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Il quarto calice di Scott Hahn: un libro per la Pasqua

Come “lettura pasquale” non posso che consigliare Il quarto calice di Scott Hahn, teologo americano legato all’Opus Dei, appena dato alle stampe dalla Ares. Si tratta di un’opera che affronta le radici ebraiche della Pasqua cristiana da una prospettiva non accademica e non “dialogante”, in cui classici motivi apologetici si intrecciano a interessantissime annotazioni autobiografiche: Hahn racconta la sua conversione da una versione conservatrice del presbiterianesimo al cattolicesimo non senza spunti polemici di rilievo storico-culturale, come gli scontri con i suoi ex confratelli della Orthodox Presbyterian Church sulla necessità di comunicarsi più spesso, seppur “simbolicamente”, alla maniera dei protestanti (“Alcuni membri della mia congregazione […] erano ex-cattolici, e […] mi avvertirono che avevo tendenze cripto-cattoliche”; sempre secondo costoro, “i cattolici erano convinti di sacrificare Gesù ripetutamente, uccidendolo e ri-uccidendolo ogni volta che celebravano la Messa”).

Le fonti principali di Hahn sono… i commentari rabbinici (il Talmud e la Mishnah). L’Ultima Cena viene approfondita alla luce delle antiche tradizioni ebraiche: il quarto calice del titolo è quello consumato in chiusura del Seder pasquale, che dalla prospettiva dell’Autore Cristo avrebbe procrastinato fino alla sua morte in croce, accettando infine il famigerato “aceto” delle traduzioni evangeliche italiane (va osservato che Hahn non accenna mai al fatto che anche nelle Bibbie inglesi l’óxous venga reso generalmente come vinegar, nonostante il termine effettivamente indicasse anche un vino di bassa qualità, acido, offerto dai soldati romani ai condannati).

In tal modo, Gesù si sarebbe presentato come l’agnello della Nuova Pasqua che i suoi discepoli avrebbero consumato attraverso l’Eucarestia. Nonostante queste verità siano da sempre presenti sin dal principio della Chiesa (e puntualmente Hahn cita diverse fonti del cristianesimo antico) e ancora oggi vengano confermate dallo stesso Catechismo (si veda, solo a titolo d’esempio, §1332-1419), nell’ambito della cultura cattolica contemporanea esse sono state ridotte, più che a giustificazione della presenza reale del Cristo nel sacramento eucaristico, a sostegno secondario al cosiddetto dialogo giudaico-cristiano.

Il consummatum est di Cristo in croce si riferirebbe dunque alla consumazione del rito della Pasqua ebraica, attraverso la quale il Messia si è reso agnello sacrificale: quell’agnello che gli ebrei letteralmente crocifiggevano con legno di melograno e che al quale, secondo lo storico Joseph Tabory, venivano avvolte le viscere attorno alla testa come “la corona di spine di Gesù”. Anche queste comparazioni sono di prassi nell’ambito della tipologia (branca della teologia che collega i tipi veterotestamentari agli antitipi neotestamentari), tuttavia in una prospettiva apologetica acquistano un senso nuovo, che l’Autore indirizza, purtroppo senza approfondire, a conclusioni girardiane: “Diversamente dai riti dell’Antico Testamento, […] il sacrificio di Gesù fu completamente sufficiente e irripetibile. […] Per i cristiani, la morte di Gesù aveva posto fine ai sacrifici offerti nel Tempio di Gerusalemme. […] Con il mistero di questa nuova Pasqua, la prassi dei sacrifici aveva raggiunto la fine della sua utilità”.

Perciò invito a immergersi in questa lettura semplice e al contempo profonda del sacramento centrale della fede cattolica, che nei secoli ne ha caratterizzato sempre più marcatamente l’identità e ancora oggi, come si evince dalle annotazioni autobiografiche di Hahn, è il principale terreno di scontro con le altre denominazioni cristiane, anche quelle a lor dire più “tradizionali”.

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