Naz Mila, modella ed ex concorrente di un reality show azero, determinata a tatuarsi lungo tutto il fianco e la coscia un modo di dire turco in inglese, Beni doğrularım ve yanlışlarımla sadece Tanrı yargılar (“Solo Dio può giudicare i miei torti e le mie ragioni”), è riuscita, attraverso chissà quale traduttore online, a trasformarlo in una frase senza alcun senso, I can judge a single god with my wrongs and wrongs (“Posso giudicare un unico dio con i miei errori ed errori”).
Nel frattempo la modella ha cancellato le immagini del “capolavoro” del tatuatore e ora passa il tempo a farsi photoshoppare le gambe su Instagram in modo da far scordare ai suoi ancora numerosissimi seguaci l’incidente (talvolta dimenticandosi però di ritoccare le immagini, come qui o qui).
Ricordo che la notizia, ai tempi in cui ne venni a conoscenza, mi lasciò un profondo senso di sconforto: è possibile che l’imputtanamento della Turchia proceda a così grandi falcate? Se non altro Dio, cioè Allah (che però in molti proverbi è indicato tradizionalmente come Tanrı anche per non nominarlo invano), ha voluto porre un argine alla perversione confondendo le idee alla sgallettata di turno e ai cazzoni che la circondando. Tuttavia, seppur confidando nell’Altissimo e nel suo ruolo di Thot Patroller supremo, siamo costretti a domandarci con angoscia per quanto tempo durerà questa residua resistenza alla degenerazione.
In Occidente, il pregiudizio “colto” verso tutto ciò che riguarda le arti profane è infatti già passato di moda: se un fatto del genere fosse accaduto a una strappona afro-americana o anglo-indiana, non solo il taglio degli articoli sarebbe stato apologetico, ma probabilmente i social network avrebbe occhiutamente censurato qualsiasi ironia nei confronti della sciaquetta ritardata. Insomma, ormai non c’è più scampo: femminismo, reclamismo, consumismo idiota e “riflusso” si sono condensati in un inscalfibile nucleo ideologico.
L’imputtanamento universale pare dunque inevitabile: mi domando se la severa morale che contraddistingue quelle società che secondo i mass media sono “ferme al Medioevo” non si scioglierà come neve al sole dopo il cedimento di un’unghia alla liberazione dei costumi, oppure se si imporrà inevitabilmente un nuovo ordine composto da inediti “baluardi” contro la distruzione della civiltà operata dal femminismo.
Un esempio, paradossale, è rappresentato proprio dalla Turchia: in quel contesto, il femminismo detiene ancora caratteristiche “patriarcali”, nel senso che persino le femministe più agguerrite (e lì a volte lo sono molto di più di quelle occidentali) hanno come riferimento principale Atatürk, la cui immagine “funziona” come in una sorta di imprinting, nel senso che porta inconsciamente le turche ad ammirare in un uomo più l’intelligenza o la virtù (in senso “laico”) che altri aspetti, come l’apparenza fisica, la disponibilità finanziaria, lo status, l’aggressività o la cosiddetta dominanza.
Tale fenomeno è quasi incomprensibile in quei Paesi che sono passati dalla morale sessuale cattolica al libertinismo spinto: l’immagine del “colto”, per certi versi, è più legata a quella del chierico, il che si traduce nella mancanza di un vero e proprio riferimento “maschio” sul quale fare affidamento. Perciò, nonostante ogni nazione possa annoverare poeti generali e martiri, la loro presenza è comunque “mediata” e non ha la stessa valenza tipica di un Patriarca.
Per quanto contraddittorio possa sembrare, è dunque probabile che una ultra-femminista turca detenga ancora un condotta sessuale più morigerata di una cattolica tradizionalista francese o spagnola: questo solo per dare l’idea della complessità del problema che ci troviamo ad affrontare.
Nessuno però ha detto che la soluzione sarebbe stata semplice: del resto dall’altra parte della barricata c’è chi si illude che una civiltà possa reggersi sui principi di un femminismo coerente, quando ormai è acclarato che sono proprio le femministe le prime propiziatrici dell’orda, della tribalizzazione e del caos.
In conclusione, se l’imputtanamento non viene tenuto sotto una certa soglia, attraverso la religione, l’ideologia, gli usi e costumi, o perlomeno una forma moderata e razionalistica di slut-shaming, qualsiasi civiltà è destinata a tramontare. Perché, come sempre, la vera alternativa non è tra patriarcato e matriarcato, ma tra ordine e caos.
Sul fatto che sia meglio una femminista turca che una Cattolica tradizionalista occidentale ho i miei dubbi. In un ostello georgiano, ho sperimentato la seccante disavventura di avere nel letto accanto al mio una ragazza turca e un americano che sono andati avanti a fornicare per almeno mezz’ora, e si erano conosciuti la sera stessa. Ciò detto, non posso fare paragoni con le tradizionaliste occidentali. L’unica che ho conosciuto, una veneta in trasferta a Milano, mi ha raccontato (non so perché, in quanto non le interessavo, o forse proprio per questo) di non essere più vergine da prima dei vent’anni e di masturbarsi regolarmente. L’unica cosa che posso dire con certezza, per esperienza, è che le ragazze arabe (cristiane), nate e cresciute fuori dell’occidente, possono essere caste. Non assicuro su quelle che crescono qui però.