Voglio commentare lo scritto del buon Prav sul portale ufficiale o ufficioso dei Mattonisti, “Laterum”, dedicato alla questione del “Partito Incel”. Lasciamo da parte l’esatto significato dell’espressione “celibi involontari”, che nella lingua inglese viene utilizzata da almeno due secoli per definire quelli che in Italia chiameremmo semplicemente “brutti” se la bruttezza non fosse argomento tabù, e veniamo al sodo.
Il sottoscritto, pur essendo un 8 pieno e in grado di utilizzare tutte le principali tecniche di seduzione (l’unico mio difetto è l’altezza, appena 1.75, ma vi si può sopperire sulla breve distanza con un bel paio di scarpe rialzate, disponibili persino su Amazon in versione classica o sportiva), ha sempre provato una qualche forma di pietas schopenhaueriana (visto che ci ostiniamo a citare chi porta sfiga!) nei confronti di questi sub7 soli e in attesa di un leader.
Per questo motivo, negli anni passati ho intrattenuto una qualche corrispondenza con principali esponenti dell’ideologia incel a livello internazionale, in particolare con William Lupinacci, fondatore dell’Incel Party americano e fautore di un riallineamento a “sinistra” della comunità dei “celibi involontari” inesorabilmente sbilanciata verso “destra” (più per i meme che per altro).
Il programma minimo dell’Incel Party era composto dai seguenti punti (che non voglio commentare per ovvie ragioni): sequestro legale da parte del governo degli immobili dei boomer e cessione gratuita di essi ai millenial; incentivi statali per far incontrare incel con donne; reddito di base universale; abolizione della psichiatria e legalizzazione del suicidio.
In seguito, Lupinacci ha sciolto il partito (cioè ha cancellato il sito web) e ora non so nemmeno di cosa si occupi (programmazione?). Non voglio insinuare nulla, ma penso che a convincerlo siano state anche le vicissitudini del militante russo Alex Undersky (uso la traslitterazione anglofona per omaggio alla culture), che come fondatore del “Fronte Anti-Femminista di Sinistra” aveva dato una forte connotazione progressista al movimento a livello internazionale. Purtroppo Undersky, oltre a esser stato smascherato come fakecel, è stato anche arrestato l’anno scorso per aver avuto una relazione sessuale con una quindicenne.
Uspensky, laureato in giurisprudenza e attivista per i diritti umani (una professione rischiosa in Russia), sostenitore di Bernie Sanders, espulso dalla sezione locale del Partito Comunista per la sua opposizione al femminismo, aveva elaborato il concetto di “vaginocapitalismo”, identificando l’accesso alla vagina come il principale motore dell’accumulo di capitale e dello sfruttamento nelle società industrializzate moderne (con le donne che costituiscono la classe sfruttatrice).
Tutto molto interessante, forse anche troppo interessante, ma non essendo finita bene per il Nostro (posto che io invoco l’arresto di massa per chiunque si dichiari “incel”), tanto vale mettere da parte la sua pur accattivante personalità e concentrarsi sulle “idee”. Per quel che mi riguarda, ho cercato di traghettare il marxismo incel in Italia contattando un’altra grande personalità dei nostri tempi: Marta C0ll0t, bel faccino di Potere Al Popolo, la quale tuttavia mi aveva immediatamente su Twitter per averle suggerito -in maniera costruttiva e assolutamente non provocatoria- la lettura de Il capitale sessuale di Illouz e Kaplan (precedentemente le avevo consigliato I brutti anatroccoli di Piergiorgio Paterlini).
Avevo persino screenshottato alcuni tweet al riguardo, con la consapevolezza che presto (era il 2020) avrei abbandonato per sempre i social (salvo poi prolungare la mia presenza per la sacra causa novax):
Nonostante siano passati ormai anni, sono ancora convinto che la militante media “de sinistra” non sia in grado di comprendere una sola riga di certi testi: non tanto per mancanza di intelligenza (anche se i dubbi vengono), quanto per “fintotontismo”. Tuttavia io il mio l’ho fatto e nessuno può dire che non ci abbia provato: semplicemente, la sinistra non ne vuole sapere dei “brutti”. Vuole stare coi vincenti.
Leggermente diverso era l’atteggiamento di qualche decennio fa, come attesta il volume di Paterlini citato sopra, uscito nel 1994 e ristampato vent’anni dopo sempre da Einaudi: non che non abbia faticato per farsi pubblicare un volume sul “razzismo della bellezza” e sulla bruttezza come “handicap, rimozione, tabù”, ma perlomeno qualche accenno alla questione c’era, nonostante fosse stata poi superata in modo apolitico ed “esistenziale”.
Un dato di fatto era che però all’epoca i brutti potevano essere considerati anche “compagni”: le testimonianze raccolte nel libretto sono quelle di operai vicentini, alto borghesi emiliani e impiegate modenesi alle prese con la “rimozione colossale del brutto”. Difficile non emergessero comunque risvolti politici, come quando un’operaia ricorda che “nella sua fabbrica, quando veniva una delegazione straniera in vista, i lavoratori più brutti venivano allontanati“.
Più sottile il discorso di un siciliano emigrato a Torino che in pieno sessantotto riesce a “godersi” (si fa per dire) cinque minuti di rivoluzione sessuale (prima che essa tornasse a esprimere gerarchie sessuali rigidamente “naturali”):
«Verso i trent’anni [chi parla è del 1938], le cose che facevo per camuffarmi o peggiorare il mio aspetto fisico (barba, capelli lunghi e non curati) diventano improvvisamente di moda. […] [Provo] una forma vaga di improvvisa accettazione, come se gli altri si fossero adeguati a me. Il problema non si azzera, anche nelle mode di quegli anni ci sono i belli e i brutti. Ho semplicemente l’impressione di essere diventato un brutto più accettabile, e non sempre. Verso il mio aspetto fisico, nei rapporti pubblici, percepisco adesso più indifferenza che ripugnanza».
Questo passaggio peraltro mi fa venire in mente qualche bella pagina de Le particelle elementari (1998) di Michel Houellebecq:
«”Per farmi accettare dagli impiegati” avrebbe detto Bruno, “basta che io mi travesta da impiegato. Cioè basta che mi compri un vestito, una cravatta e una camicia […]. Travestirmi da emarginato non mi servirebbe a niente: non sono abbastanza giovane né abbastanza bello né abbastanza cool. Perdo i capelli, tendo a ingrassare; più invecchio e più divento angosciato e sensibile, il minimo indizio di rifiuto mi da il tormento. In poche parole non sono abbastanza naturale, vale a dire abbastanza animale […]”. Bruno aveva capito che gli hippy non l’avrebbero mai accettato: non era e non sarebbe diventato un bell’animale. Di notte sognava vulve aperte».
Oggi di questo tipo di “sensibilità” a sinistra, in qualsiasi sinistra, non si trova alcuna traccia: è solo un misto di ipergamia, neoliberismo sessuale e moralismo. È un fatto, per esempio, che le femministe disprezzino i compagni a loro ideologicamente affini e prediligano regolarmente i “bei maschioni”, dominanti e fasci e violenti quanto basta. Ormai questa tendenza è così implicita e sbandierata che viene espressa, anche in Italia, come una sacrosanta progressione nel percorso di empowerment femminile.
Si può confrontare tutto ciò con quanto scriveva un autore conservatore tedesco, il compianto Rolf Peter Sieferle (cfr. Migrazioni. La fine dell’Europa, tr. it. G. Vitellini, LEG Edizioni, Gorizia, 2017, pp. 70-71).:
«Esistono ulteriori dimensioni della disuguaglianza che possono essere raggiunte solo difficilmente dal livellamento politico. Per esempio è importante la disuguaglianza dal punto di vista sessuale, che dopo il crollo del comandamento cristiano della monogamia ha creato differenze drammaticamente nuove. La monogamia aveva come risultato che ogni essere umano poteva contare sulla possibilità di trovare, prima o poi, un coniuge e, con ciò, un partner sessuale. L’ormai dominante promiscuità, invece, crea nuove differenze. Ci sono i virtuosi di successo, che trovano partner sessuali a volontà, e ci sono i soprammobili (maschili o femminili) che non hanno alcuna possibilità».
Amen. Alla fine anche l’amico Lupinacci può dire quel che vuole, ma non capisco perché si dovrebbe ancora recitare la commedia bipartisan quando, specialmente per questa parte politica, il problema non si pone nemmeno in linea teorica.
La morale della storia appare univoca: quello che le femministe chiamano “patriarcato” era sotto diversi punti di vista più egualitario del sistema che esse vorrebbero mettere in piedi. La bruttezza può rappresentare “un dramma senza soluzione, senza consolazione, senza compensazione possibile” (come scrive Paterlini risolvendo appunto il problema in senso quasi metafisico) soltanto nella misura in cui la bellezza ci riporta alle nostre origini violente, basate sull’istinto, la forza, la ferinità e la fitness (la famigerata “sopravvivenza del più idoneo”).
Come dice uno dei brutti anatroccoli:
«Provo grande invidia, lo ammetto, quando vedo la semplice, normale felicità degli altri, un uomo e una donna che stanno insieme. Vorrei le stesse cose per me».
Il femminismo (da qualsiasi prospettiva o “ondata”) ha trasformato in un miraggio quello che fino a una generazione fa era una cosa scontata: sposarsi e far figli. Non si è capito nemmeno con che cosa volesse rimpiazzarlo, ma lungi da un palingenetico baccanale di massa, il sesso ha finito per essere regolato da gerarchie sessuali da cavernicoli.
Considerando che la situazione è esattamente quella fotografata da Sieferle (e ancora da Houellebecq, nel suo celeberrimo passaggio sul “liberismo sessuale”), aggiungendo al “crollo del comandamento cristiano della monogamia” anche “l’introduzione del controllo delle nascite, la popolarità di internet, il tramonto dell’influenza esercitata dalla religione e l’aumento di norme ispirate a una visione positiva della sessualità“, per citare il sociologo Adam I. Green), ci si domanda perché uno dovrebbe lottare per ottenere tutt’al più un riconoscimento degli incel come minoranza sessuale al pari di omosessuali, lesbiche e transessuali (di più non si può fare, nonostante rebus sic stantibus tra una generazione saranno “celibi involontari” l’80% dei maschi occidentali).
Condivido perciò lo scetticismo di Prav nell’articolo citato in principio, riconoscendo per l’appunto che l’incel “non è un soggetto rivoluzionario” non solo per le caratteristiche intrinseche di cui è portatore, ma soprattutto per l’assoluta refrattarietà dei “rivoluzionari di professione” nel farne anche solo “carne da cannone” o “utile idiota”.
Per concludere, rimando all’anglosfera (come al solito), dove perlomeno il dibattito esiste a livello mainstream (mentre da noi vale giusto per qualche servizio televisivo a sfondo scandalistico). A tal proposito, un altro libro che avrei consigliato alle compagnucce è l’Hite Report on Men and Male Sexuality della femminista germano-americana -però non è ebrea- Shere Hite (tradotto in italiano nel 2004), famosa negli anni ’70 appunto per i suoi report sulla sessualità maschile, il femminismo e la famiglia.
In Italia, nonostante il grande successo del tema a livello commerciale, le sue indagini sociologiche non sono mai arrivate. Solo vent’anni fa Mondadori, come ho detto, fece tradurre il report di cui sopra (risalente al 1981) col titolo I nuovi maschi. Il volume è nella sostanza una raccolta di interviste a rottami umani elevati a “rappresentanti del genere maschile”, tuttavia al di là dell’ovvio intento denigratorio ci sono testimonianze che colpiscono, come quella di un tizio che oggi definiremmo proprio incel (mentre all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso era perlopiù uno sfigato).
«Sono single, non mi sono mai sposato, non ho mai vissuto con una donna e sono così solo che sto lentamente impazzendo. Sono in sovrappeso di venti chili e come secondo lavoro faccio la guardia notturna. Trovo molto frustante uscire per cercare di conoscere donne. Andare a ballare e non trovare nessuna che voglia ballare con me mi fa venire una grande rabbia. Sto diventando sempre più depresso e antisociale. Provo un’eccitazione perversa ma complice per quelli (specialmente uomini) che vanno fuori di testa nei luoghi pubblici e uccidono persone che sono lì per caso […]. Quando ero al college, avrei voluto sparare alle compagne belle con una pistola automatica nascosta. Non mi guardano mai, non mi riconoscono come essere umano, forse non merito nulla per loro. Penso che abbiano paura che le violenti. Non violenterei mai una donna, non penso che riuscirei a convincerla che faccio sul serio, probabilmente griderebbe e io scapperei […]».
Ora, si dà il caso che anche questa femminista avesse un minimo di pietà (o empatia) per creature del genere. Oggi invece il dileggio va per la maggiore, tanto che su reddit esistono forum dove è lecito offendere e umiliare i brutti (il più celebre è r/IncelTears). Eppure basterebbe scegliere fior da fiore per mettere assieme una ridda di esperienze per testimoniare la “fragilità del maschio” o roba del genere.
Gli incel si sono già domandati perché accada tutto ciò e si sono dato qualche risposta; la più convincente è questa (tratta dal noto portale di sociologia applicata 4chan):
«Gli incel mettono in imbarazzo la sinistra perché in teoria sarebbero un altro gruppo svantaggiato che andrebbe sostenuto, ma nella pratica ciò significherebbe riconoscere alcune cose che la sinistra non è neppure in grado di capire. Peraltro un vergine brutto è probabilmente la cosa più disgustosa che una donna possa incontrare nella sua vita. Questa è una “verità biologica” che nessuna rappresentazione negativa può confutare. […] Proiettare sugli incel il bigottismo, la misoginia, la “cultura dello stupro” in nuce [proto-rapism] serve a sopperire a una dissonanza cognitiva».
Dal momento che gli stessi rilievi valgono per la sinistra italiana, rettifico su due piedi quanto scritto prima: un maschio brutto non può neppure aspirare a rappresentare una “minoranza sessuale” e rientrare di straforo nella compagine progressista attraverso la politica identitaria, perché an ugly virgin is probably the most disgusting thing to encounter in the world for a woman.
“Ci sono i virtuosi di successo, che trovano partner sessuali a volontà, e ci sono i soprammobili (maschili o femminili) che non hanno alcuna possibilità”: si vede che parliamo del ’94, con la diffusione di internet l’aggettivo “femminili” va assolutamente eliminato da questa frase.