Nel 2017 una indagine della BBC sulla diffusione del matrimonio tra cugini nelle comunità di immigrati in Inghilterra, Should I Marry My Cousin?, ha suscitato un acceso dibattito nel Paese riguardo all’argomento.
Le storie riportate dal documentario sono del resto pensate allo scopo: il filo conduttore è la vicenda della diciottenne di origine pakistana Hiba Maroof di Bradford, ragazza “perfettamente integrata” (si trucca e si veste alla moda…), spinta dalla sua famiglia a sposare un cugino (come il 60% delle donne della comunità presenti in Gran Bretagna). Il suo dilemma personale viene presentato come comune a molti immigrati di seconda generazione.
Nel documentario, Hiba fa visita a due cugini che si sono sposati: Iftacan e sua moglie Minaz, quali vivono a Newcastle. La coppia ha tre figli, due dei quali gravemente disabili. La maggiore, la ventenne Fatima, non può parlare. La telecamera la segue per la piccola casa a schiera mentre geme e alza continuamente gli occhi al cielo. Un figlio più giovane, Rohan, di dodici anni, è autistico. Siede immobile sul divano, borbottando ripetutamente a suo padre che vuole che il cielo diventi blu. Eppure entrambi i genitori sono riluttanti a trovare la causa dei problemi dei loro figli nel fatto che siano cugini.
Iftacan sostiene che è solo sfortuna. A suo parere molti genitori non imparentati hanno figli con autismo. Da parte sua, la moglie pensa che «Dio potrebbe aver scelto di metterli alla prova». Hiba va a trovare due potenziali pretendenti, i suoi giovani cugini, in Pakistan. Tenta di avere una conversazione con i due ragazzi, studenti universitari a cui sembra piacere l’idea di sposarla e venire a vivere in Gran Bretagna.
Tornato a casa, Hiba affronta il problema in modo pratico. Si sottopone a test genetici presso una clinica specializzata e scopre di non essere portatrice del disturbo dell’udito o della talassemia presenti nella sua famiglia. Sembra dunque optare per il matrimonio tra cugini, con la flebile garanzia che forse non avrà un figlio disabile. Tuttavia, alla fine, decide di non sposare nessuno dei pretendenti.
Meno “apologetica” l’inchiesta del programma Only Human di Channel 4 prodotta nel 2019, che affronta la questione andando nel cuore delle comunità immigrate inglesi, da Birmingham a Sheffield.
Nelle comunità pakistane e bengalesi il matrimonio tra consanguinei è praticato per rinsaldare i legami e mantenere intatto il patrimonio famigliare. I figli di queste coppie però corrono enormi rischi per la salute e, se sopravvivono alla nascita, soffrono di problemi fisici e mentali, tra i quali cecità, sordità, malattie del sangue, insufficienza cardiaca o renale, danni ai polmoni o al fegato e una miriade di disturbi neurologici o cerebrali spesso incurabili e complessi (un enorme costo per il sistema sanitario nazionale, ricordano poco pietosamente entrambi i documentari).
I dati ufficiali tracciano un quadro preoccupante per tutta l’Inghilterra: una delle conseguenze indirette dei matrimoni tra cugini è la morte di due bambini a settimana. Secondo il Dipartimento per l’Istruzione, 545 bambini nati da coppie strettamente imparentate sono morti durante l’infanzia dal 2012 al 2017. I pakistani nel Regno Unito, pur contribuendo solo al 13% delle nascite del Paese, hanno 13 volte più probabilità di avere figli con malattie genetiche rispetto alla popolazione generale.
Uno studio del progetto Enhanced Genetic Services, finanziato dal Servizio Sanitario Nazionale inglese, ha rilevato che nella città di Birmingham il tasso di mortalità infantile combinato al tasso di mortalità “sicuramente o probabilmente” legato a malattie genetiche ereditate da genitori cugini nel 2009-2010 è stato 38 volte superiore nella comunità pakistana rispetto a quello tra i bambini di origine europea della città. Il rapporto, uno dei più approfonditi su questo problema sanitario e sociale, afferma:
«Quasi un terzo dei bambini muore prima dei cinque anni di età. La maggior parte dei sopravvissuti soffre di disabilità cronica e viene assistito dalle famiglie, il che genera difficoltà psicologiche e anche finanziarie».
Il dottor Peter Correy, pediatra presso il Bradford Royal Infirmary, ha identificato circa 140 diverse malattie genetiche tra i bambini del luogo, mentre in un tipico distretto dell’Inghilterra ci si aspetterebbe di trovarne fra 20 e 30. Molti bambini che muoiono o la cui salute è gravemente compromessa, nascono da famiglie britannico-pakistane, proprio come quella di Hiba, nella quale a sua volta sono presenti casi di sordità acuta e talassemia.
I dati pubblicati dal Child Death Overview Panel di Bradford confermano che su 670 neonati e bambini morti tra il 2008 e il 2017, il 62% è nato da genitori provenienti dall’Asia meridionale (prevalentemente pakistani, bengalesi o indiani). L’organizzazione afferma che si tratta di una “sovrarappresentazione”, poiché la percentuale di bambini sotto i 18 anni che hanno origini “asiatiche” nell’area di Bradford è solo del 37%
I bambini nati da matrimoni tra cugini possono soffrire di malattie genetiche definite “recessive”, associate a grave disabilità e morte prematura. Questi disturbi sono causati da geni varianti: se si eredita una variante del gene non ci si ammala né si muore, ma se un bambino eredita lo stesso gene variante da ciascuno dei genitori imparentati, è a maggior rischio.
La probabilità che una coppia abbia lo stesso gene variante è di cento a uno nella popolazione generale. Nei matrimoni tra cugini, la percentuale sale a uno su otto perché coloro che sono imparentati hanno maggiori probabilità di portare gli stessi difetti genetici. Eppure, nonostante i pericoli – e l’enorme costo per il servizio sanitario nazionale – la BBC stima che il 55% delle coppie di origini pakistane nel Regno Unito siano composte da cugini.
Alcuni politici inglesi hanno tentato di intervenire su un tema particolarmente delicato, per ovvie ragioni: l’ex parlamentare laburista Ann Cryer (sempre di Bradford) è stata attaccata per aver chiesto di proibire tali pratiche, dichiarando che esse rappresentano «una ingiustizia nei confronti dei bambini e del servizio sanitario nazionale che deve curarli; se ci si reca in un reparto pediatrico a Bradford, si scopre che più della metà dei bambini proviene dalla comunità asiatica».
La prima donna asiatica eletta a “pari a vita” in Gran Bretagna, la baronessa Sheela Flather -che si definisce “induista atea”- ha rincarato la dose (per le citazioni non presenti nei documentari, cfr. anche l’inchiesta del “Daily Mail” di S. Reid The tragic truth about cousin marriages, 7 luglio 2018):
«Tali matrimoni in parte sono dettati dalla volontà di mantenere tutte le proprietà all’interno della famiglia, in parte dal desiderio di far sposare un parente in questo Paese. C’è così tanta disabilità tra i bambini. In una famiglia del genere ci saranno almeno uno o due bambini con qualche problema di salute. In effetti, abbiamo importato una convenzione medievale che non dovrebbe avere posto nella società moderna. Il termine “consanguineità” è spiacevole, ma è una descrizione esatta di ciò che sta accadendo nell’Inghilterra del XXI secolo, nonostante tutto ciò che ora sappiamo sulla genetica. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che oltre il 6% dei bambini nati a Bradford soffra di gravi disabilità, tra cui cecità, sordità e malattie neurodegenerative. Tuttavia, esporre queste verità significa scatenare le ire delle brigate del politicamente corretto, che si rifiutano di prendere in considerazione tutto ciò che potrebbe intromettersi nelle loro fantasie di multiculturalismo utopistico».
Secondo un infermiere di Redbridge, che si è preso cura di molti bambini disabili, l’unica cosa che fanno i genitori consanguinei quando gli nasce un bambino con gravi problemi di salute è «metterlo in un angolo, ignorarlo e tirare avanti, per ricominciare a far figli disabili giocando alla roulette russa con la genetica». Un’infermiera in pensione della stessa zona ha aggiunto:
«Questi bambini sono tenuti in vita grazie alla sanità pubblica, i cui sforzi sono già al limite. Nei reparti pediatrici degli ospedali dell’East End londinese si vedono le conseguenze: i letti di terapia intensiva sono occupati da bambini gravemente disabili nati da genitori imparentati. Non toglieranno mai i pannolini. Alcuni non riusciranno a esprimersi che attraverso singulti. Hanno problemi così gravi che costeranno allo Stato migliaia e migliaia di sterline nel corso della loro vita».
A Bradford, impiegati comunali di scuole speciali e asili nido portano quotidianamente gli adolescenti disabili nei parchi pubblici in sedia a rotelle. Uno di essi ha dichiarato al Daily Mail:
«Questi ragazzi sono intrappolati in corpi deturpati. Sebbene la società non possa evitare tutte le disgrazie, sappiamo, attraverso i progressi della medicina, come ridurre i rischi. Alcune famiglie provengono da tre generazioni tutte imparentate tra loro. I figli di questi matrimoni devono lottare per sopravvivere, soffrono continuamente e spesso muoiono in tenera età».
Ancora più preoccupante, si prevede che il numero di bambini disabili nati da genitori consanguinei aumenterà con l’aumento del tasso di natalità nelle comunità etniche. Nello Yorkshire e Humber (che comprende Bradford, Kirklees, Leeds, Sheffield e Rotherham) i medici sono alle prese con 600 casi all’anno – un numero che si prevede salirà a 2.400 entro il 2031, secondo le analisi dei funzionari della sanità pubblica dell’area.
Gli stessi studi affermano che il costo annuale dello Stato per farsi carico di un bambino con gravi difficoltà di apprendimento o una disabilità cronica legata alla consanguineità è di 50.000 sterline, cifra che ammonterà a milioni considerando una vita intera di cure mediche e di altro tipo.
Alla luce di tutto ciò, è difficile non concludere che, sebbene le intenzioni possano essere comprensibili, sposare un cugino è una tradizione che può costare caro a tutti gli interessati, specialmente ai bambini condannati a una morte prematura, o a una vita segnata da una profonda disabilità. Tuttavia molti sono convinti che sia inaccettabile interferire nelle pratiche delle comunità straniere in Gran Bretagna: in testa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che da anni definisce i tentativi di vietare il matrimonio tra consanguinei «sgraditi e inopportuni» (il “Daily Mail” non fornisce alcune fonte al riguardo, ma la presa di posizione sembra purtroppo verosimile).
I piccoli comuni britannici sembrano concordare con l’OMS, compreso Oldham nel Lancashire, le cui autorità hanno affermato che il matrimonio tra cugini è «parte integrante della vita culturale e sociale» della città, e che i tentativi per cercare di fermare questa pratica radicata «difficilmente possono avere successo» in qualsiasi caso. L’idea che non si dovrebbe interferire nelle usanze delle comunità immigrate gode di una certa simpatia anche tra i vertici sanitari. Il dottor Anand Saggar, uno dei genetisti più eminenti del Paese e consulente del Servizio Sanitario Nazionale, è infatti convinto che
«non si dovrebbe giudicare la consanguineità. Cercare di vietare tali matrimoni, come vogliono alcuni politici, è un approccio pericoloso. L’intera questione è controversa. Come tutti i genitori, queste persone non vorrebbero avere un figlio anormale se avessero scelta. Il dolore per loro è immenso».
Nelle cliniche gestite dal dottor Saggar è possibile per le coppie di cugini effettuare test genetici per stabilire le possibilità che i figli nascano malati. Una di esse si trova a Londra, in Harley Street, dove il medico riceve pazienti da tutto il mondo, compresi i Paesi in cui la consanguineità è norma sociale, come Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e, ora, Regno Unito. In un’altra sua clinica, al St George’s Hospital Trust (sud di Londra), l’elenco di pazienti è composto da coppie meno abbienti, con un figlio morto alla nascita o nato con qualche problema. Sono stati spesso indirizzati da medici di famiglia o ostetriche per capire come evitare la stessa tragedia con i futuri bambini.
Le coppie che visitano le cliniche del dottor Saggar (che è di fede induista) sono «spesso, ma non esclusivamente, musulmane». Alcuni pazienti rifiutano di affidarsi alla medicina, con la convinzione che sia volontà di Dio che abbiano o meno un figlio disabile. Altri scelgono la fecondazione in vitro, attraverso la quale marito e moglie generano un embrione che può essere preselezionato prima di essere impiantato nel grembo materno, per garantire che non abbia difetti genetici.
Il professor Neil Small, dell’Università di Bradford, è stato ricercatore del progetto “Born In Bradford” (i cui risultati sono stati poi pubblicati da “Lancet” nel 2013) istituito per scoprire perché così tanti bambini della città muoiono o sono affetti da disabilità. Il dottore ha seguito 13.500 bambini, di tutte le etnie, nati al Bradford Royal Infirmary tra marzo 2007 e dicembre 2010, e ha scoperto che per ogni 100 bambini nati da coppie non imparentate, circa tre hanno una malattia genetica, mentre per ogni 100 bambini nati da coppie strettamente imparentate, il rischio raddoppia.
Small ritiene che un cambiamento della mentalità nei confronti del matrimonio tra cugini tra i giovani musulmani, un controllo più stretto sull’immigrazione e un impegno a informare le famiglie sulle conseguenze della pratica potrebbero, un giorno, ridurre le disabilità e la letalità infantile: «Non è nostra intenzione imporre alle persone chi debbano sposare, ma vogliamo assicurarci che siano consapevoli dei rischi in modo che possano fare scelte accurate».
In Italia non è dato conoscere l’entità del problema, anche perché gli articoli accademici dedicati al tema si contano sulle dita di una mano: uno studio guidato della dottoressa Giovanna Russo-Mancuso del 2003 (sicuramente datato) segnala un aumento degli stranieri tra i nuovi casi di anemia falciforme dal 6.3% (1994) al 18% (2003). Un altro studio della dottoressa Raffaella Colombatti dell’Università di Padova, anch’esso datato (risale all’ormai lontano 2008), registra un aumento in Veneto dell’anemia falciforme tra pazienti pediatrici, dei quali 98% sono immigrati(nati all’estero o in Italia; 90% di origine africana).
Un progetto dell’Università di Pavia propone come soluzioni la creazione di un registro nazionale dei casi che accedono alla consulenza genetica/analisi genetica, una sensibilizzazione dei lavoratori nell’ambito sanitario sul tema e la creazione di “un gruppo multidisciplinare che supporti anche dal punto psicologico le famiglie con figli affetti da una patologia genetica anche successivamente alla comunicazione della diagnosi” (allo scopo di “ricreare nel paese ricevente la comunità che viene a mancare rispetto al paese di origine”).
Probabilmente, come al solito, cercando su Google “matrimoni consanguinei immigrati” vi uscirà il mio penosissimo blog. A questo punto, considerando l’importanza della questione non solo a livello sanitario ma soprattutto sociale, chiedo ai lettori un contributo per svolgere le ricerche in proprio, avvalendomi anche dell’esperienza acquisita come insegnante.
SALVE,
al confine tra Alta Terra di Lavoro; Basso Lazio e Molise sono presenti ormai da secoli gruppi etnici gypsi. Nel loro interno il matrimonio *NON* TRA Parenti, in particolare cugini è l’eccezione che conferma la regola. C’è da dire che questo uso “ENDOGAMICO” è rimasto praticamente l’unico segno identitario. Per il resto sono perfettamente integrati. Hanno lavori regolari. Gli under 70 vestono in modo indistinguibile da quello dei non-gypsi, etc.
Ultimamente, alcune tra le ragazze stanno intrecciando love story con immigrati Albanesi o Polacchi.
CHE FIGATA,
grazie.
Prego.
NON mi meraviglierei se, almeno in qualche caso, questi ragazzi est-europei vantino, a loro volta una più o meno lontana, più o meno immaginata (che non vuol dire necessariamente “IMMAGINARIA”) ascendenza gypsi. E chissà se l’origine asiatica, anzi, proprio indiana, di tali popoli gypsi, non sia in qualche modo legata a questi usi .
intuizione suggestiva!