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Il puzzle Moro e il patchwork Fasanella

Il puzzle Moro è il tipico libro di Fasanella che si legge tutto d’un fiato: quello che però lo differenzia dagli altri titoli della ormai vastissima bibliografia del giornalista è la sua natura di patchwork, quasi un “bignami” della pluridecennale ricerca fra misteriosi intermediari, anglomani ignoti, archivi dei servizi e memoriali d’antan. Chi conosce l’Autore, sa esattamente di cosa sto parlando: tuttavia pare che stavolta egli sia riuscito a dimostrare la validità della famigerata regola dei “sei gradi di separazione” anche nel campo della dietrologia, come a dire che ogni complotto può essere collegato a qualsiasi altro attraverso una catena di relazioni con non più di cinque intermediari.

Riconosciamo quindi che la ricapitolazione di tutti i volumi del Fasanella, integrati con le conclusioni dell’ultima commissione Moro (quella presieduta da Fioroni) e l””ultimo segreto” di Cossiga (un intervento di unità speciali di Gladio nella fase decisiva del sequestro), è un’operazione azzardata, poiché mettendo troppa carne al fuoco rischia di indurre parecchio scetticismo nelle “matricole” della morologia.

Detto questo, però, non possiamo fare a meno di ammettere che anche tale opera, al pari di tutte le altre, merita più di una lettura e che, per quanto poco condivisibili siano alcune sue deduzioni, l’Autore è degno di stima non fosse solo per la “sprezzatura” con cui tratta molti dei protagonisti (ma sarebbe meglio dire “antagonisti”) della vicenda, infischiandosene del loro status di “mostri sacri” (ma sarebbe meglio dire “vacche” – sempre “sacre”, s’intende).

Gli ex-brigatisti nel migliore dei casi sono ridotti a “utili idioti”, manovrati da mandanti che ancora oggi non riescono nemmeno a concepire; gli intellettuali a “firmaioli sempre pronti all’uso” (in particolare quelli francesi, nei confronti dei quali Fasanella mostra apertamente il suo disprezzo, da Sartre a Deleuze e da Foucault a Guattari); i politici anglofili sono tutti traditori e venduti, e i giornalisti comparse evanescenti, caratteristi a malapena sostentati con quattro paghe per il lesso.

Nel contrasto, risalta invece il “genio politico” di Aldo Moro e la coriaceità della parte migliore della Democrazia Cristiana, quella che seppe tener testa a mezzo mondo, assieme agli altri nomi del “martirologio” di Fasanella, che va da Enrico Mattei alle innumerevoli vittime dimenticate dello stragismo.

È un puzzle sui generis, quello del Nostro, quasi l’anticamera di una nuova “religione civile” da opporre a decenni di pregiudizi anti-italiani forse calcificatisi proprio in coincidenza dell’assassinio di Moro, con le parole d’ordine della “strage di stato” e della “strategia della tensione”: col senno di poi, una squallida estensione dell’accusa di vittimismo che ancora oggi impedisce di credere che l’Italia del 1978 fosse davvero al “centro del mondo”.

Nelle carte desecretate dei servizi inglesi si percepisce la stizza, ai limiti dell’isterismo, per una “potenza di terza classe” divenuta in brevissimo tempo ago della bilancia tra impero sovietico e americano, perno della politica occidentale nel Mediterraneo, in Oriente e nel mondo arabo, gigante industriale dell’Europa meridionale. La “diversa azione sovversiva” auspicata dalla Perfida Albione si concretizzò quel 16 marzo in Via Fani, versione “sinistra” dei vari golpe “destrorsi” architettati e sventati nel decennio precedente.

Sì, forse il puzzle è troppo facile da mettere assieme e noi stiamo semplicemente fantasticando su una storia narrata da un idiota, piena di rumori e di furiaShakespeare, non ce l’ho con Fasanella); però ci meritano, dopo anni di oltraggi e umiliazioni, di scrivere la “nostra” come vogliamo, per noi stessi e per quelli che verranno, in modo che non credano che questo Paese sia stato guidato solo da complessati e autolesionisti.

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