Un trafiletto di oltre cinquant’anni fa mi ricorda non solo che oggi 30 novembre è Sant’Andrea, ma che a 900 anni di distanza dal Grande Scisma nel 1954 Paolo VI e Atenagora di Costantinopoli si incontrarono a Gerusalemme per revocare le reciproche scomuniche.
Papa Montini considerò una fortuna poter abbracciare, dopo secoli, il Patriarca ortodosso e pregare, come dice il trafiletto di sopra, per «le Chiese lontane e pur tanto vicine, le Chiese delle nostre lacrime e della nostra nostalgia». Anche le parole di Atenagora, rilette oggi, hanno la stessa carica profetica: «Guai se i popoli raggiungessero un giorno l’unione al di fuori delle strutture e della teologia della Chiesa».
Tra gli atti di altissima importanza simbolica, appunto la restituzione di un mignolo e di parte della testa di Sant’Andrea all’antico reliquiario bizantino di Patrasso, che tutt’oggi le custodisce mostrandole ai fedeli esclusivamente in occasione della ricorrenza.
Oggi la situazione è più complessa perché, nonostante i media internazionali (soprattutto quelli italiani) non se ne siano accorti, all’interno della Chiesa ortodossa si è consumato un vero e proprio scisma, per motivi prettamente geopolitici.
In sostanza, il patriarca ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli ha concesso l’autocefalia al Patriarcato di Kiev Filarete Denisenko (scomunicato da Mosca), costringendo il 15 ottobre la Chiesa ortodossa russa a proclamare apertamente l’impossibilità della “comunione eucaristica col patriarcato di Costantinopoli”.
Storia deprimente, ma forse non così tragica come potrebbe sembrare all’apparenza, se pensiamo al precedente dell’Estonia (non molto lontano) e la possibilità di una dinamica simile: riconoscimento autocefalia > scisma > contenzioso > accordo.
Dunque solo la classica tempesta in un bicchiere d’acqua? Può darsi: certo sarebbe paradossale che mentre Mosca cerca la pax religiosa all’intero dei confini (pensiamo alla russificazione dell’islam o alle conseguenze “giuseppiniste” della famigerata legge Jarovaja) al contempo favorisse una “guerra santa” con i propri fratelli.
Tuttavia la situazione è complicata dall’aggressività del governo ucraino, che chiaramente ha accolto la decisione di Bartolomeo al pari di una vittoria militare, nonché una conferma della giustezza della “linea dura”. Come ha affermato il premier Poroshenko:
«Le decisioni del patriarca ecumenico e del Sinodo hanno finalmente azzerato le illusioni imperiali e le fantasie scioviniste di Mosca. Qui è in gioco la nostra indipendenza, la sicurezza nazionale, la sovranità, la geopolitica mondiale».
Il Vaticano intanto sta a guardare, interpretando la crisi esclusivamente in senso ecumenico, quindi come un sabotaggio del dialogo intracristiano. Difficile che il Pontefice possa porsi come mediatore tra i contendenti: più probabile invece che se la risolvano da soli, come fecero già nel 1996 a… Zurigo (!).