Vorrei l’aiuto dei lettori per scrivere un romanzo 100% americano. Questa sarebbe una sorta di introduzione. Se c’è qualcuno in grado di darmi suggerimenti o consigli, oppure proseguire direttamente nella narrazione, egli è il benvenuto.
IL ROMANZO PIÙ AMERICANO DI TUTTI I TEMPI
A Pleasantville, l’ispettore di polizia Mike Thompson stava per addentare il suo hotdog burger alla pancetta e cetriolini con doppia mostarda quando il suo vice, Kevin Johnson, entrò tutto trafelato per informarlo di un complotto atto ad assassinare il Presidente tramite dei terroristi islamici transessuali.
“Lo sapevo!”, esclamò il Commissario sbattendo il pugno sulla scrivania. “Voglio una retata di tutti i serial-fottuti-killers arabi della città, dovete setacciarli da capo e piedi e dirmi anche il numero di dannati peli che hanno su quel loro disgustoso deretano da negri della sabbia con i capelli viola!”.
“Sarà fatto immediatamente Sergente!”, rispose con un inchino il solerte sottoposto. Kevin Johnson era il vice ispettore di polizia di Pleasantville, noto per la sua determinazione e il suo impegno incondizionato verso la giustizia. Alto e muscoloso, con un sorriso smagliante e occhi azzurri penetranti, Kevin incarnava l’ideale del poliziotto americano: duro con i criminali, ma dal cuore d’oro.
Nato e cresciuto in una famiglia di poliziotti, Kevin aveva sempre saputo che il suo destino sarebbe stato quello di seguire le orme di suo padre e di suo nonno, entrambi rispettati membri delle forze dell’ordine. Sin da bambino, aveva sognato di indossare la divisa e proteggere la sua comunità. Da adolescente, eccelleva nello sport, giocando come quarterback della squadra di football del college, la quale era riuscita a trionfare numerose volte grazie al suo talento e alla sua grinta.
Dopo aver completato l’accademia di polizia con onore, Kevin era tornato a Pleasantville, determinato a fare la differenza. La sua prima assegnazione era stata come agente di pattuglia, dove aveva guadagnato rapidamente la reputazione di sbirro incorruttibile e coraggioso. Non passò molto tempo prima che fosse promosso a vice ispettore, lavorando fianco a fianco con l’ispettore Mike Thompson.
Kevin viveva in una casa accogliente con la moglie, Linda, e i due figli Tommy e Jenny. La famiglia Johnson era il ritratto della felicità americana, con il tipico cane di famiglia, Max, che correva nel giardino sul retro e una bandiera americana che sventolava orgogliosamente davanti alla porta. Ogni domenica, Kevin portava la famiglia in chiesa e poi a pranzo al ristorante locale, un vero e proprio rito di comunità.
Oltre al suo lavoro di polizia, Kevin era un membro attivo della comunità. Organizzava la fiera annuale della città, dove si esibiva in dimostrazioni di sicurezza e prevenzione del crimine. Era anche l’allenatore della squadra di baseball di Tommy e partecipava regolarmente alle attività della scuola di Jenny, sostenendo sempre il valore dell’educazione e dell’impegno.
Kevin era anche un patriota convinto. Ogni anno, durante il 4 luglio, organizzava una grande festa in giardino con fuochi d’artificio, barbecue e musica country, dove amici e vicini si riunivano per celebrare l’Indipendenza Americana. Per lui, essere americano significava libertà, giustizia e la possibilità di inseguire i propri sogni.
L’ispettore Thompson era invece un tipo più ombroso e scontroso. Con il distintivo sempre ben lucido e il cappello da poliziotto calato sugli occhi, Thompson incuteva rispetto e timore in egual misura. Era un uomo di poche parole, preferendo che le sue azioni parlassero per lui.
Il vecchio Mike era un veterano della polizia con un passato burrascoso. Cresciuto nei quartieri duri di Chicago, aveva conosciuto il lato più tenebroso dell’umanità fin da giovane. Dopo essersi arruolato in polizia, era stato trasferito in varie città prima di approdare a Pleasantville. La sua esperienza lo aveva reso cinico e disilluso, ma anche incredibilmente capace nel non dare mai tregua al crimine.
Mike Thompson viveva da solo in una modesta casa alla periferia di Pleasantville. Le pareti erano decorate con trofei e medaglie dei suoi anni di servizio, ma c’era anche una collezione di bottiglie di whiskey che testimoniava le lunghe notti passate a riflettere sul suo passato. Thompson non era il tipo da socializzare con i vicini o partecipare agli eventi comunitari; preferiva la compagnia del suo vecchio cane, Max, e delle sue fedeli sigarette Marlboro.
Le giornate di Thompson erano scandite dalla routine: sveglia all’alba, caffè nero senza zucchero e un’ora di jogging nel parco locale. Al lavoro, era conosciuto per il suo metodo spiccio e la sua intolleranza verso la burocrazia. Non amava i formalismi e non si faceva problemi a infrangere qualche regola se ciò significava risolvere un caso. I colleghi rispettavano la sua esperienza, ma spesso trovavano difficile lavorare con lui a causa del suo carattere brusco.
Thompson aveva perso la moglie in un tragico incidente stradale molti anni prima, un evento che lo aveva segnato profondamente. Da allora, aveva dedicato la sua vita al lavoro, cercando di riempire il vuoto con casi complessi e pericolosi. La sua devozione alla giustizia era incrollabile, ma il prezzo era stata la sua stessa felicità. Il suo motto, “La giustizia prima di tutto”, rifletteva la sua filosofia di vita.
Ora tuttavia la sua carriera aveva una svolta imprevista: il Presidente in persona, James William Smith, stava per venire a Pleasantville a tenere il suo ultimo discorso elettorale prima delle elezioni del midterms e la notizia aveva messo in subbuglio la tranquilla cittadina, che non aveva mai ospitato un Capo degli USA
Per Thompson, la sicurezza del Presidente era una priorità assoluta. Sebbene il suo carattere aspro lo rendesse riluttante a lavorare sotto i riflettori, sapeva che questo compito richiedeva tutta la sua esperienza e attenzione. Per questo rimase ancor più scosso dalla rivelazione del suo vice Kevin Jay.
Thompson convocò immediatamente una riunione con il vice ispettore Kevin Johnson e il resto del team per discutere le misure di sicurezza. La minaccia degli arabi trans era presa in seria considerazione da tutte le principali agenzie di sicurezza federali, e nessuno si sarebbe potuto concedere il lusso di sottovalutarla, specialmente gli addetti al benessere della comunità, gli angeli custodi in divisa che difendevano le case bianche con i loro giardini curati e le bandiere americane sventolanti.
Purtroppo a Pleasantville non era tutto rose e fiori. L’ultima Amministrazione democratica aveva infatti concesso a immigrati e transessuali di invadere la cittadina con una velocità spaventosa.
Lo sapeva bene John Smith, un veterano dell’esercito, che in un caldo pomeriggio del 4-fottuto-luglio scattò in piedi dalla sua sedia a dondolo sulla veranda e, inforcato il suo cappellino da baseball con la bandiera americana, i suoi Jeans Levi’s e una t-shirt con l’aquila calva, si mise all’inseguimento, assieme al suo cane da caccia Max, di una carovana arcobaleno che proprio in quella giornata sacra per la nazione aveva organizzato il primo Gay Pride a tema messicano e con l’approvazione dell’Imam locale, insediatosi grazie alla pressione dei comitati elettorali democratici locali.
“Che cosa vuole fottutamente fare questa gente?”, esclamò J. Smith mentre le immagini dei combattimenti in Iraq a cui aveva partecipato gli passavano davanti come flashs…
Buon Ferragosto, Mister!
Scrivo per Einaudi da vent’anni.
Storia divertente ed idea molto carina ma… come prosegue? Mi ha ricordato vagamente American Gods di Neil Gaiman, che, come te, scrive per sfottere
i miti americani ma senza calcare troppo la mano. Se vuoi, mandamela quando hai finito. Ma un consiglio: parti sempre dal finale e costruisci la storia all’indietro. Sennò alla fine non sai più come andare avanti. Ciaos.
Ciao King, sei forte