Se una qualsiasi iniziativa politica di Andrea Giambruno dovesse passare alla storia, essa potrebbe assumere un nome pittoresco e cringe sulla scorta di quelli delle rivoluzioni colorate che hanno preso a emblema garofani, tulipani, rose, gelsomini (più il fiore è ghei più il golpe è filo-occidentale) o “noci di cocco” (Papua Nuova Guinea), jeans (Bielorussia) e il mese di febbraio (Paraguay).
Lo scopo principale di un immaginario Golpe di San Valentino in verità sarebbe soltanto quello di imporre in Italia una dittatura dell’amore, che sarebbe preferibile instaurarsi nelle forme discrete e impalpabili di un golpe branco (sic), in modo che le nostre idee si imponga come dato di fatto attraverso la suggestione, la propaganda e il ricatto psicologico, piuttosto che con le marcette, i gonfaloni e le cannonate.
Tuttavia sarebbe pacifica l’emersione di qualche difficoltà nell’introdurre una dittatura di tal fatta, intesa naturalmente come il più spietato dei regimi, in modo pacifico e subliminale. Finora la descrizione più realistica dell’organizzazione sociale che scaturirebbe da un ipotetico Golpe di San Valentino è rintracciabile in un componimento di tale Morten Søndergaard, De forelskede (“Gli innamorati”). Sì, per i danesi questa sarebbe poesia (qui si può anche apprezzare l’entusiasmante interpretazione dell’Autore stesso).
DE FORELSKEDE
Jeg vågner i et land hvor de forelskede har taget magten. Der er indført love som proklamerer at ingen længere er nødsaget til at flytte blikket eller at orgasmer behøver at holde op. Roser fungerer som betalingsmiddler, de gale bliver tilbedt som guder og guderne anset for gale. Postvæsnet er genindført og ordene ‘du’ og ‘jeg’ er synonymer. Efter revolutionen bliver det bestemt at de ulykkeligt forelskede skal fjernes af hensyn til de lykkeligt forelskedes sikkerhed. Da de finder frem til mig, overgiver jeg mig med det samme. Bødlen er en kvinde og det går hurtigt. Det er vinter og jeg har ikke mødt dig endnu.
Per toglierle l’eccesiva legnosità, l’ho volta in versi:
Gli innamorati
Mi risveglio in un paese
dove gli amanti
han preso il potere.
Le loro leggi proclamano
che nessuno distolga
più lo sguardo dall’altro
e che gli orgasmi
non abbiano mai fine.
Le rose servono da moneta,
i folli son venerati come dèi
e gli dèi son creduti folli.
Hanno ripristinato il servizio postale
e le parole “tu” e “io” ora sono sinonimi.
Dopo la rivoluzione
è stato decretato
che ogni cuor spezzato
venga eliminato
per ragion di Stato,
a salvaguardia
di chi è innamorato.
Quando mi troveranno,
mi arrenderò all’istante.
Il boia è una donna
e la cosa è presto fatta.
È inverno e non ti ho ancora
incontrata.
Questo immaginario “Paese degli innamorati” mi evoca il “Paese delle Rose” (Gülistan’dan) con cui i turchi indicano il roseto, aggiungendo al sostantivo “rosa” (gül) il suffisso -stan che come è risaputo indica lo “stare”, cioè lo Stato, il risiedere in un dato territorio.
Si sa che in guerra e in amore tutto è lecito, perciò l’idea di un Paese governato dall’unica Legge dell’Amore risulta già di per sé un paradosso; sarebbe altresì sgradevole scoprire che magari un poeta sufi aveva già magnificato il “Paese delle Rose” secondo la propria sensibilità artistica e/o religiosa, senza dimenticare i precedenti illustri della nostra tradizione, come L’Isola dei Baci di Marinetti e Corra (nel quale un gruppo di pederasti riuniti in una “Internazionale Fisiologica” vorrebbe instaurare il regno della bellezza a Capri al grido di “Raffinati di tutto il mondo unitevi!”), che temo finirebbero per divenire il modello definitivo della nostra “Reggenza di San Valentino”.