Dopo le dimissioni dal comitato olimpico giapponese dell’ex primo ministro Yoshirō Mori, “reo” di aver affermato che lavorare con le donne è impossibile perché parlano continuamente, rimpiazzato dalla ministra per lo sport Seiko Hashimoto, nella terra del Sol Levante è scoppiato un altro “scandalo” riguardo al presunto maschilismo nazionale.
Il leader del Partito Liberal Democratico, formazione di stampo conservatore della quale fa parte anche Shinzō Abe e che ha segnato la vita politica del Paese nel dopoguerra, l’82enne Toshihiro Nikai, ha infatti deciso di aprire le riunione di partito alle donne su sollecitazione di un gruppo di deputate che desideravano partecipare più attivante alle decisione della formazione.
L’unica clausola posta dall’anziano segretario è che “le donne stessero zitte”. Le cinque deputate ammesse al consesso sono state dunque invitate a tenere la bocca chiusa mentre parlano gli uomini, ed eventualmente esporre le loro opinioni in un secondo momento alla segreteria del Partito.
L’intento di Nikai era quello di “portare una prospettiva femminile” alle riunioni dei vertici di partito. Un’iniziativa lodevole dunque, purtroppo rovinata come al solito dall’incontentabilità delle d-parola. E che ora rischia di riportare i rapporti tra uomini e donne ai tempi della famigerata “incomunicabilità antoniana”.
Come ha appunto notato un autorevole commentatore, “l’idea giapponese di includere le donne nelle riunioni di partito ma senza diritto di parola è intrigante ma pericolosissima”, perché “riabitua la donna alla pratica del mutismo, alla tattica dell’insondabilità delle sue intenzioni, base della manipolazione del maschio etero”.
Il Giappone dunque tenta ancora di difendere la sua convinzione che lo Spirito debba essere privilegiato rispetto alla Storia, ma il prezzo per la resistenza diventa sempre più alto: sarà questo popolo ancora pronto a votarsi alla tragedia, a dare allo Spirito l’effusione di sangue da Esso reclamata?