalle spinte “indipendentiste” verso il Cremlino); vendetta da parte della comunità ebraica (di questo si è già discusso).
Infine, lo stesso Piasecki avrebbe di volta in volta suggerito ognuna di queste piste, puntando però in altre occasioni il dito contro i disertori della PAX o i dissidenti anticomunisti. Ciò che è certo è le indagini non giunsero a nessuna conclusione, nonostante l’inchiesta sia durata 25 anni e abbia coinvolto 160.000 persone tra interrogatori, intercettazioni e arresti. I colpevoli mancano ancora, forse per sempre.