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Il matrimonio esiste solo quando l’economico e il sessuale sono uniti in una relazione

Due sposini nel giorno più felice della loro vita (immagine di repertorio; fonte: Internet)

Marriage exists only when the economic and the sexual are united into one relationship: “Il matrimonio esiste solo quando l’economico e il sessuale sono uniti in una relazione”. Così il professor G.P. Murdock nel suo classico La struttura sociale (1949). Da una prospettiva prettamente antropologica bisognerebbe dunque considerare degna di encomio l’iniziativa di Ramzan Kadyrov, che ha offerto a duecento famiglie di scapoli ceceni 50.000 rubli (circa 600 euro) per pagare la dote alla famiglia della sposa, in ossequio all’antica tradizione islamica del mahr.

Anche in Italia, almeno fino al 1975 (quando venne abolito dal nuovo Diritto Civile) era in vigore tale istituto, seppure “al contrario” rispetto alle usanze cecene: la dote -a meno di giustificate eccezioni- era onere esclusivo del padre e degli eventuali fratelli della sposa, anche se la legge stabiliva che il marito non ne entrasse direttamente in possesso, ma si limitasse a gestirla (dunque, per esempio, in caso fosse rimasto vedovo senza figli avrebbe dovuto restituirla alla famiglia della moglie). Gli esempi di tale consuetudine sono innumerevoli nella letteratura e nel cinema (pensiamo a Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi del 1960).

Non che il matrimonio sia entrato in crisi solo per il declino del suo significato “economico”, anzi: parlando ancora della Cecenia, per certi versi la piccola Repubblica del Caucaso non è messa meglio dell’Italia, se pensiamo a quanti suoi giovani siano confluiti nelle file dell’Isis perlopiù in cerca di donne (ricordiamo il tragico caso delle due ragazze austriache di origine bosniaca partite per il Levante nel 2014 e uccise un anno dopo per aver cercato di scappare da un matrimonio forzato con, appunto, miliziani ceceni). Più che il fanatismo islamico, nella corsa al Califfato ha agito anche qui la mancanza di qualsiasi prospettiva di “sistemarsi”, come ha evidenziato giustamente l’autrice femminista Mary Harrington.

Venendo invece alla dimensione del “sessuale“, il prof. Murdock ne parla chiaramente da antropologo, riferendosi a un ambito che dagli albori dell’ominizzazione è sempre stato regolato da tabù e dogmi: per certi versi una pratica totalmente “innaturale” nella prospettiva della pure e semplice riproduzione della specie. Da questo surreale rapporto col sesso che l’umanità ha sempre avuto, è scaturito anche l’amore. L’amore rappresenta l’argomento più spinoso, in particolare per quei polemisti che lo considerano un veleno introdotto nel corpo occidentale dalla religione cristiana. Un esempio classico è lo sconcertante passaggio di Nietzsche dal Götzen-Dämmerung:

«Al matrimonio moderno è venuta visibilmente meno ogni ragione: ciò non costituisce però una obiezione contro il matrimonio, bensì contro la modernità. La ragione del matrimonio consisteva nell’esclusiva responsabilità giuridica dell’uomo: in tal modo il matrimonio aveva un equilibro, mentre oggi zoppica con tutte e due le gambe. La ragione del matrimonio consisteva nella sua indissolubilità di principio: in tal modo esso riceveva un accento che sapeva farsi udire di fronte agli imprevisti del sentimento, della passione e dell’istante. Consisteva altresì nella responsabilità delle famiglie per la scelta degli sposi. Con la crescente indulgenza per il matrimonio d’amore si è eliminato addirittura il fondamento del matrimonio, l’unica cosa che faceva di esso un’istituzione. Una istituzione mai e poi mai si fonda su una idiosincrasia, il matrimonio, come abbiamo detto, non lo si fonda sull’“amore” – lo si fonda sull’istinto sessuale, sull’istinto di possesso (moglie e figli come proprietà), sull’istinto di dominio, che continua ad organizzare per sé la più piccola struttura del dominio, la famiglia, che ha bisogno di figli e di eredi per tenere salda, anche fisiologicamente, la misura di potere, di influenza, di ricchezza che è stata raggiunta, per preparare lunghi compiti, una solidarietà di istinti tra i secoli. Il matrimonio come istituzione già implica il consenso della forma di organizzazione più grande e duratura: se la società stessa nella sua totalità non può rendersi garante di sé fino alle più remote generazioni, allora il matrimonio non ha alcun senso. Il matrimonio moderno ha perso il suo senso – di conseguenza lo si abolisce».

Effettivamente il cristianesimo ha ridotto la dimensione “pubblica” dell’istituto, introducendo, per esempio, la libertà di consenso di entrambi i coniugi (che le femmine abbiano poi rappresentato “merce di scambio” per secoli dipende da altre consuetudini e non alla religione in se stessa), il quale ha prodotto come inevitabile conseguenza il tanto aborrito “matrimonio d’amore”, da cui a sua volta è scaturita la maledizione dell’amour-passion.

Tutto ciò ha sfortunatamente consentito di proliferare all’interno di una religione i cui unici “misteri” non sono più tali in quanto rivelati, il mysterion pagano, una sorta di obscène supplément superégotique: per dirla sempre con Lacan, l’agalma che ispira il sentimento di Alcibiade per Socrate, quell’oggetto prezioso nascosto all’interno dell’amato. E come potrebbe tale impercettibile sentimento tradursi in Legge? Non può, ed ecco perché oggi ci ritroviamo in una situazione in cui il numero dei divorzi sta per superare quello dei matrimoni (il paradosso è la cifra della nostra stagione: tagliare il ramo sul quale si è seduti).

Visto che ne stiamo discutendo, soffermiamoci solo un istante sulla difficoltà -se non impossibilità- di esprimere una qualsiasi obiezione nei confronti del divorzio: annualmente l’Istat segnala gli effetti deleteri del fenomeno “sul piano demografico e sociale”, ma è flatus vocis. Nemmeno i preti si azzardano a dire alcunché, figuriamoci quei chierici ancor più traditori che sono gli intellettuali. Dovremmo concludere amaramente che la superstition of divorce di cui discuteva Chesterton sia diventata parte integrante del cattolicesimo stesso, tanto che Papa Bergoglio ha tentato gesuiticamente di “inculturarla” approfittando dell’annoso problema della cosiddetta “comunione ai divorziati”: se il tentativo è fallito è perché tutto sommato la conclusione di Nietzsche è l’unica obbligata. Non si può “salvare” il divorzio abolendo l’indissolubilità: semmai sarebbe necessario fare il contrario, ma finora non esistono esperienze a livello storico di “passi indietro”. Una volta introdotto, il divorzio è sempre.

Riguardo alla questione del “matrimonio d’interesse”, c’è una simpatica vignetta che illustra bene la situazione attuale: raffigura la vita di un ostetrico che trascorre i suoi anni vedendo donne figliare con chiunque tranne che con lui (padri in prigione o nazisti o neri – quasi sicuramente assenti, l’autore del disegno è di origine asiatica dunque non si può tacciarlo di razzismo, o forse sì).

Ora, dallo “spioncino” della mia professione, anch’io ho assistito a coppie “di tutti i colori”: saranno le nuove generazioni, sarà il Nord Italia, ma mai mi è capitato di trovarmi di fronte a qualcuna che abbia scelto un compagno per “sistemarsi” (a meno che non si voglia sorvolare sull’aspetto di quello che l’ha “sistemata”, un dato regolarmente posto in secondo piano). Eppure la maggior parte dei miei interlocutori mi presenta tale evenienza come uno standard: sì, forse sarà accaduto qualche volta in qualche sperduta provincia meridionale tra gli anni ’80 e i ’90, ma oggi il “matrimonio d’interesse” praticamente non esiste più. Un recente studio, tra gli altri, ha rilevato che “le donne più allettate dalla prospettiva del matrimonio sono le stesse che hanno maggiori probabilità di optare per un narcisista. In pratica le donne che vogliono impegnarsi sembrano attratte dal tipo di maschio che rappresenta l’antitesi del buon partito“.

Dunque un plauso a Kadyrov per il suo impegno.

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