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Il vampiro e il rivoluzionario: per Haaretz Bloomberg e Sanders sono due caricature antisemite

Sanders vs. Bloomberg Scenario Is Like a Jewish Joke Turned Ominously Real
(Haaretz, 20 febbraio 2020)

Il compianto Leo Rosten scriveva nel suo libro Hooray for Yiddish che ogni volta che suo padre rimaneva affascinato dalle meraviglie degli Stati Uniti, invece che con la solita battuta “Only in America” commentava con il motto “America gonef”, cioè “America ladra”, un’espressione che per gli immigrati ebrei è diventato un modo di manifestare la loro infinita gratitudine per il Paese che li ha accolti e fatti prosperare.

Rosten racconta che suo padre, Sam Rosenberg (da Lodz), era solito esclamare America gonef almeno cinque volte al giorno. Se fosse vivo oggi per assistere alle primarie democratiche, il vecchio Sam avrebbe sicuramente raddoppiato o triplicato la sua dose giornaliera di imprecazioni. Come se non fosse abbastanza sorprendente che un ebreo stia guidando il gruppo democratico, il suo principale sfidante potrebbe benissimo essere un altro ebreo.

Il fatto che Bernie Sanders sia ora al primo posto nella corsa democratica è di per sé un evento unico nella storia dell’ebraismo americano. La possibilità che nella resa dei conti finale Sanders possa affrontare Bloomberg dimostrerebbe che la storia degli ebrei d’America ha preso una piega surreale. Il fatto che due ebrei possano contendersi una nomina per un un grande partito degli Stati Uniti testimonia l’importanza e l’inclusione della più grande diaspora ebraica dell’era moderna.

Sfortunatamente tutto ciò giunge in un momento in cui la stessa comunità ebraica si sente vulnerabile e l’antisemitismo è in aumento, in particolare nel campo repubblicano: se Sanders o Bloomberg si affrontano contro Donald Trump, un’impennata antisemita della destra suprematista bianca è quasi inevitabile.

Oltre alla loro ebraicità, che entrambi hanno “miracolosamente” riscoperto in campagna elettorale, i due candidati hanno altre caratteristiche in comune. Sono nati a quattro mesi di distanza l’uno dall’altro: un presidente Sanders celebrerebbe il suo ottantesimo compleanno nel suo primo anno di mandato, Bloomberg all’inizio del secondo. Entrambi sono arguti e dotati di lingua affilata, con tanti ricordi e poca pazienza: in yiddish qualcuno li descriverebbe come alter kakers (“vecchi tromboni”).

Come vuole la “fortuna” (mazel) ebraica, Sanders e Bloomberg non sono semplicemente due contendenti: sono antagonisti in rotta di collisione. Dal punto di vista politico, Bloomberg incombe già sulla probabile parata della vittoria di Sanders dopo i caucus del Nevada. La qualifica dell’ex sindaco di New York per il dibattito di mercoledì sera a Las Vegas ha rubato in anticipo le luci della ribalta di Sanders; i loro scontri hanno generato più aspettativa rispetto a tutti i precedenti dibattiti democratici.

Se Bloomberg sopravvivesse a Joe Biden, Pete Buttigieg e Amy Klobuchar come ultimo tra i candidati centristi del partito, potrebbe diventare il potenziale avversario di Sanders. Negli shtetl dei loro antenati in Polonia, i seguaci di Sanders avrebbero definito Bloomberg un mazik, una specie di spiritello che viene di notte a fare dispetti.

In questo caso, tuttavia, a scombinare i piani di Sanders è un mega miliardario di Wall Street: persino il più fantasioso sceneggiatore di Hollywood non riuscirebbe a concepire due protagonisti di una storia come stereotipi da guerra di classe: il barone dell’establishment e l’attivista radicale. Entrambi i caratteri, ovviamente, sono i prediletti della maggior parte degli antisemiti: il capitalista ebreo succhiasangue contro il rivoluzionario anarchico ebreo, come se una macchina del tempo ci avesse riportato all’inizio del XX secolo.

Il fatto che Sanders e Bloomberg provengano da quartieri opposti significa anche che la loro guerra sarà spietata. La loro rivalità personale rappresenta quasi uno “scontro di civiltà”. È una lotta che potrebbe fare a pezzi il Partito Democratico, tra i moderati che accusano i progressisti di appoggiare un candidato troppo lontano dal mainstream e i progressisti che rispondono accusando i moderati di essersi venduti l’anima a Bloomberg per una pallidissima possibilità di battere Donald Trump. Se non viene tenuta sotto controllo, la battaglia potrebbe consumare le energie dei democratici prima ancora dell’inizio della vera guerra.

Lo scontro potrebbe inasprirsi ulteriormente tra i democratici ebrei, che comprendono la stragrande maggioranza della comunità ebraica nel suo insieme, e non solo perché Bloomberg e Sanders sono loro landsman (termine usato per indicare i nuovi immigranti ebrei della stessa regione). Oltre alle prevedibili scaramucce tra i sostenitori (più giovani) di Sanders e i sostenitori (più anziani) di Bloomberg, tra sinistra e centro, ricchi e meno ricchi, difensori dello status quo e rivoluzionari e così via, c’è la questione specificamente ebraica di Israele, su cui i due candidati all’apparenza sembrano non condividere nulla.

Sanders non ha mai vacillato nel sostegno alla sicurezza e al benessere di Israele, ma è il più critico tra i grandi politici statunitensi delle politiche israeliane nei confronti dei palestinesi in generale e del suo Primo ministro conservatore in particolare. Sanders si identifica per giunta con la crescente ala radicale del partito, che include un notevole “contingente” anti-sionista. Persino la sinistra israeliana non crede che Ilhan Omar, Rashida Tlaib o Alexandria Ocasio-Cortez abbiano a cuore gli interessi del loro Paese.

Bloomberg, d’altra parte, è il classico democratico dell’AIPAC, critico nei confronti di Netanyahu ma generalmente solidale con Israele su molte questioni, in particolare quelle legate alla sicurezza. I sostenitori tradizionali di Israele si sentono sicuramente più a loro agio con lui che con Sanders.

La comparsa di Bloomberg sulla scena democratica rende la vita di Netanyahu più semplice e complicata allo stesso tempo. L’exploit di Sanders ha posto sia Netanyahu che l’AIPAC nella vergognosa situazione di congiurare per sabotare la candidatura presidenziale del primo ebreo in un grande partito. Con Bloomberg in gioco, almeno l’AIPAC ora può affermare di preferire un candidato ebreo all’altro; Netanyahu potrebbe fare lo stesso, rischiando però di incorrere nelle ire di Trump.

È un vero campo minato per Israele, per i democratici e per la comunità ebraica americana. “Due ebrei partecipano a una corsa presidenziale” potrebbe sembrare l’inizio di una storiella ebraica, invece è una realtà surreale e potenzialmente pericolosa. D’altra parte, due ebrei sono la base di qualsiasi dialogo della letteratura yiddish e per parafrasare la classica risposta di Tevye il lattaio alle cattive notizie nei suoi colloqui con il suo creatore Shalom Aleichem: “Basta con le tzure (problemi). Parliamo di qualcosa di più allegro: novità dal coronavirus?”

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