Immigrazione e Capitale “all’ombra dell’Impero”

[Alcune considerazioni a margine del saggio di Maximilian C. Forte Immigration and Capital (“Zero Anthropology”, 3 agosto 2016), tradotto in italiano da Vocidallestero].

Antonio Negri, detto Toni, poco tempo fa (2016) ha dato alle stampe l’ennesima autobiografia (seicento pagine), questa volta intitolata Storia di un comunista, nella quale, al pari delle altre, celebra le proprie epiche gesta ad onta di qualsiasi “pensiero critico”. L’unico motivo per cui il sottoscritto l’ha letta era solo quello di capire se il filosofo avesse trovato anche il tempo di dire qualcosa sul capitalismo contemporaneo e sul senso da dare alla pesantissima trilogia firmata assieme a Michael Hardt, iniziata con Impero e proseguita con MoltitudineCommonwealth.

Dopo aver appreso infiniti aneddoti sulla sua vita di “attivista” (tutti rievocati con la “lingua di legno” anni ’70), dalla militanza in Azione Cattolica alle simpatie per il Movimento Federalista Europeo, dall’anno passato nel kibbutz (gulp!) alla partecipazione alla creazione delle Brigate Rossonere (sì, quelle milaniste), non ho però trovato alcuna considerazione degna di nota sull’ora presente. Dunque devo ipotizzare che sia ancora valida la favola del ControImpero, della globalizzazione come occasione di rivoluzione: Deleuze che rimpiazza Marcuse che rimpiazza Marx, il proletariato trasformato in “moltitudine” e il capitalismo in  “Impero”, nuovo catalizzatore del pieno sviluppo delle forze produttive (questa volta indirizzato in interiore homine, come una sorta di “borghesizzazione spirituale”). Il tutto aggiornato all’endorsement più recente di cui siamo a conoscenza, quello a Bernie Sanders, rivelatosi infine solo uno specchietto delle allodole per la prosecuzione del piano clintoniano con altri mezzi: per certi versi, una conferma indiretta del fatto che la globalizzazione in Negri rimane ancora un momento necessario all’ultima rivoluzione dell’umanità.

Se le cose stanno davvero così, allora si apprezzi il paradosso di un Donald Trump che è più anti-capitalista di tutta la compagnia cantante di post-operaisti, lottacontinuisti e rivoluzionari al caviale. Parlavamo infatti di “favola” dell’Impero parallelo: al di là dei messianismi rivoluzionari assortiti (come lo stucchevole, ma col senno di poi anche inquietante, riferimento a San Francesco come “modello di militanza comunista” nelle pagine conclusive della “Bibbia no-global”) e di tutto il condimento di banditismo romantico, culto del ribelle, sentimentalismo brigatista ecc…, è doveroso osservare che la proposta politica di Negri e Hardt alla fin fine si riduce solo al reddito garantito e alla cittadinanza universale.

Per farla breve, l’Impero è bello perché impone la “religione materiale del senso”, quindi porta la gioventù a interessarsi solo di droga, discoteche, piercing e tatuaggi (sic sic sic), oltre che naturalmente alla “sessualità alternativa” (qualsiasi cosa significhi) e, in ultima analisi, al puro e semplice fancazzismo (sì, questo è quel che c’è scritto in Impero, anche se forse qualcuno non ha ancora capito). Da tale prospettiva, l’operaismo di Trump è perciò controrivoluzionario (perché ovviamente subordinato all’appartenenza nazionale), mentre la “moltitudine desiderante”, l’allegra carovana di spiantati dei centri sociali che apprezza la recessione e la disoccupazione come tappe verso lo svaccamento universale (magari finanziato da Soros), rappresenta invece l’autentica forza rivoluzionaria della nostra epoca.

Stavo proprio ripensando a tale “proposta politica” (mah) alla luce del cattivismo di Trump sull’immigrazione, notando che se tale atteggiamento viene interpretato solo come “razzismo congenito” di un maschio bianco etero, quando però ricondotto al suo contesto lo si scopre a tutti gli effetti organico alla politica economica del Presidente repubblicano, che è appunto post-capitalista, se non addirittura anti-capitalista nella misura in cui il capitale oggi è “imperiale” in senso negriano, cioè globale, finanziario, anonimo, sovra-nazionale (anti-nazionale?), nonché “svaccato”.

Probabilmente persone come Toni Negri, che pure si sentono così engagé rispetto al ridicolo “movimentismo” contemporaneo, ignorano l’identità politicamente surreale della base dell’estrema sinistra (formula con la quale ci rifacciamo a tristi figuri come Sanders o Corbyn o Iglesias di Podemos). Per esempio, i sanderiani che hanno boicottato la Clinton fino ad arrendersi alla sua poco gioiosa macchina da guerra politico-mediatica, in materia di immigrazione non sanno davvero che pesci pigliare: il loro canuto leader inserisce nella sua fantasmagorica idea di “socialismo” una schietta avversione all’ideologia no border (caricatura terminale e contraddittoria della galassia no-global), tanto che durante le primarie democratiche Hillary lo accusò di condividere in materia le stesse opinioni di Trump. È singolare, a pensarci bene, il connubio tra squatter tatuati e attempati barricadieri come Sanders e Corbyn, il cui incontro lo stesso Negri celebra come momento fondativo di una “nuova sinistra”: «Persone che hanno fatto il Sessantotto e le lotte degli anni Settanta oggi sono trascinati dall’entusiasmo dei giovani che hanno fatto le lotte alter-mondialiste e quelle di Occupy» (ma sull’immigrazione il deprimente politicante laburista è addirittura “peggiore” del suo omologo newyorchese).

Non si capisce in che modo, al di là di una photo opportunity, si possa conciliare il mondo del “meticciato” (sempre da intendersi come espressione dello “svaccamento universale”, perché l’africano che vuole un lavoro retribuito in modo decente è già un po’ populista e sovranista) con il vetero-laburismo di chi sa benissimo (anche quando finge di non saperlo) che ormai “globalizzazione” è solo un altro nome della guerra del capitale contro i salariati. Tutte le altre baggianate stile “fine della storia”, dal genere non-binario al guevarismo postpunk, dai pirati somali ai gay latino-americani fino a Black Lives Matter (è questa la “moltitudine” di Negri, non invento nulla), non sono che i vestiti nuovi dell’imperatore, visto che con questi quattro scalzacani non ci si fa non dico una rivoluzione, ma manco un torneo di calcetto (che peraltro è anche razzista sessista machista e pure cisessuale).

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