Incel. L’appropriazione del paradigma vittimista come strumento di azione politica

Uno dei motivi per cui mi sono preso una pausa è che il Corriere della Sera ha fatto una “inchiesta” sugli incel senza citarmi (Il nostro viaggio in incognito tra gli uomini che disprezzano le donne, 8 febbraio 2021); o, per meglio dire, l’ha fatto senza linkare o nominare il mio blog. Questa scelta si è tradotta in una perdita netta di introiti dalle mancate visualizzazioni: una pura e semplice umiliazione, per chi si è dato come unica raison d’être la monetizzazione dei propri contenuti.

Per entrare in medias res, si è già discusso anche troppo degli “uomini che disprezzano le donne”. La mia posizione è semplice: arrestarli ed eventualmente giustiziarli. Se un governo qualsiasi si prendesse tale responsabilità, la questione dei cosiddetti “celibi involontari” verrebbe se non altro risolta in modo onorevole. In fondo, è puerile negare che una massa di uomini con troppo tempo libero per meditare sull’insensatezza delle proprie esistenze non rappresenti una minaccia per la società. Il fatto stesso che il Corriere sia costretto a spulciare forum e blog “maschilisti” con l’unico vincolo di non linkarli direttamente (e impedire loro di monetizzare, mevde) testimonia in parte che la “frittata è fatta” (sempre per usare l’imbarazzante gergo plebeo-boomer): la tribù dei maschi inutili è una realtà di fatto e andrebbe, in qualche modo, gestita.

Sia chiaro che l’eventualità di trovarsi di fronte a un’emergenza tanto vaga quanto impellente, non consente comunque di indulgere all’approssimazione e alla faciloneria: al contrario, per trovare una soluzione a un problema bisognerebbe in primo luogo comprendere di che si tratta. Questo nel migliore dei mondi possibili, perché nell’ora attuale le “infiltrate” del Corriere hanno preferito, come al solito, buttarla in caciara. In primis scopiazzando da qualche articolessa americana colma di informazioni rimasticate e teoremi accusatori vari: da qui l’evocazione dell’espressione female humanoid (estranea al contesto italiano, che preferisce l’impareggiabile eufemismo d-parola, e usata solo dagli incel d’oltreoceano peraltro nella crasi femoid) oppure l’ormai frusto rosario dei “terroristi incel” come Elliot Rodger (che non si definì mai tale) o Chris Harper-Mercer (il solito school shooter che nel 2015 entrò in un college dell’Oregon e, come ricorda lo stesso Corriere, sparò a chi si identificava come cristiano).

Questo già inficerebbe l’originalità della “ricerca”, che volendo basarsi su fonti al contempo sia mediocri sia americane (una endiadi), centra il doppio obiettivo di discutere di realtà che non ci riguardano come ci riguardassero e di realtà che ci riguardano come se non ci riguardassero. Basti il riferimento a un pezzo del Redpillatore (Il Privilegio dello Stupro, 6 agosto 2020) che, citato anch’esso in modo scorretto (senza fare nomi né “fare link”), viene senza indugio aggregato alla galassia incel.

Eppure, come dimostra lo stesso nom de plume che si è scelto, le considerazioni del Redpillatore sullo stupro, condivisibili o meno, sono pura redpill; lo stesso Autore, in tempi non sospetti (cioè prima di essere citato indirettamente dal Corriere) aveva precisato per la milionesima volta che il celibe involontario non è di per sé redpillato e probabilmente non è nemmeno così omogeneo alla cosiddetta “androsfera”.

«Non esiste un’ideologia o una “corrente” incel. Essere incel è una condizione passiva, non attiva. È una situazione indipendente dalla propria volontà, dalle proprie idee o dalle proprie scelte. Non c’entra quindi nulla neppure la misoginia: puoi pure essere il più femminista del mondo, puoi pure avere una visione stilnovistica e angelicata delle donne, ma se nessuna ti si fila perché non sei considerato attraente, sei INCEL e su questo non c’è margine di discussione. Basta disinformazione».

Dunque, come si diceva, non ha senso ribattere a chi non è in grado di afferrare una differenza ormai rimarcata decine e decine di volte. Possiamo solo apprezzare la buona fede: l’ispirazione da cui scaturiscono tali analisi pseudo-sociologiche è quella sintetizzabile nella formula “prevenire è meglio che curare”, una filosofia che fa molto Bush 2004 e pubblicità di collutorio (sempre 2004) ma che non può essere adottata anche quando non resta più nulla da prevenire. Per questo sarebbe preferibile proporre la “cura” delle carcerazioni di massa come ultima alternativa al caos: a meno che non si vogliano reintrodurre dispostivi socio-culturali atti a contenere l’ipergamia femminile oppure procedere a una tragica riduzione a poltiglia del maschile (cioè, sulla lunga distanza, dell’umano tout court).

Quest’ultima sembra la strada ormai scelta dal mainstream, anche se in alcuni passaggi l’arringa delle corrieriste pare godere di rari sprazzi di lucidità; per esempio, quando la influencer @eugenialauraraffaella (giustamente indicata col nome del suo account Instragram) osserva che

«il processo per cui un ragazzo arriva all’ideologia incel non credo sia tanto diverso da quello che guida tante ragazze verso il femminismo: si cerca una spiegazione alle ingiustizie del mondo. […] Ma mentre l’ideologia incel mette un filtro di lettura del mondo, il femminismo intersezionale fa il contrario, mettendo da parte l’individualismo, apre ad altre esperienze, per questo è più “difficile”, abbraccia la complessità».

Certo, a monte di tutto c’è sempre Hegel, ma la fatidica “lotta per il riconoscimento” ormai è ad appannaggio solo delle brutte, mentre i brutti sono relegati al ruolo di cose inutili e soprammobili. L’argomento del resto è ormai quasi un “classico”: le zitellone non rappresentano un’emergenza sociale perché al massimo diventano gattare, mentre i maschi soli organizzano fratrie, ghenge e compagnie di merende suscettibili di destabilizzare ogni quieto vivere.

È probabile che al fondo di queste pseudo-inchieste senza capo né coda risieda la appropriazione del paradigma vittimista come strumento di azione politica: in tal caso sarebbe in atto lo stesso meccanismo mimetico che porta a emulare gli atteggiamenti considerati “vincenti” o comunque virtuosi dalla prospettiva comune. Non è però colpa dei maschi soli se il vittimismo è diventato il pilastro di qualsivoglia discorso pubblico: lo ricordava anche Rush Limbaugh, polemista conservatore americano scomparso oggi di cui gli italiani non hanno praticamente mai sentito parlare ma che la nostra stampa è costretta a ricordare come espressione della minacciosa piovra patriarcale sempre in agguato.

Una delle sue storiche citazioni, ricordata soprattutto dalle sue dettatrici, suona così: “Il femminismo è stato creato per consentire alle donne poco attraenti di accedere più facilmente al mainstream”. Alla fine pare che chi governi questo mainstream sia semplicemente interessato a difendere la torre d’avorio in cui si è rinchiuso: la concorrenza tra vittimismi minaccia gli equilibri costituiti in decenni di terrorismo psicologico e manipolazione collettiva. Anche perché i maschi in generale fanno tutto meglio delle d-parola. Persino atteggiarsi a vittime.

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