L’inverno demografico è un problema culturale, non economico (Johann Kurtz)

Johann Kurtz
It’s embarrassing to be a stay-at-home mom
(“Becoming Noble”, 20 agosto 2024)

Nell Dorr, Mother and Child (c. 1950)

I tassi di fertilità stanno crollando in tutto il mondo e non esiste una spiegazione coerente sul perché ciò stia accadendo. Come vedremo, le teorie classiche che fanno riferimento ai cambiamenti nell’economia, nel settore abitativo, nella pratica religiosa, oppure alla contraccezione o ai servizi per l’infanzia, non si adattano ai dati macro e non sono in grado di individuare i fattori cruciali della tendenza.

Ognuno dei fattori nominati, è vero, può svolgere un ruolo importante in determinate circostanze, ma nessuno di essi rappresenta la causa ultima del crollo demografico generale. Non esistono perciò ancora strumenti utili attraverso cui formulare previsioni su cui poi basare delle iniziative politiche efficaci. Una volta dimostrato ciò, proporrò una teoria alternativa e userò questa teoria per suggerire scelte che potrebbero aumentare significativamente i tassi di natalità.

L’interventismo economico non funziona. L’Ungheria spende una fetta eccezionale del suo PIL (il 5%) per aumentare la fertilità attraverso la fornitura di incentivi finanziari: sussidi, agevolazioni fiscali, sovvenzioni alle cure per la fertilità. La situazione disastrosa del Paese è moderatamente migliorata, ma la fertilità complessiva rimane ben al di sotto dei livelli di sostituzione, con un tasso di 1,59 nascite per donna (meno degli Stati Uniti, a 1,66). E una società ha bisogno di un tasso di natalità di 2,1 per sostenersi.

Le nazioni nordiche (scandinave) offrono ulteriori vantaggi economici ai genitori attraverso congedi parentali e politiche di assistenza all’infanzia sostenute dallo Stato, che ha consentito al World Economic Forum di inserirle tra “i migliori posti al mondo in cui avere figli”. In alcuni di questi Paesi, le donne possono usufruire di un congedo parentale di oltre un anno, un dato che mette in dubbio la tesi secondo cui la necessità di lavorare impedisce alle donne di avere figli. Questi Paesi infatti hanno anche alcuni dei tassi di fertilità più bassi al mondo, che per giunta continuano a calare.

Anche il declino della religiosità non sembra offrire una risposta valida. Per esempio, nella fetta della popolazione più praticante (i frequentatori settimanali della chiesa) all’interno del più religioso dei principali Paesi occidentali, cioè gli Stati Uniti, si trovano tassi di fertilità appena oltre la soglia dei livelli di sostituzione, il che implica che le chiese siano incapaci di rinnovare il proprio “gregge” a causa delle defezioni. I tre Paesi europei più religiosi (Romania, Moldavia, Grecia) hanno tutti una crescita demografica in negativo, con il tasso di fertilità della Grecia catastroficamente basso (1,39 nascite per donna). Anche l’Iran, che può ragionevolmente essere descritto come una vera e propria teocrazia, ha un tasso di fecondità totale insostenibilmente basso (1,69).

L’ultimo decennio ha visto un aumento sostanziale della quota di millennial in possesso di un’abitazione (nel 2022, oltre il 50% dei millennial statunitensi erano proprietari di una casa), ma la mancanza di figli nella stessa fascia anagrafica si è imposta a ritmo sostenuto. Il crollo dei tassi di fertilità in Occidente precede di gran lunga l’avvento delle pillole anticoncezionali, così come degli interferenti endocrini e di altri agenti chimici che potrebbero interferire con la salute riproduttiva.

Potrei continuare, ma avete capito: le spiegazioni classiche non offrono analisi coerenti, comprese quelle -apparentemente credibili- fornite dagli stessi gruppi che non hanno avuto figli. Non comprendere ciò porta al disastro, come nel caso della Corea del Sud che spende centinaia di miliardi in incentivi economici per convincere la propria popolazione a fare figli e in contemporanea subisce un crollo ancora più rapido del proprio tasso di natalità.

Ci troviamo quindi di fronte a un apparente paradosso: una tendenza stabile che continua ad affermarsi in tutto l’Occidente, nazione per nazione, generazione dopo generazione, senza un’evidente logica causale. Come si spiega? La mia ipotesi è che esista una causa fondamentale sottovalutata di queste tendenze, la quale si manifesta sotto forma di varie cause prossime (reali e immaginarie) in aree geografiche e tempi differenti. E questa causa fondamentale è lo status.

La mia idea in particolare che i presupposti epistemologici di base che sostengono la civiltà moderna determinano che avere un figlio comporti uno status inferiore rispetto a intraprendere altri progetti, e che ciò provochi un’ipersensibilità dell’intera popolazione a tutti i fattori avversi che rendono più difficile avere figli, qualunque essi siano in una data società. Secondo tale paradigma, se si deve fare un compromesso tra avere figli e un’altra attività che determina un conferimento di status più elevato (un esempio sarebbe “perseguire una carriera di successo” per le donne), allora l’obiettivo di avere figli subirà un declassamento. Poiché avere e crescere figli è intrinsecamente difficile, costoso e richiede molto tempo, questi compromessi sono diffusi e l’obiettivo di avere figli viene di conseguenza ampiamente abbandonato.

Vale qui la pena chiarire i termini della questione. Cos’è lo status? Lo status, o “status sociale”, è un tema chiave della sociologia. Il termine denota un insieme universale di istinti e comportamenti umani. Lo status descrive la posizione percepita dell’individuo all’interno del suo gruppo. Denota il suo valore sociale e il suo posto all’interno delle gerarchie formali e informali che compongono una società. Trova espressione nei comportamenti di deferenza, accesso, inclusione, approvazione, acclamazione, rispetto e onore, nonché negli atteggiamenti opposti come rifiuto, ostracismo, umiliazione e così via.

Agli individui che godono di uno status elevato vengono affidate decisioni influenti (potere), partecipazione a iniziative produttive (risorse), supporto sociale (salute) e accesso a partner desiderabili (riproduzione). Conseguire uno status è una motivazione valida per ogni individuo a partecipare in modo produttivo alla società. Lo status viene acquisito e mantenuto attraverso comportamenti approvati (risultati ottenuti, rispetto dei codici di condotta [etiquette], difesa del gruppo) e attraverso il possesso di “simboli di status” [status symbols] riconosciuti (titoli, ricchezza, beni materiali). Per il gruppo, lo status ha utilità quando coordina le azioni sociali: funge da misura base per attributi come competenza, capacità di leadership e virtù.

Come sostiene Will Storr in The Status Game. On Social Position and How We Use It:

«Concorriamo per lo status, anche se solo sottilmente, in ogni interazione sociale, ogni contributo che diamo sul lavoro, nell’amore o nella vita familiare, così come in ogni post su internet, nonché nel modo in cui ci vestiamo, parliamo e con ciò in cui crediamo. Concorriamo per lo status con le nostre vite, con il modo in cui raccontiamo il nostro passato e con i nostri sogni per il futuro. La nostra esistenza è accompagnata da un sottofondo di emozioni in competizione: possiamo provare brividi quando inciampiamo, anche di poco, e assaporare l’estasi quando ascendiamo [nello status

Come fattore esplicativo, lo status ha il vantaggio di essere un attributo relativo, anziché assoluto. Attribuire uno status esplicativo primario a qualsiasi fattore assoluto è difficile perché quasi tutti i fattori materiali sono migliorati negli ultimi due secoli, mentre la fertilità è diminuita. È difficile sostenere che i millennial non possono avere figli a causa dell’insicurezza economica quando i loro antenati avevano un tasso di fertilità più elevato pur vivendo in condizioni di povertà molto più accentuate (e inoltre esperivano anche altre “insicurezze” a livello di salute e di alimentazione, aspettandosi pertanto che molti dei loro figli potessero morire durante l’infanzia).

Lo status è una questione di importanza esistenziale per gli individui. Ciò è necessario per la nostra ricerca, perché stiamo cercando un determinante comportamentale che sia abbastanza potente da influenzare decisioni umane fondamentali come decidere di riprodursi o meno. Una caduta repentina nella gerarchia sociale è una causa accertata di suicidio e questo effetto è osservabile anche tra coloro che non hanno sperimentato alcun cambiamento nelle proprie condizioni materiali ma sono “rimasti indietro” mentre i loro coetanei hanno fatto progressi (cfr J. Manning, Suicide. The social causes of self-destruction, University of Virginia Press, 2020). Lo status è davvero un qualcosa di fondamentale per tutti noi.

Se la ricerca dello status fosse davvero il fattore causale primario nel declino dei tassi di fertilità, ci aspetteremmo di osservare:

1. Interventi che aumentano lo status dei genitori per aumentare la fertilità;
2. Comunità in cui i genitori hanno uno status più elevato per numero di figli;
3. Individui di status elevato che diventano genitori inducendo altri a fare lo stesso;
4. Gli arrampicatori sociali [social strivers] che rinunciano a fare figli per ottenere uno status più elevato;
5. Persone con uno status consolidato (élite) con una fertilità più elevata;
6. Gruppi con dinamiche di status fuori dall’ordinario che generano modelli di fertilità altrettanto insoliti.

A differenza dei nostri precedenti tentativi di mappare i dati sulla fertilità globale basandoci su spiegazioni convenzionali (economia, religione e così via), vedremo che l’elenco di cui sopra rispecchia realtà di fatto in diversi Paesi ed epoche. E, a differenza di quelli basati sulle teorie convenzionali, gli interventi incentrati sullo status potrebbero rapidamente far risalire il tasso di natalità di un gruppo ben oltre i livelli di sostituzione (ciò è prevedibile: lo status può offrire una motivazione positiva per avere figli, al contrario degli interventi economici, che possono realisticamente solo mitigare il peso di avere figli).

Partiamo dal primo dei pochi Paesi europei e asiatici che vanno controcorrente rispetto alla tendenza generale sulla fertilità. Si tratta della Georgia, che si trova all’incrocio dei due continenti e ha una popolazione di circa quattro milioni. A metà degli anni 2000, la Georgia ha accresciuto il suo tasso di natalità da circa 50.000 a circa 64.000 nati nel corso di due anni, un aumento del 28%, che ha mantenuto per molti anni. Il Paese è passato da una fertilità bassa a una di sostituzione, e lo ha fatto senza spendere più soldi o adottare nuove iniziative politiche. Qual è stato il fattore cruciale?

I dati portano a un motivo insolito: un importante patriarca della Chiesa ortodossa georgiana, Elia II, ha annunciato che avrebbe personalmente battezzato e fatto da padrino al terzo figlio (e poi agli eventuali altri nati) di una famiglia. Le famiglie con tre figli aumentarono vertiginosamente (tanto che, in effetti, eclissarono il continuo calo dei primi e secondi figli). Questo fenomeno è stato ampiamente interpretato da una prospettiva religiosa, ma io propongono invece di considerarlo una questione di status: essere associati a una figura famosa che diventa, in un certo senso, una parte intima della propria famiglia, è un evento che attrae in conseguenza al desiderio di ottenere uno status più elevato.

Ci sono prove considerevoli che le persone emulano più in generale le tendenze di fertilità delle celebrità. Gli individui di alto rango che diventano genitori spingono gli altri a fare lo stesso (ecco perché lo stato di gravidanza di Taylor Swift viene seguito con tanta attenzione). La prevalenza di nascite fuori dal matrimonio tra le celebrità ha probabilmente svolto un ruolo chiave nel normalizzare la pratica per la popolazione generale, che ha seguito il loro esempio. È infatti noto da tempo che la fertilità è soggetta a importanti effetti mimetici e che, anche tenendo conto di altri fattori, le possibilità di un individuo di avere un figlio aumentano significativamente dopo che un amico ne ha avuto uno (cfr. H. Grol-Prokopczyk, Celebrity culture and demographic change. The case of celebrity nonmarital fertility, 1974–2014, Demographic Research, n. 39, 2018, pp. 251-284; N. BalboN. Barban. Does fertility behavior spread among friends?, “American Sociological Review”, 79.3, 2014, pp. 412-431).

Le implicazioni di queste dinamiche sono probabilmente vere anche nella direzione opposta: celebrità e amici che danno priorità ad altri progetti rispetto all’avere figli probabilmente scoraggiano la fertilità. Lo status è da ricercare altrove. Ciò porta a un test ulteriore per la nostra tesi sullo status: gli “arrampicatori sociali” hanno meno figli? (Uso l’espressione [social strivers] come termine grezzo per le classi medie in ascesa sociale ma con risorse limitate: sia la sottoclasse permanente che le élite consolidate, come vedremo, hanno comportamenti di fertilità diversi [io l’ho tradotto in maniera peggiorativa per rendere meglio il concetto, ndt]).

Innanzitutto, notiamo che la richiesta per i beni essenziali all’attestazione dello status sociale sono in costante ascesa, anche se diventano molto costosi. La partecipazione ai livelli superiori di istruzione (college), ad esempio, è vicina ai massimi storici, anche se la maggior parte degli americani sostiene che i vantaggi, sia in termini di insegnamento che di carriera, non valgano i costi eccezionali di tale scelta. E questo perché la frequentazione di un college è considerato un passaggio essenziale verso la “buona società” (di alto status), qualunque sia il prezzo da pagare.

La “domanda” di far figli non è così accentuata: la situazione a cui assistiamo sempre più spesso è quella di genitori con risorse limitate che preferirebbero avere un numero inferiore di figli che ottengono un posto in una università d’élite piuttosto che un numero maggiore di figli che non avrebbe tale possibilità. Questo perché, che i genitori lo ammettano o meno, la ricompensa in termini di status di “fare un figlio che frequenta un’università d’élite è molto più alta del semplice “far figli” (uno status trascurabile nella nostra società attuale che addirittura può diventare un peso qualora i figli stessi non raggiungessero prestazioni scolastiche ottimali). Se ciò è vero per le classi medie occidentali, esso è ancor più valido per le classi medie asiatiche, che, a causa di fattori strutturali, sono soggette a variazioni più estreme delle stesse pressioni e la cui fertilità è di conseguenza diminuita ulteriormente.

Prendiamo un esempio ormai canonico del crollo della fertilità: la Corea del Sud, con un tasso -catastrofico- di 0,68 che continua a precipitare nonostante il governo devolva centinaia di miliardi in incentivi economici ai genitori. A causa del formalismo estremo della società coreana in fatto di regole, linguaggio e titoli, le sue gerarchie sono chiare, esplicite e prominenti. Poiché lo status sociale di ogni persona è inequivocabile, gli individui sono incentivati ​​a prendere tutte le misure necessarie per garantire che il loro rango all’interno del sistema raggiunga il livello più alto. Questo processo trova particolare espressione all’interno della struttura economica coreana, in cui gli unici datori di lavoro di alto rango sono il piccolo numero di mega-conglomerati industriali come Samsung (i cosiddetti chaebol). Accedere all’interno di queste corporazioni e scalarne le posizioni è un fattore di importanza esistenziale per un coreano.

L’esperto di demografia Malcolm Collins, che ha lavorato da quelle parti, ha recentemente offerto alcune affascinanti riflessioni sulle pressioni sociali coreane:

«Per capire quanto sia importante il sistema chaebol in Corea: se non lavori in uno dei chaebol non puoi essere considerato una persona di pari status rispetto alle altre. I chaebol sono estremamente importanti per il tuo status sociale in Corea […]. I coreani passano l’esistenza a cercare di ottenere il punteggio perfetto ai test per entrare nel chaebol perfetto».

La competizione in Corea del Sud è feroce e si basa sulla prestazione di ogni individuo nell’esame nazionale che determina l’accesso all’università. Questo esame è così importante che il giorno in cui si tiene ogni anno viene bloccato il traffico aereo [in modo che il rumore dei velivoli non distragga gli studenti che vi partecipano, ndt]. Ogni bambino coreano deve ricevere una formazione eccezionale per superare questo esame. Ciò significa che il piccolo numero di coppie che scelgono di compromettere la propria performance di status per avere figli deve pagare per un’istruzione estesa e costosa, il che a sua volta impedisce a quasi tutte le coppie di avere famiglie numerose.

Se il raggiungimento dello status spinge le persone a rinunciare ad avere figli, ci aspetteremmo al contrario che gli individui che hanno meno ragioni per scalare la gerarchia sociale abbiano più figli. Per indicare questo nuovo gruppo, userò il termine “status assicurato”, poiché a differenza delle classi medie desiderose di ascendere socialmente, esso è in gran parte composto da élite stabili, benestanti e in possesso di status symbol. In assenza di una vera aristocrazia, il campione più adatto a rappresentare lo “status assicurato” è probabilmente quella degli ultra-ricchi (famiglie con un reddito annuo superiore a 1 milione di dollari), che è anche l’unica classe economica in America con tassi di natalità superiori al livello di sostituzione (circa 2,15).

Quando ho iniziato a studiare il fenomeno, ho pensato che avrei dovuto effettuare un’analisi attenta per disaggregare gli elementi di status in ballo da quelli puramente economici, poiché potrebbe essere che gli ultra-ricchi a differenza di altri possano semplicemente permettersi di avere figli. Invece ho scoperto che ciò non è necessario, poiché i dati parlano da soli. La fascia di reddito successiva, ovvero quelle famiglie che guadagnano tra 500.000 e 1 milione di dollari all’anno, ha una fertilità significativamente al di sotto del livello di sostituzione (circa 1,85). Non penso sia ragionevole sostenere che queste famiglie “non possano permettersi” di fare più di un figlio.

La mia tesi è che per gli ultra-ricchi la questione dello status assume contorni diversi. La caratteristica più saliente di tale differenza è che a un certo livello di ricchezza, l’attività di status più elevata per una moglie non è più “avere una carriera”; è muoversi nei circoli giusti e partecipare agli eventi giusti, sostenere le giuste associazioni di beneficenza, avere le case più belle e così via. È importante notare che, mentre la scelta degli “arrampicatori” di avere una carriera impone un compromesso con l’avere figli, per l’élite ciò non vale. In tali circostanze, i figli ben istruiti potrebbero in realtà essere un vantaggio unico per lo status.

La prova finale per la mia tesi sullo status è se le popolazioni con sistemi di status unici o isolati abbiano modelli di fertilità non comuni. Qui userò “differenza culturale e isolamento” come un indicatore approssimativo dei gruppi che hanno differenti sistemi di segnalazione dello status, ma più avanti tornerò su questo argomento per fornire una ripartizione più attenta delle dinamiche in gioco.

Come afferma Adam van Buskirk (Industrial Civilization Needs a Biological Future, “Palladium Magazine”, 18 maggio 2023):

«Gli ebrei ultra-ortodossi hanno tassi di natalità fino a 7 figli per donna, anche nelle principali città occidentali. E pure gli Amish testimoniano gli effetti eclatanti prodotti da una sottocultura “natalista”. Mentre la popolazione femminile delle aree rurali in genere detiene un tasso di fertilità di circa 2,08, le donne Amish della Pennsylvania detengono il 7,14, un tasso superiore a quello del Niger pur vivendo negli Stati Uniti».

Il “perché” e il “come” degli incredibili livelli di fertilità di queste particolari comunità meritano un esame più approfondito, e su questo tornerò tra poco. Il fatto non riguarda solo la religione: c’è qualcosa di particolare nel loro isolamento culturale e nella struttura delle loro società che favorisce tassi di natalità che altri gruppi religiosi potrebbero solo sognare. Ciò riguarda meccanismi sociali particolari in grado di elevare lo status di genitori. Dovremo capire quali sono le caratteristiche dei loro sistemi di status, ne parleremo più avanti.

A livello nazionale, la Mongolia attesta l’ipotesi dell’isolamento. Esso è uno dei pochi paesi europei o asiatici con un alto tasso di natalità (2,84) e possiede caratteristiche demografiche insolite per un Paese grande. Una percentuale molto piccola della popolazione parla fluentemente inglese (in parte a causa della repressione sovietica). Sono etnicamente e linguisticamente omogenei, geograficamente isolati, non cristiani e hanno un loro alfabeto. In altre parole, i nostri meccanismi culturali laggiù hanno meno presa che in quasi tutti gli altri Paesi dell’emisfero settentrionale.

Qui si può già apprezzare l’emersione di una tendenza: più una popolazione è isolata dalla modernità liberale, più è alta la sua fertilità. E, secondo la nostra teoria, questo è dovuto al fatto che in un paradigma liberale moderno avere figli impedisce di raggiungere uno status superiore rispetto alle attività concorrenti. Ma perché è così? Cos’è cambiato negli ultimi cento anni? Perché avere figli è diventato indice di uno status relativamente basso e come si è diffusa questa visione nel mondo? Cosa intendiamo realmente per “modernità liberale”?

In precedenza ho dato la colpa alle “ipotesi epistemologiche di base che sostengono la civiltà moderna”. È ora che mi spieghi. Un modello utile che possiamo trarre dalla letteratura è quello di classificare le fonti di status in tre tipi: predominio, virtù e successo. Come scrive ancora Will Storr:

«Nella prospettiva della dominanza, lo status è imposto con la forza o la paura. Per quanto riguarda la virtù, lo status è assegnato a coloro i quali sono apertamente rispettosi, obbedienti e moralisti. Nel successo, lo status è legato al conseguimento di risultati specifici, che richiedono abilità, talento o conoscenza».

Nel periodo precedente all’Illuminismo, lo status di una donna era definito dalla sua nascita (classe), mantenuto dalla sua virtù (verginità, pratica religiosa, maternità) e modificato sostanzialmente dallo status del marito. Le fonti primarie del suo status erano quindi sostenute dalla Chiesa (che deteneva un ruolo di predominio sociale incomparabile a quello odierno) e dalla famiglia (incastonata in una struttura di classe formalizzata).

In altre parole, lo status della donna prima dell’Illuminismo deriva da virtù e predominio. Queste strategie di virtù non andavano a discapito della fertilità, e probabilmente la sostenevano, con la Chiesa che insegnava il “dovere coniugale” e le famiglie che esigevano eredi. L’Illuminismo portò con sé non solo rivoluzioni intellettuali, economiche e scientifiche, ma anche una rivoluzione nella concezione dello status, tramite l’opposizione al predominio della Chiesa e dell’aristocrazia attraverso l’elevazione degli ideali di uguaglianza, libero pensiero e meritocrazia.

A sua volta, l’enfasi sul primato morale della meritocrazia spostò l’accento dello status primario dal predominio e dalla virtù al successo, elevando a livello sociale coloro i quali dimostravano una conoscenza eccezionale o delle abilità professionali. È importante notare che la meritocrazia è un modello individualista di status. Lo status maturato da uno scienziato di spicco non si estende necessariamente alla moglie o ai figli. Tale rivoluzione fu accelerata dall’aumento della mobilità sia fisica che sociale. L’imposizione e l’applicazione da parte della Chiesa di leggi contro i matrimoni tra consanguinei (cugini) durante tutto il Medioevo minarono l’integrità di comunità altamente dense e isolate, rese possibili per l’appunto da matrimoni tra parenti.

Questo fenomeno è documentato da un interessante studio  che segue la stessa logica (cfr. J. F. Schulz et al., The Church, intensive kinship, and global psychological variation, “Science”, novembre 2019):

«Con le origini dell’agricoltura, l’evoluzione culturale ha favorito sempre più norme di parentela legate al matrimonio tra cugini, ai clan e alla co-residenza, le quali hanno favorito la coesione sociale, l’interdipendenza e la cooperazione all’interno del gruppo. […] All’interno di istituzioni basate sulla parentela intensiva, i processi psicologici delle persone si adattano alle richieste collettivistiche delle loro fitte reti sociali. Le norme di parentela intensive premiano una maggiore conformità, obbedienza e lealtà all’interno del gruppo, mentre scoraggiano l’individualismo e l’indipendenza. […] I Paesi più a lungo esposti all’influenza della Chiesa occidentale medievale o con norme di parentela meno intensive (ad esempio, tassi più bassi di matrimonio tra cugini) sono più individualistici e indipendenti, meno conformisti e obbedienti, e più inclini alla fiducia e alla cooperazione con gli estranei».

Sono osservazioni rilevanti, perché il raggiungimento di uno status attraverso meccanismi di virtù richiede che si sia inseriti in una comunità in gran parte statica con norme condivise, che apprezza e premia i sacrifici fatti per il gruppo. Al contrario, i marcatori di status associati al successo (ricchezza, conoscenza, abilità) sono principalmente riconducibili all’individuo e sono intercambiabili tra gruppi e aree geografiche, mantenendo così il proprio valore in reti meno dense.

L’Illuminismo perciò ha inizialmente offerto nuove opportunità di status per gli uomini (successo), indebolendo quelle delle donne (virtù). Tuttavia, siccome lo status rappresenta un bisogno psicologico per tutti, era solo questione di tempo prima che le donne richiedessero l’accesso e la partecipazione all’ascesa di status tramite il successo (istruzione, commercio, politica, persino sport). Sfortunatamente, raggiungere uno status attraverso il successo richiede molto tempo e, a differenza della virtù, entra in contrasto diretto con la fertilità.

Col passare del tempo questo insieme di dinamiche per il raggiungimento dello status si è diffuso e intensificato, in particolare col processo di urbanizzazione innescato dalla Rivoluzione industriale. Tale processo oggi culmina nella classica domanda “Cosa fai?”, la quale indica che il modo più efficace per valutare lo status del proprio interlocutore è comprendere il suo livello di successo all’interno della nostra meritocrazia. Sfortunatamente “Faccio la mamma” non è una buona risposta a tale domanda, perché comunica uno status inferiore all’interno di uno schema di successo, che di solito è riconducibile al mondo del lavoro. Le donne sono comprensibilmente riluttanti a lasciarsi umiliare di continuo in questo modo e accetteranno qualsiasi compromesso necessario per poter dare una risposta “migliore”.

Ciò implica che, riguardo alle possibile soluzioni per aumentare i tassi di natalità conferendo nuovamente al fare figli uno status elevato, ci sono due possibili strategie: trovare un modo per ripristinare la virtù come fattore principale [di ascesa sociale] o fare dell’avere figli un indicatore di successo. Torniamo allora ai gruppi con tassi di fertilità altissimi come gli ebrei ortodossi e gli Amish menzionati in precedenza: a mio parere la molla fondamentale al loro successo riproduttivo non risiede solamente nella religiosità, ma nell’isolamento e nella preferenza all’interno del gruppo che consentito la conservazione della virtù come fattore primario. Attraverso la maturazione di un’intensa densità sociale e omogeneità, queste comunità hanno costruito quella che definirei “infrastruttura mimetica”, la quale impone la piena accettazione da parte delle persone dei loro doveri religiosi se vogliono mantenere una posizione all’interno gruppo.

Purtroppo l’isolamento culturale di cui godono questi gruppi minoritari rende il loro stile di vita piuttosto estraneo al nostro, quindi non possiamo semplicemente “aggregarci” a loro. Quale sarebbe perciò una possibile soluzione politica in questo caso?

I governi occidentali dovrebbero perseguire politiche che diano maggiore spazio all’ascesa di altri raggruppamenti stabili di persone con sub-identità, all’interno dei quali possano prosperare ecosistemi di status alternativi. Come primo passo, i governi devono fare tutto il possibile per promuovere la creazione di ulteriori infrastrutture mimetiche che supportino il primato della virtù.

Queste colonie culturali non dovrebbero essere ostacolate dall’imposizione statale dei paradigmi del successo derivati dall’Illuminismo, perché, ad onta dei lettori liberali, non c’è modo di raggiungere tale scopo senza entrare in conflitto con i valori illuministi. La buona notizia per i liberali è che tuttavia non c’è necessità di imporre loro alcunché: i governi dovrebbero solo allentare le restrizioni su coloro che desiderano perseguire alternative. La maggior parte degli interventi più semplici farebbe effettivamente risparmiare denaro allo stato, oltre che aumentare il tasso di natalità. Il sostegno a queste comunità includerebbe:

1. Non obbligare i loro giovani a seguire un’istruzione liberale;
2. Sostenere l’istruzione religiosa e le scuole parentali;
3. Eliminare gli esami obbligatori collettivi;
4. Abolire l’educazione sessuale obbligatoria che condanna la gravidanza adolescenziale;
5. Consentire ai bambini di lavorare fin da piccoli nelle attività locali;
6. Parificare le sovvenzioni statali per le scuole religiose;
7. Eliminare i programmi che promuovono l’istruzione superiore universale;
8. Eliminare gli incentivi statali per l’istruzione superiore delle donne;
9. Non obbligare le comunità a promuovere l’occupazione femminile;
10. Non obbligare le comunità ad accogliere migranti (nazionali o stranieri);
11. Non obbligare le comunità a incentivare la “diversità”;
12. Consentire la discriminazione nelle assunzioni;
13. Consentire la discriminazione anche a livello aziendale;
14. Abolire la propaganda statale a favore del successo professionale per le donne;
15. Eliminare i finanziamenti statali ai media liberali;
16. Eliminare le leggi sull’incitamento all’odio che di fatto impongono una particolare etica sessuale;
17. Eliminare le tasse di successione che impongono la vendita di proprietà;
18. Eliminare le tasse (benzina, auto) che aumentano le spese per il mantenimento della prole.

Sono certo che questo elenco per alcuni sarà sconvolgente, ma anche la nostra situazione è tale. Molte nazioni occidentali si stanno suicidando  ed entro la fine del secolo andranno incontro al collasso economico. Milioni di persone che dicono di volere figli non li avranno mai.

Di nuovo, nessuno dei punti in questione pone imposizioni negative sui gruppi che desiderano continuare a seguire un programma liberale, sebbene il sostegno ai programmi liberali dovrà passare dal livello nazionale a quello regionale. Si tratta di una soluzione meno estrema di quel che possa sembrare, anche perché ci sono stati momenti cruciali della nostra storia recente, quando le nazioni occidentali prosperavano, in cui tutti gli elementi della lista di cui sopra erano la norma.

Il rispetto di questo programma sarebbe l’inizio di una corsa evolutiva di comunità unite sostenute da infrastrutture mimetiche virtuose. È importante sottolineare che ciò apporterebbe notevoli benefici (anche se questi benefici non riguardano il “pacchetto progressista” a cui siamo abituati) alle loro donne e alle loro classi medie. Il nostro compito è spianare la strada affinché le più vitali di queste comunità possano prosperare, e con esse la nostra civiltà.

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21 thoughts on “L’inverno demografico è un problema culturale, non economico (Johann Kurtz)

  1. Oltre Agli Ebrei Ultra-Ortodossi ed agli Amish, un gruppo che incentiva la maternità, come fattore di status è costituito dai Neocatecumenali.
    Una delle poche cose buone che fanno.

    1. ERRATA CORRIGE e SPIEGAZIONE/CHIARIMENTO:
      Mi dissocio da quasi tutti i comportamente che sono conseguenza/frutto /effetto della visione del mondo che hanno i Neocatecumenali. Proprio per tale motivo, non posso che, invece, notare e giudicare positivamente la scelta di incentivare la maternità .

  2. Grande Mister, un abbraccio. L’ho letto tutto immaginandomj vividamente la tua reazione nel copincollarlo, chiave di lettura silenziosa e “pierremenardiana”. (Mi permetto di spiegare, ma in senso FENOMENOLOGICO, ai NEOFITI, che quest’articolo, verbosissimo, non avresti mai potuto scriverlo a “parole tue” – perché chiunque abbia letto più di sette libri in vita sua ha già avuto modo di recepire il messaggio che

    COMPETIZIONE = DEPRESSIONE = MORTE

    dunque, sì, ok, ora però passiamo ad altro.)

    UN GRANDE

  3. Einverstande Ich total.

    Sono le stesse conclusioni cui giunse cent’anni fa Anthony Ludovici. Dovresti farci un articolo.

  4. Posso chiederti come fai a conoscere Ludovici? Posto che probabilmente sei onnisciente, sarei comunque curioso di capire se ti sei imbattuto in lui per qualche via traversa… Grazie, anche per i frequenti commenti (ai quali rispondo raramente perché sono un fannullone).

    1. Come sai, sono un tuo accanito lettore: hai il miglior blog che conosca. Ludovici lo trovai su counter-currents.com…

  5. Aggiungerei all’elenco di vietare ogni aiuto economico e umanitario all’Africa, visto che ci ritornano sotto forma di migranti. Questi aiuti hanno fatto esplodere la loro crescita demografica, visto che per dirla come Papa Francesco, figliano come conigli ma “stranamente” al nostro Santo Padre e agli ecoparanoici che si angosciano che nel fare figli si contribuisca al riscaldamento globale non sembra preoccupare granché. (In realtà è palese, “stranamente” si fa per dire).
    Poi francamente trovo sconcertante scegliere per le proprie adesioni politiche sociali e le personali scelte di vita sulla base di figurine della cultura “bassa” (molta bassa!) pompate dai media.
    Il fatto che molte aspettino Taylor Swift per scegliere di diventare madri o no e che si stia aspettando l’endorsement per Kamala Harris da parte della suddetta popstar per decidere le sorti delle elezioni americane (e quindi del mondo intero), la dice lunga sul livello del delirio a cui è arrivato l’Occidente.
    D’altronde in Italia è bastato che una pallavolista negra vincesse una medaglia d’oro per far commuovere le anime belle e far tentennare un centrodestra micropenico (copyright Progetto Razzia), sulla necessità di farci sostituire etnicamente e per accelerare il nostro genocidio di velluto e la nostra estinzione fisica.
    D’altronde anche il delirio ecoparanoico è cominciata seguendo una ragazzetta sedicenne anch’essa preda di turbe paranoiche.
    Non c’è che dire, non male per un’epoca che si vanta di essere il trionfo della ragione!

  6. insomma per te l’unica possibilità d’infilare lo zillo in una slandra sarebbe quella di trovare la proprietaria della succitata slandra nel tuo clan familiare a patto, però, di averla tenuta fino all’adolescenza semianalfabeta e devota a qualche divinità?
    Ma non sarebbe più economico e veloce un volo transcontinentale in Cambogia?

  7. Interessante articolo.
    Purtroppo lo status sociale e altre influenze tendono a influire pesantemente sulla società.
    Aggiungerei ai punti, ma è sempre una mia riflessione che sarebbe anche necessario introdurre una poligamia laica oppure in ogni caso non legata alla religione.
    In modo che a noi uomini venga data la possibilità di sposarci e avere la possibilità di avere più figli da più donne.

  8. Mah, nutro dei dubbi sull’elenco di soluzioni fornito.
    Tutta quella roba serve comunque a poco se non si elimina o comunque restringe quasi totalmente l’arsenale di dispositivi anticoncezionali oggi disponibili per donne e uomini. Si possono fare tutti gli sforzi del mondo per cercare di modellare una società al fine di ridare uno “status” alla genitorialità , ma se poi donne e uomini sono liberi di rendere sé stessi volontariamente sterili a piacimento sarà tutta fatica sprecata (per non dire della sterilità involontaria causata da inquinamento, sia ambientale che da uso di droghe e medicinali).

    1. Concordo e, anzi, ritengo che qualsiasi politica volta ad aumentare il tasso di natalità che non parta dall’abolizione dell’aborto, sarà invetibilmente fallimentare e, soprattutto , ipocrita.

      1. In tutta onestà l’aborto probabilmente è l’ultima preoccupazione. In una società ideale l’aborto praticato dalla Stato secondo determinati criteri rimane utile a plasmare la demografia secondo criteri positivi per il pool genetico (eugenetica propriamente detta). Al contrario lo Stato genocida del proprio stesso popolo mette a sua completa e totale disposizione una ampia quantità di dispositivi e medicine che rendono sterili gli individui e infruttuosi gli accoppiamenti. Va da sé che un tale stravolgimento delle funzioni naturali a cascata porti alla situazione di demografia sballata che abbiamo oggi. Allo stato naturale l’unico modo per evitare le gravidanze rimarrebbe l’astinenza, e di contro si tornerebbe al modello sociale naturale in cui le femmine cercherebbero di assicurarsi quanto prima un partner stabile e affidabile in grado di fornire risorse e protezione per la prole a cui -senza anticoncezionali – non potrà impedire di nascere, oppure in alternativa rimanere da sole in astinenza fino alla vecchiaia. Questo è stato lo sviluppo naturale della nostra specie per millenni, non dimentichiamo che tutti gli artifici che ci sono oggi sono temporanei e non è assolutamente certo che ci saranno per sempre, anzi. La cosa peggiore del progressismo fanatico per me è la presunzione che la specie umana non sia soggetta alle stesse leggi e necessità naturali delle altre specie animali del pianeta. Ci sono già tutti i segni di instabilità che questo artificiosissimo sistema non ha più abbastanza soggetti con le capacità necessarie a perpetuarlo. Ironicamente, il genocidio dei bianchi che ne hanno reso possibile l’esistenza porterà anche alla sua inevitabile scomparsa.

  9. Da notare che Mussolini fu il primo a impostare una politica natalista in Italia, basandola non solo su disincentivi economici verso i celibi (la tassa sul celibato, il blocco delle carriere nella pubblica amministrazione), ma anche e soprattutto sugli incentivi di status per le donne prolifiche e le famiglie numerose.

  10. L’articolo di questo Kurtz è un pu**anaio confuso e contraddittorio. Il nostro Curzio, suo malgrado e a dispetto del milieu di provenienza, è stato colpito dalla malattia dello pseudo-pensiero positivista e dal feticismo wikipediano delle fonti raccattate a piacimento. Avrebbe fatto prima a dichiarare, senza bisogno di una muraglia di testo stracciapa**e (con nozioni tagliate con l’accetta), che le donne non fanno più figli perché adesso pensano a tutt’altro (nozione autoevidente e irrefutabile), e poi proporre la sua lista di cose presuntamente terapeutiche. Il buon C. Langone l’aveva già detto più lapidariamente anni fa: alle donne bisogna togliere i libri (i libri significano altro) perché tornino a fare figli o per lo meno guariscano dal bovarismo.

    Un altro grave problema dell’articolo, che qualifica il dott. Kurtz come cretino, è il fatto elementare che lo status, come il prodotto di lusso, deve essere una risorsa scarsa. Il nostro autore peraltro lo dice più volte che per raggiungere uno status più elevato si deve competere, ma nella sua presunzione di essere intelligente non giunge all’elementare conclusione che se la possibilità di fare più figli si trasforma in status, l’accesso ai livelli più elevati sarà reso più arduo e richiederà più risorse… Un cretino dalla sferragliante incultura.

    Il nostro scienziato non si è interrogato sull’ovvio, ossia che fino al secolo scorso il fare molti figli nelle classi povere era controbilanciato da un’alta mortalità e che per queste famiglie avere più figli non era necessariamente una spesa netta, ma spesso anche un’ulteriore fonte di reddito, almeno nelle comunità agricole e nei complessi industriali dove il lavoro minorile era la norma. Mentre chi aveva del capitale spesso doveva evitare che poi si disperdesse troppo fra troppi figli eredi, eccetto per quelle ricchezze così spropositate che per essere gestite in modo ottimale richiedevano una buona suddivisione (ciao Silvio).

    Ci sono tante altre sciocchezze nel testo che richiederebbero una più puntuale analisi, ma l’articolo non merita il tempo e la fatica necessari, per la famigerata teoria della montagna di mer*a.

    L’elenco di soluzioni proposto dal nostro novello Deucalione smaschera lo spirito con cui ha costruito successivamente il resto dell’articolo: una lista di desiderata di una certa destra americana dedita alle fantasticherie, con diversi punti praticamente irrelati al problema trattato. E per ottenere che cosa, infine? Delle circoscritte comunità altamente prolifiche (mantenute con quali soldi?) da istituire a fianco delle riserve indiane.

    Probabilmente la catastrofica demografia dell’occidente non ha alcuna via di salvezza che al contempo metta in salvo il meglio della sua cultura millenaria (che è già perduta). Non c’è alcun futuro dove a andare, non c’è più un passato dove tornare. Un malinconico nichilismo si è introdotto passivamente nel subconscio del mondo occidentale, nei progressisti e nei reazionari, entrambi i gruppi sentono la fine: i primi nevrotizzano con l’accelerazione della catastrofe spacciandola per progresso e i secondi soffrono della psicosi dovuta alla consapevolezza che i n-parola erediteranno la terra.

    1. Sì, forse hai ragione. Weimar in effetti non aveva immigrazione. Come i bianchi in Sud Africa, finiremo nelle riserve ma con qualche centinaio di musei in più. Ammesso che i neri non li convertano in pisciatoi decorati molto bene. Wakanda loro, vacaganda noi.

    2. Caro il mio doomer senza ritorno, chiaro che quella di Kurtz è una provocazione, dal momento che la pars construens è riassumibile con “Cari governi, smettete di essere progressisti (LOL NO, piuttosto vi mettiamo nei mitici campi FEMA), sputtanate già così tanti soldi in boiate, potete sputtanane qualcuno per fare le favelas basate della sborra dove sottomettere le cugine quindicenni”. Considera che è già tanto che l’uomo occidentale possa vedere in Amish ed ebrei ultraortodossi qualcosa da imitare. Considera cosa ci è voluto per arrivare a questo punto. Ma consideriamo anche, e qui posso darti ragione, che queste due comunità esistono da secoli e non mi pare di vedere sinora una corsa ad imitarle da parte del mondo che le circonda. Che però a conti fatti le protegge con le proprie armi e le proprie vite.

      Grazie per dimostrarci in ogni caso e per l’ennesima volta che vibes are everything.

  11. Con la pillola anticoncezionale, un evento biochimico ha modificato il modo di essere uomini e donne e ha dato un volto nuovo alla società. L’apparire del corpo femminile, liberato dalla catena della riproduzione, ha esasperato la bellezza nelle forme del narcisismo più sfrenato, su cui il sistema della moda si è gettato come un avvoltoio sulla sua preda. E al seguito del sistema della moda, quello dell’alimentazione, dal supermercato di città all’ultimo ortolano di paese, per non parlare delle farmacie, vere e proprie drogherie dove si smerciano illusioni di bellezza e di psichico benessere.
    Questi nuovi valori da vendere hanno contaminato anche la tribù maschile che ha iniziato a imitare il narcisismo femminile, ingentilendosi fino al limite dell’imprecisione sessuale.
    Scopo unico dell’esistenza sono diventati la bellezza e il protrarsi della giovinezza, in quella messa in scena dell’apparire che ogni giorno di più erode il terreno alla scena dell’essere.
    Dopo la pillola anticoncezionale, un altro evento biochimico, il Viagra, la pillola che aumenta la potenza sessuale maschile e la protrae nel tempo, ha trasformato il modo di essere uomini e di fare società. In questa occasione anche la Chiesa cattolica non ha opposto una grande resistenza, ritenendo forse che, non essendo il corpo maschile corpo di riproduzione, non si sarebbe sconvolto l’ordine naturale, da sempre per la Chiesa il punto di riferimento di tutta la sua normativa etica.

  12. Visione molto limitata.
    Sarebbe meglio per l’umanità implementare nuove forme comunitarie per la cura condivisa della prole, lavorare sulla prevenzione e godersi un pianeta sostenibile.

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