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In Europa siamo già al “sangue contro oro”

Das heutige Europa (caricatura tedesca di fine ‘900)

Il povero eurocommissario Günther Oettinger non credeva di sollevare un tale polverone affermando alla “Deutsche Welle” che «i mercati insegneranno agli italiani a non votare per i partiti populisti». In particolare, ad averlo sorpreso deve esser stata la reazione dei più importanti esponenti del partito attualmente meno importante:

Ma come, non è lo stesso Calenda ad aver detto una settimana prima (22 maggio su Twitter) che «l’andamento dello spread dimostra […] [che] la questione non è l’UE o il Fiscal Compact ma chi ti compra il debito. E li c’è poco da battere i pugni sul tavolo o schiamazzare»? Se a questa aggiungiamo i titoloni e le sparate di piddini e tecnocrati assortiti, che dalla fine delle elezioni pongono, ormai apertamente, il giudizio dei “mercati” al di sopra di qualsiasi processo democratico, saremmo costretti a riconoscere che non è il solo Oettinger a doversi scusarsi ufficialmente.

A meno che, è chiaro, la reprimenda da parte dei “più realisti del re” non sia semplicemente dovuta a un eccesso di sincerità da parte del Commissario (che peraltro è un noto gaffeur, nella misura in cui l’aggettivo “noto” si possa applicare a un opacissimo burocrate), il quale ha posto la questione negli unici termini possibili. Che l’Unione Europea sia in balia dei mercati è infatti cosa talmente nota che nessuno ha mai provato a metterla in discussione: anche le varie “sinistre” del Vecchio Contiente, quelle che ancora vagheggiano di Altre Europe, si sono sempre rifiutate non solo di affrontare la questione, ma anche semplicemente di riconoscerla.

È da tale impostazione, e non dai “residui di nazionalismo”, che si è diffuso in Europa un sentimento anti-tedesco, del quale è sintomatica l’inutile polemica di cui sopra (perché, come abbiamo notato, gli “italiani” che accusano il “tedesco” in realtà ne condividono pienamente il pensiero). I progressisti europei non hanno mai provato a portare la polemica a un livello ulteriore (per esempio evocando l’opposizione capitale-lavoro), accecati dal miraggio dell’Europa unita come valore assoluto da raggiungere con ogni mezzo e sacrificio necessario.

Così siamo giunti oggi al paradosso di una “sinistra” (espressa in varie anime, come dicevamo: socialista, socialdemocratica, radicale, estremista ecc…) che, incapace di riconoscere il “nemico”, non può che affidarsi alla demonizzazione perpetua delle rispettive appartenenze nazionali, e ridursi quindi ad accusare tanto gli italiani di essere “troppo italiani” quanto i tedeschi di essere “troppo tedeschi”.

Un discorso simile può essere ovviamente fatto per i “popolari” (Oettinger del resto è uno di loro), i quali tuttavia hanno ancora la scorciatoia di un progetto politico da “Fortezza Europa”, l’esaltazione per un continente unito dal turbo-capitalismo che combatte guerre commerciali da Oriente a Occidente; e pure nel peggiore dei casi, i centristi di destra potrebbero eventualmente agganciarsi alle forze emergenti di stampo conservatore.

Perché il punto in effetti è proprio questo: con l’europeismo intrappolato nella pars destruens, ai “sovranisti” si aprono praterie politiche infinite. Allevati essi stessi nel mito di una Europa-Nazione (che i progressisti hanno creduto di poter orientare in modo che la forma non ne influenzasse i fini), ora i nuovi nazionalisti possono senza alcuna “cattiva coscienza” dialogare con gli omologhi di altri Paesi in nome di una comune appartenenza.

È in particolare grazie a una identificazione sempre più netta del “nemico”, che i sovranisti-populisti possono trovare un facile alibi per arginare l’odio intraeuropeo: un esempio immediato è quello appunto prodotto dalla demenziale retorica “dei mercati”, che ha fatto riemergere la vecchia suggestione del sangue contro oro.

Quindi, mentre i piddini di tutta Europa si raccontano che la colpa della mancata integrazione è della Germania cattiva ed egoista (non avendo alcun criterio per riconoscere che se oggi gli interessi finanziari “parlano tedesco” è solo per accidente, per questioni puramente materiali), al contrario i sovranisti riconosco un nemico comune (i mercati, i poteri forti, il mondialismo) che minaccia ugualmente il popolo tedesco come quello italiano.

Esiste una citazione attribuita a Oswald Spengler piuttosto diffusa a destra: «La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza volerlo». È da anni che tento periodicamente di risalire alla fonte, ma pare che il filosofo del “tramontismo” non abbia mai scritto una roba del genere. Ammettendo però che un Deutero-Spengler avrebbe potuto dirlo, sarebbe comunque possibile inquadrarne il significato nella prospettiva dell’Autore, come attestazione che la dimensione “faustiana” del marxismo (ricordate Mefistofele: «Alles, was entsteht, Ist wert, daß es zugrunde geht», Tutto ciò che esiste merita di essere distrutto) sulla lunga distanza favorisce inconsapevolmente l’avanzata del Großkapital.

Non sono dialoghi sui massimi sistemi, poiché le conseguenze di ogni progressismo frustrato hanno ricadute anche (se non soprattutto) sulla vita dei comuni mortali. Diventa fin troppo facile chiamare in causa quella citazione di Walter Benjamin (forse anch’essa attribuita, o comunque nota perché parafrasata da Žižek): «Ogni ascesa del fascismo reca testimonianza di una rivoluzione fallita». Più che testimonianza di una “occasione perduta”, tale considerazione dovrebbe sancire l’impossibilità per qualsiasi sinistra di porre un limite all’annichilimento da essa stessa generato. L’Unione Europea in cui ci troviamo non ha alcun contenuto positivo da porre e tutto ciò che produce è fallimentare o insignificante, sotto ogni punto di vista, dall’ambito scientifico a quello estetico (anche le banconote che la rappresentano rispecchiano la natura anonima e disumanizzante del grande capitale).

Per questo, in un modo o nell’altro, c’è sempre bisogno di una “destra” che intervenga a porre un limite o un bastione (ma anche solo un “velo pietoso”) alla brutalità dei rapporti di forza che la sinistra è incapace di gestire. Senza nemmeno accorgercene, siamo già nel vicolo cieco del sangue contro oro, e l’insistenza sempre più isterica su spread, austerità, stabilità e coperture non potrà che condurre a un esito catastrofico (seppur meritato).

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