Il tesoro di Alarico: il turismo italiano riparte da Himmler?

Da oltre un millennio e mezzo in terra di Calabria si va a caccia del leggendario “tesoro di Alarico”, il bottino del saccheggio di Roma col quale il re dei visigoti si fece seppellire e che la tradizione quantifica in centinaia di tonnellate d’oro, argento, rubini, opali, avorio, zaffiri, gioielli, tiare, forzieri, statue sacre, piatti, calici e persino -sempre secondo le leggende- la mitica menorah del Tempio di Gerusalemme.

Secondo la testimonianza del Giordane, storico bizantino di lingua latina del VI secolo, che a sua volta si rifà a un manoscritto perduto d’un monaco calabrese, Alarico morì forse trafitto da una lancia mentre viaggiava verso la Sicilia e fu sepolto sotto un fiume in onore dei suoi natali danubiani (il re dei Balti nacque sull’isola di Peuce). Affinché il luogo rimanesse ignoto in eterno, gli uomini del sovrano sterminarono i testimoni, in primis i prigionieri che avevano fatto deviare il corso del fiume e scavato il colossale ipogeo.

Tradizionalmente il luogo della sepoltura è ritenuto essere il letto del Busento, tuttavia le ipotesi si sono, come prevedibile, moltiplicate nel corso dei secoli: già ne parlava Alexandre Dumas nel suo Voyage en Calabre, notando che lungo il fiume (où, come on se le rappelle, fut enterré le roi Alaric) i cosentini non smettevano un istante di scavare. Alla fine degli anni ’80 i fratelli Bosco, due archeologi dilettanti, scoprirono su un colle chiamato Rigardi (a lor dire un “toponimo gotico”, col senso di “guardare verso un luogo con devozione e rispetto”), a Mendicino, nei pressi del fiume Caronte (affluente del Busento), una grotta con all’interno una croce lapidea e un altare: la somiglianza con l’Ipogeo delle Dune di Poitiers fece loro ipotizzare una possibile presenza del tesoro lì sotto (cfr. La leggenda è vera, là sotto c’è la tomba tesoro di Alarico, Repubblica, 14 maggio 2001).

Ad ogni modo, un giorno del 1937 giunse da quelle parti persino un certo Heinrich Himmler, che con la sua Ahnenerbe si lanciò all’inseguimento di una stravagante archeologa francese (e anche “rabdomante e radioestesista”), Amélie Crevolin, intenzionata a trovare il tesoro. È risaputo che il sovrano visigoto faceva parte di quella “eredità ancestrale” rivendicata dal nazisti, che non a caso diedero al piano di invasione dell’Italia il nome in codice di “Operazione Alarico”, Unternehmen Alarich.

L’infruttuosa impresa fu immortalata dal poeta locale Michele De Marco (1884–1954) noto con lo pseudonimo di Ciardullo, che compose un’ode facendo il verso alla traduzione carducciana del classico Das Grab im Busento di August von Platen.

Così invece il Ciardullo (per questa ed altre citazioni, cfr. il volume di Tobia Cornacchioli Alarico re dei visigoti. I fatti della storia e del mito nella identità cosentina, Le nuvole edizioni, Cosenza, 2000):

Vengon fieri quei magnanimi
e la fama ancor ne suona
a vergar l’ultima pagina
a sgroppare un nodo antico
a pescar siccome un cefalo
il cavallo di Alarico!

Dopo Himmler, anche Edward Luttwak, politologo conservatore americano molto apprezzato dai talk show italiani, si mise a fare ricerche; come dichiarò nel 2015 al Corriere,

«Nella steppa ucraina sono spuntati tesori d un popolo nomade iranico, gli sciti. Gente che seppelliva i re sotto tumuli uguali a quelli dei goti, coi cavalli e tutti gli ori. Gli archeologi russi hanno usato rilevatori d anomalie magnetiche, modelli molto avanzati di Mad. Perché non fare lo stesso? Ce li hanno tutte le marine militari, sono radar che da un elicottero vedono qualunque massa metallica sottoterra. Quelli d ultima generazione, li utilizza Israele: servono a individuare le armi nei tunnel di Hamas».

In verità Tel Aviv declinò immediatamente l’invito: “Noi possiamo individuare nel sottosuolo masse metalliche anche piccole, ma la nostra tecnologia è segreta: le industrie per la sicurezza non intervengono in operazioni diverse dalla difesa”.

In quell’anno però sembrava davvero tutto fatto: il sindaco di centro-destra aveva già programmato la bonifica degli argini del fiume e predisposto droni e georadar per ripescare il tesoro e collocarlo in un “Museo dei Goti” costruito all’occorrenza. Per lanciare l’impresa, puntò tutto sul brand Himmler, facendo pubblicare la foto del gerarca nazista sulle brochure di promozione turistica (“Alarico ci serve, sapete quanti turisti ci possono arrivare dalla Germania?”).

Quel sogno di una Calabria arianizzata attraverso il turismo fu però spento pochi mesi dopo dalla crudele Roma (col senno di poi non ebbe tutti i torti il von Platen a cantare “Keines Römers schnöde Habsucht | soll dir je dein Grab versehren!”, reso da Carducci come “Man romana mai non vìoli | La tua tomba e la memoria!”), che negò l’autorizzazione agli scavi appellandosi alla “mancanza di prove”.

Sembra però che ora, con il collasso indotto del settore, qualche gazzetta calabra stia già rispolverando l’idea di ripartire con la “caccia al tesoro”. E il testimonial sarà sempre lo stesso, quel prototipo di “turista tedesco” che, in un corteo di Mercedes, sembrava volesse trovare l’Agartha in provincia Cosenza? Alla fine, di questi tempi, tutto fa brodo.

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