Come sapete, il dibattito Biden-Trump è uno dei miei generi cinematografici preferiti e già nel 2020 da vero aficionado avevo recensito l’intera trilogia (prima, seconda e terza parte). Quest’anno sono certo che il nuovo sequel non sarà da meno (sicuramente in un contesto più emozionante del covid), ma prima di approfondire la tale o tal altra interpretazione da parte della stampa internazionale, voglio riassumere brevemente i punti principali del confronto.
Nell’ultimo episodio, svoltosi il 27 giugno 2024 alle 21:00 di sera ad Atlanta negli studi della CNN, a un Trump in piena forma, avvantaggiato obiettivamente dal fatto di non essere il Presidente uscente, risponde un Joe Biden che, oltre ad aver arrancato persino durante l’ingresso in studio, ha ribattuto con una voce più rotta e roca del solito, e si è ovviamente impappinato e contraddetto (tuttavia non in modo così plateale come hanno sostenuto taluni commentatori “democratici”).
I temi essenziali sono stati, come prevedibile, immigrazione e guerra. Sul primo argomento, Trump ha fatto il suo show elettorale definendo i crimini compiuti dai clandestini fatti entrare dall’Amministrazione democratica come Biden migrant crimes, e affermando che è inutile che il vecchio Joe sbandieri presunti successi nel campo della sanità pubblica se poi arrivano milioni di immigrati a distruggere la social security (la concezione americana della previdenza sociale che tocca vari livelli del welfare).
Dal canto suo, Biden ha accusato Trump di “mettere i bambini nelle gabbie” e ha poi farfugliato concetti incomprensibili, offrendo al candidato repubblicano la possibilità di irridere la sua confusione (questa è una delle poche scene del dibattito rilanciata sui social).
Riguardo alla guerra, il Presidente democratico ha di primo acchito spacciato il ritiro dall’Afghanistan come un successo, regalando al Donald un’occasione di cui egli è riuscito -sorprendentemente- ad approfittare nella maniera più sobria possibile. Infatti, Trump ha imperniato tutta la sua polemica sulla debolezza manifestata dall’America in quei frangenti, la quale al suo parere avrebbe spinto Putin ad invadere l’Ucraina e Hamas ad attaccare Israele.
Il tycoon ha poi rincarato la dose, definendo Zelenskij (che chiama “Zalinski”) il più grande “venditore” [salesman] di sempre, nel modo in cui è riuscito a ottenere miliardi su miliardi dagli americani semplicemente recandosi a Washington. La questione della guerra è poi riemersa nelle battute finali, con l’esplicita evocazione da parte di Trump della Terza guerra mondiale, e con Biden che ha rispedito le accuse al mittente identificandolo come vero iniziatore del conflitto globale qualora lasciasse fare al suo amico Putin ciò che vuole (mentre all’inizio si era vantato di essere l’unico Presidente, “in questo secolo e in questo decennio”, a non aver mandato soldati americani a morire in giro per il mondo).
Per il resto, la discussione è stata costellata da innumerevoli momenti surreali: Biden ha rilanciato la fake news che il suo avversario si sarebbe rifiutato di visitare i cimiteri dei caduti negli ultimi due conflitti mondiali perché gli americani morti in guerra sarebbero tutti dei “perdenti e dei cazzoni” [losers and suckers], accuse che naturalmente Trump ha potuto liquidare in maniera piuttosto agevole; al canto suo quest’ultimo, intervenendo svogliatamente sul conflitto israelo-palestinese, oltre a glissare sulla domanda riguardante la creazione di uno Stato palestinese, ha tacciato Biden di essere un “palestinese” ma di essere talmente debole da non poter essere apprezzato nemmeno dai palestinesi stessi (?).
Sulle questioni cruciali per l’americano medio, il confronto è stato decisamente sotto tono: piuttosto stereotipati i motivi messi sul tavolo riguardo a inflazione e tassazione (Biden senza timore ha promesso più spesa pubblica per afroamericani e minoranze, consentendo Trump da buon yankee di accusarlo di voler aumentare ancor di più il costo della vita), mentre sulla cosiddetta opioid crisis, l’epidemia di oppioidi che sta falcidiando la classe media statunitense, Trump ha sostenuto che la sua Amministrazione stesse facendo “grandi cose” (as usual) sulle tossicodipendenze prima dell’avvento del covid, mentre Biden ha parlato della necessità di dotarsi di -letteralmente- big machines per scongiurare il traffico di fentanyl cinese dal Messico.
Spassosa la diatriba finale sulla senilità: Biden ha rimarcato di esser stato accusato per metà della sua carriera politica di esser “troppo giovane”, e per l’altra metà di esser “troppo vecchio”; Trump ha affermato di aver sostenuto con successo diversi test cognitivi e di aver vinto due campionati di golf, cosa che lo rende particolarmente adatto ad assumere il ruolo di Presidente nonostante l’età (inoltre ha sfidato Biden a fare un paio di tiri sul campo).
Questo è quanto. Parlando delle interpretazioni dei media, trovo imbarazzante l’accanimento contro il vecchio Joe specialmente da parte degli pseudo-progressisti, che ora invocano una sostituzione lampo del candidato a elezioni imminenti. Questo isterismo è ingiustificato, sia perché Biden in tale occasione non si è comportato peggio che in altre (anzi in molti passaggi è riuscito a tenere il punto nonostante i disastri occorsi negli ultimi quattro anni), sia perché non è concretamente possibile cambiare il candidato in corsa con una qualche “congiura di palazzo”, non solo perché avrebbero dovuto pensarci prima, ma anche perché costringere Biden a ritirarsi (posto che lui accetti!) nel momento in cui è stata riconfermata la sua leadership sarebbe una manifestazione di debolezza ben più grande degli svarioni di un ultraottantenne.
L’unica interpretazione politica, nonché sociologica e antropologica (o semplicemente umana), degna di nota è che con la scelta stessa di un Joe Biden, oggi come quattro anni fa, i democratici manifestano un profondo disprezzo per la democrazia stessa, optando per una mimesi di Trump, quasi come a dire al popolaccio: “Siete degli idioti perché volete un vecchio maschio bianco, e noi per rendervi utili vi diamo ciò che chiedete facendogli fare il lavoro sporco che una afroamericana lesbica con i capelli blu non può fare perché voi bestie non la votereste mai”.
Ecco, secondo me questa è la vera morale del teatrino. Per il resto, non capisco lo psicodramma dei democratici, come dei repubblicani, visto che potranno rubare le elezioni come hanno fatto l’ultima volta anche senza augurare al povero zio Joe una morte improvvisa.
Hanno imbastito il complotto col filo bianco.
Non è mai successo che un dibattito presidenziale si tenesse in giugno, si fanno sempre da metà settembre. I Democratici lo hanno proposto 3 mesi prima per avere modo di togliere Biden in tempo e mettere al suo posto Newson. I media USA erano tutti avvertiti e pronti da prima e oggi proclamano improvvisamente che “Biden è incapace..”. Lo hanno fatto fuori in pubblico (prof. Becchi)