Japan to pay firms to leave China, relocate production elsewhere as part of coronavirus stimulus
(South China Morning Post, 9 aprile 2020)
Più di due miliardi di dollari per aiutare le aziende a “rilocalizzare” la produzione dalla Cina al Giappone. L’iniziativa irrompe durante i tentativi di stringere rapporti più amichevoli tra i due Paesi, prima che la pandemia colpisse il mondo
Il Giappone ha stanziato oltre due miliardi di dollari del suo pacchetto da record di stimolo economico per invogliare le proprie aziende a riportare la produzione in patria, con la motivazione che il coronavirus ha interrotto le catene di approvvigionamento tra partner commerciali.
Il budget aggiuntivo, atto a compensare gli effetti devastanti della pandemia, include 220 miliardi di yen (2 miliardi di dollari) per le aziende che riportano la produzione in Giappone e 23 miliardi e mezzo di yen (200 milioni di dollari) per coloro che vogliono “rilocalizzare” la produzione da altri Paesi.
L’iniziativa irrompe in un periodo che avrebbe dovuto essere all’insegna di una rinnovata amicizia tra i due colossi asiatici. Il presidente cinese Xi Jinping avrebbe dovuto recarsi a Tokyo all’inizio di aprile, ma quella che sarebbe stata la prima visita ufficiale in un decennio è stata ovviamente rinviata “a data da destinarsi”.
In circostanze normali la Cina sarebbe il principale partner commerciale del Giappone, ma le importazioni da Pechino sono crollate di quasi la metà a febbraio quando il coronavirus ha costretto alla chiusura le fabbriche, lasciando i produttori giapponesi a secco di componenti indispensabili.
Ciò ha rinnovato il dibattito sull’urgenza, da parte delle aziende nipponiche, di ridurre la loro dipendenza dalla Cina dal punto di vista del manifatturiero. Lo scorso marzo il governo stesso ha discusso della necessità di riportare in Giappone la produzione di prodotti ad alto valore aggiunto e di diversificare la produzione di altri beni nel sud-est asiatico attraverso investimenti mirati.
“Ci sarà qualche cambiamento”, ha affermato Shinichi Seki, economista del Japan Research Institute, aggiungendo che alcune società giapponesi che fabbricano merci in Cina per l’esportazione stavano già prendendo in considerazione l’idea di trasferirsi: “L’incentivo economico fornirà sicuramente un motivo in più”.
Il Giappone esporta in Cina una quota molto più ampia di componenti e merci parzialmente finite rispetto alle altre principali nazioni industriali, secondo uno studio commissionato dal governo. Un sondaggio condotto a febbraio dal Tokyo Shoko Research ha rilevato che il 37% delle oltre 2.600 aziende campionate stavano spostando la produzione dalla Cina per la crisi del coronavirus.
Resta da vedere come la politica influenzerà i tentativi di Shinzo Abe di ripristinare le relazioni con Pechino. “Stiamo facendo del nostro meglio per rilanciare l’economia”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian intervistato sull’iniziativa di Tokyo. “Ci auguriamo che altri paesi agiscano come la Cina e prendano misure adeguate per garantire che l’economia mondiale e le catene di approvvigionamento ne escano danneggiate il meno possibile”.
Le fasi iniziali dell’epidemia di Covid-19 in Cina sembravano aver riscaldato i rapporti solitamente freddi tra i due Paesi: il Giappone ha infatti inviato maschere e indumenti protettivi, accompagnando le spedizioni con versi di qualche poesia cinese tradizionale, ricevendo il plauso da Pechino, che per tutta risposta ha ammesso l’Avigan, un antivirale prodotto dalla Fujifilm Holdings, tra i trattamenti efficaci per il coronavirus, nonostante il medicinale non sia ancora approvato ufficialmente dalle stesse autorità sanitarie nipponiche.
Eppure molti giapponesi sono inclini a incolpare sia Pechino per la mala gestione delle prime fasi dell’epidemia che Abe per non aver bloccato prima gli ingressi dalla Cina. Nel corso degli ultimi anni altre questioni hanno profondamente diviso i due vicini, come per esempio la disputa territoriale sulle isole del Mar Cinese Orientale che li hanno portati quasi allo scontro militare nel 2013. Anche durante la crisi del coronavirus le navi cinesi hanno continuato a pattugliare le isole amministrate dai giapponesi, che hanno denunciato l’ingresso di quattro di esse in quelle che considerano proprie acque territoriali.