Il marxismo italiano come scuola di magia

In questo post esporrò una mia tesi inedita ma pivotale, in grado di aprire nuove scenari sulla cultura italiana del dopoguerra; prima però i lettori saranno obbligati a sorbirsi il solito siparietto autobiografico.

Partiamo dall’amico Progetto Razzia (di solito i miei amici si chiamano tutti così), che ha citato un mio articolo su bioleninismo e biofascismo in un video recente dedicato all’argomento:

Al di là della analisi, che naturalmente condivido, ProRazzia oltre ad aver avuto l’onestà intellettuale di chiamarmi in causa, accenna anche a un nostro “progetto” risalente all’aprile 2023:

«Mi è venuto in mente che c’eravamo sentiti l’anno scorso per una diretta su [Furio] Jesi, poi ci siamo persi di vista ma ora tornerò a ricontattarlo».

Diciamo che la proposta si è arenata non tanto per problemi “logistici” (il video non è il mio “formato” soprattutto perché voglio obbligare le persone a leggere, ma non mi faccio particolari paranoie nell’apparire, naturalmente mascherato per nascondere il mio volto da sub9), quanto per una certa ritrosia da parte mia nel discutere  di un intellettuale realmente atipico come Furio Jesi, sul quale non posso considerarmi esperto solo per aver letto quasi tutti i suoi libri.

Senza falsa umiltà posso comunque sostenere di aver scritto i miei pezzi migliori su Jesi (non a caso i meno letti in assoluto!), ma al contempo faccio fatica a presentarmi come onesto interprete del suo pensiero, in particolare nel momento in cui ho iniziato a leggerlo in modo strumentale, da un lato per ridicolizzare le sue critiche a Cesare Pavese (e credo di esserci in parte riuscito), dall’altra per dimostrare una tesi che mi frulla in testa da anni, e cioè che paradossalmente il marxismo abbia rappresentato per la maggior parte degli intellettuali italiani una “iniziazione” al pensiero magico o alla magia tout court.

Riassumo a grandi linee la mia convinzione: ad onta di quanto sostenuto generalmente dagli storici della cultura italiana della seconda metà del Novecento, ovvero che il nostro Paese si è sostanzialmente diviso in tre “chiese”, appunto quella marxista, quella “laica” e quella cattolica (l’unica che fuor di metafora peraltro meriterebbe il titolo), a mio parere invece nel dopoguerra a prevalere in ogni ambito (letteratura, arte, cinema, politica, istruzione) è stata solo un’egemonia pseudo- o para- massonica (che non esclude comunque l’intervento diretto della Fratellanza) penetrata non solo nell’area grigia dell’azionismo-liberalismo eccetera (dove del resto sfondava porte aperte), ma soprattutto in ambito cattolico (tramite il Concilio Vaticano II, o perlomeno nelle sue strumentalizzazioni) e marxista, mediante  l’eurocomunismo o più precisamente il gramscismo.

Sempre affrontando la questione con l’accetta (più per non tediarvi che per mancanza di solidi riferimenti, che in ogni caso potete rintracciare autonomamente), lo spiraglio attraverso il quale gli intellettuali comunisti “integrati” si sono trasformati in una casta di stregoni è stato il fatidico concetto di “blocco culturale”, attraverso il quale Antonio Gramsci, respingendo la visione deterministica del rapporto fra struttura e sovrastruttura, ha aperto al marxismo italiano le prospettive più disparate.

In particolare il filosofo sardo, stabilendo il principio, attribuito a Marx stesso, che “una persuasione popolare ha spesso la stessa energia di una forza materiale” (la citazione, abusata, è tratta da Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce), ha sostanzialmente introiettato nel ceto intellettuale nostrano una forma mentis “magica”:  nelle sue degenerazioni, presto tuttavia divenute ortodossia, l’ipoteca gramsciana ha infatti generato nei pensatori marxisti una sorta di “nevrosi culturale”, di per se stessa “stregonesca” nella misura in cui ha auspicato (e auspica ancora, in maniera più arrogante e svaccata) di realizzare una determinata situazione storica (cioè una struttura, dei rapporti sociali di produzione, un’organizzazione delle forze materiali) tramite la cultura.

Non voglio fare nomi perché gli “arconti” hanno una potentissima influenza post mortem (soprattutto a livello giudiziario, ma non solo…); invito però chiunque ad andare a sfogliare le biografie (basta saper accedere a Wikipedia) dei più importanti intellettuali italiani del dopoguerra (tutti “comunisti”, anche per moda) per rendersi conto di come la loro “militanza intellettuale” sia stata sempre all’insegna del paradosso, del delirio, dell’irrazionalismo e, a livello più profondo, della teurgia e dell’esoterismo.

Soffermatevi sulle bibliografie di certi studiosi “insospettabili”, sulle loro ricerche sugli aspetti esoterici e simbolici del folklore mascherati con i toni dell’antropologia e dello strutturalismo, o i loro interessi per i modelli “alternativi” alla logica “illuministica”, “borghese” oppure “occidentale”, nonché sulle espressioni stesse utilizzate per descrivere gli operai (la rude razza pagana…), e avrete una plausibile risposta sul perché la sinistra italiana non abbia mai fatto il bene del popolo se non accidentalmente.

Furio Jesi è stato uno dei pochi a svelare il “Segreto di Pulcinella” adottando i paradigmi gramsciani nella maniera più provocatoria possibile, ovvero affrontando qualsiasi argomento (da Kierkegaard all’Antico Egitto, da Rimbaud a Bachofen, dai vampiri all’antisemitismo) con la prospettiva che l’impossibilità di coincidenza tra struttura e sovrastruttura sia perenne produttrice dii miti.

Jesi fece di tale impostazione un modello gnoseologico considerabile al contempo “specchio del nostro inganno”, generando un equivoco che, volente o nolente, non riuscì mai a risolvere, anche accettando -da complottisti- il fatto che sia stato “suicidato” alla soglia dei quarant’anni.

Capite bene che, in base al principio non è vero ma mi credo, è ragionevole rifiutarsi di approfondire ulteriormente l’argomento a livello essoterico, lasciando a oscuri bollettini e riviste quadrimestrali il compito di fare il lavoro sporco al riparo da sguardi profani.

4 thoughts on “Il marxismo italiano come scuola di magia

  1. Non so se vi riferite a questo, ma noto che una specie di “pensiero magico” é ormai diventato comune. Prendete per esempio gli episodi di violenza sessuale. Le reazioni sono: manifestazioni (rituali), leggi (incantesimi), condanne (anatemi). Il distacco dalla realtà, che viene così quasi esorcizzata, é assoluto.

    1. Sì, è comune ed è favorito dal fatto che se non si crede in Dio si crede a qualsiasi cosa e si celebra qualunque cosa coi più disparati rituali. Ma nel caso dell’adepto del materialismo storico la cosa fa particolare effetto. Mi chiedevo da lustri quale fosse la causa di un tale intransigente fideismo dalle più svariate articolazioni e le più pittoresche sfumature (culto del trans, adorazione dello stipendio, genuflessione al Medico, anatema al frequentatore di chiese cattoliche, bando al cristiano, auto da fe del praticante individuato come pericoloso adepto di fantomatici santoni nascosti nel buio e presenti solo negli incubi del fideista, fino all’esploit recente con epifania di Pera Santa Apodictica In The Sky with Diamonds che è stato il CORONAMENTO esiziale e infinite altre manifestazioni) ma sono solo gli esempi più grossolani. Non conoscevo questa cosa che farebbe ulteriore chiarezza sulle cause di tale fenomeno, quindi, pur riservandomi di approfondire e permettendomi di suggerire che gli esimi fondatori soffrivano essi stessi dei suddetti mali, o beni forse, dal loro punto di vista, basta che non si adori Dio, che è roba da chiodi, e che questa è una tara del marxismo stesso in ogni tempo e luogo, aggiungerei senzaltro: EUREKA.

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