Il pugnale è il mio unico valore

Non mi convince tutta la risonanza data alla sentenza contro il diritto di un sikh a portare il pugnale sacro (il kirpan): secondo la Cassazione, questo simbolo rappresenterebbe una «intollerabile violazione dei valori della società ospitante» e la sua approvazione rischierebbe di «portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti» (sic!).

Francamente non ricordo verdetti simili per i numerosi casi di omicidio o stupro di cui si sono resi protagonisti gli stranieri nel nostro Paese; ad ogni modo, non era impossibile prevedere che tali parole sarebbero state strumentalizzate: il fatto che però sia stata la grande stampa ad aver dato il via alla gazzarra (invece di silenziare come al solito le notizie non gradite), lascia intuire che la campagna elettorale sia già cominciata.

Non vorrei sembrare paranoico, ma uno sguardo retrospettivo fa sorgere il sospetto che gli ultimi “polveroni” sollevati sul diritto di sparare solo di notte, sugli stupri degli immigrati “più inaccettabili” di quelli degli italiani, sui rapporto tra ONG e trafficanti ecc… siano stati creati ad arte per consentire al Partito Democratico di fare la “faccia cattiva” in vista delle prossime elezioni.

Per tornare alla sentenza, è incredibile che a venir colpita dalla “tirannia dei valori” (rileggere Carl Schmitt) sia una delle poche etnie a non averci regalato neanche uno spacciatore, uno stupratore o un omicida. Esiste da sempre un rapporto d’amicizia tra gli italiani e sikh, sin dai tempi della Seconda guerra mondiale, quando molti di essi combatterono nell’Ottava Armata Britannica: ancora oggi vengono ricordati, in particolare in Emilia-Romagna, per la loro correttezza e generosità verso la popolazione civile. Nessuna “marocchinata”, anzi: alcuni italiani furono salvati dalla fucilazione grazie al loro intervento (ci sono diverse testimonianze a tal proposito).

Al giorno d’oggi, in Lombardia adoriamo i sikh: fosse per noi, gli faremmo costruire un tempio in ogni capoluogo. Del resto non è possibile dimenticare la loro presa di posizione netta a favore dei due marò: sarà proprio per questo che uno di loro si è dovuto sorbire la ramanzina sui “valori”?

Stupisce davvero che in presenza di tradizioni ripugnanti “importate” sul nostro territorio, sia stata presa di mira la più innocua. Come ha dichiarato ieri Bal-raj Singh al “Corriere”, «per noi il kirpan non è un’arma, è sacro come per i cristiani il crocifisso: simboleggia la virtù della resistenza al male». Ma resistere al male è anche uno dei miei valori! Peraltro è incredibile che il passato di persecuzioni e massacri non garantisca nessun tipo di “salvacondotto” ai sikh, soprattutto di fronte a un “reato” che non esiste…

È evidente che c’è qualcosa di totalmente sbagliato nell’approccio delle nostre istituzioni al problema dell’immigrazione. Non vorrei nemmeno parlare della canea di commenti contro gli italiani scatenata dal riferimento ai “valori”: per rifondaroli e sellini, o come diavolo si fanno chiamare ora, gli italiani sono come al solito tutti stupratori, drogati, evasori, corrotti, fancazzisti, mafiosi…

Però anche questo fa parte del problema: come ho già rilevato, c’è una parte di società italiana (numericamente irrilevante ma potentissima dal punto di vista politico e mediatico) che sostiene l’immigrazione solo e soltanto per odio verso i propri connazionali. È questa zona grigia ad averci regalato il primo minstrel show nazionale, con l’imitazione di un domestico filippino che per anni ha deliziato i palati antirazzisti.

Il fatto che la sentenza di cui stiamo parlando non abbia ispirato la solita sceneggiata da parte di tale “zona grigia”, mi fa appunto pensare che i sikh siano una di quelle categorie “sacrificabili” a fini della gestione del consenso (e del dissenso). Dietro i proclami di “integrazione” fa capolino sempre più spesso la pura e semplice disintegrazione. Tale ambiguità suggerisce il vero ruolo dell’immigrazione di massa nella “società multiculturale” su cui si elucubra continuamente: un mezzo di controllo delle classi subalterne, un “dispositivo” (per usare un sofisma della filosofia contemporanea) per il contenimento di chi vive nei quartieri “disagiati”, ai margini delle fortezze che i filantropi stanno edificando.

In tutto questo, forse solo gli “arcipelaghi culturali” potrebbero salvarci: fortunatamente i sikh sono così saggi e pacifici da non scatenare alcuna guerra santa per difendere un loro diritto; altrimenti risulterebbe arduo non unirsi a loro nella difesa, almeno all’arma bianca, dei nostri veri valori.

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