Islam Putin: la Russia e la crisi birmana

Qualcuno per caso ricorda il famigerato “genocidio dei Rohingya”? Ma sì, quella cosa successa in Birmania, come la chiamavamo da oltre tre secoli: già il fatto che ora ci obblighino a dire Myanmar (e non sappiamo nemmeno leggerlo correttamente, ché la “r” non si pronuncia) fa intuire la scarsa serietà di tutta la faccenda. Per questo, appunto, nessuno ricorda nulla, perché si usano persino le parole sbagliate. Eppure per mesi ci hanno costretti a interessarci della questione anche con una certa “prepotenza”, ricordate? Gli USA, l’ONU, l’UE, il Papa, la tv…

La propaganda agisce per vie misteriose: i motivo per cui Aung San Suu Kyi, “modello di coraggio civico per la libertà” (così l’ex premier inglese Gordon Brown), sia divenuta prima monica e poi dimonia sono talmente oscuri che ogni complottismo è giustificato. La poveretta è passata dal Nobel per la Pace a un processo di Norimberga mediatico: ritiro delle onorificenze, scomunica da parte della “collega” Malala (nuova campionessa mondiale dei diritti umani), sputtanamento in diretta televisiva eccetera eccetera.

Certo, è innegabile che, come faceva uno storico titolo di “Italia Oggi”, PURE I BUDDISTI MENANO DI BRUTTO: in Birmania ci sono degli elementi mica male, come il leggendario Wirathu, autoproclamatisi il Bin Laden buddista.

Il fatto è che la questione islamica nel Myanmarre ovviamente esisteva anche prima della “rivoluzione colorata” della Suu Kyi: è perciò davvero impossibile immaginare che al suo nuovo governo sarebbe stata garantita carta bianca anche sulla gestione delle turbolenze etnico-religiose? Non è la signora, quindi, a essere “cambiata”, ma l’atteggiamento dei potentati occidentali nei suoi confronti. I motivi, come detto, sono enigmatici, e francamente non è poi così interessante approfondirli.

Un lato invece interessante di tutto questo bailamme sui Rohingya è che alla fine la vicenda in Russia è stata utilizzata da un lato per corroborare  la strategia “giuseppinista” di Putin nei confronti dell’islam religioso, e dall’altro per favorire un riorientamento ideologico dell’islam politico attraverso la sempre più incisiva mediazione di Ramzan Kadyrov.

Lo spiega molto bene, seppur in modo critico, un articolo di “Intersection”, Kadyrov’s Myanmar offensive and its consequences (25 settembre 2017). È chiaro infatti che al Cremlino sta a cuore il “caso birmano” esclusivamente a fini di propaganda interna, perché altrimenti (per fare solo un esempio) la Russia e la Cina non si sarebbero opposte alle risoluzioni Onu in favore dei Rohingya. Tuttavia è giusto ammettere che il modo Mosca ha strumentalizzato la tragedia è stato molto intelligente e sottile:

«Nel caso dell’offensiva del Myanmar, stiamo assistendo a un’ondata di propaganda di massa rivolta alla comunità musulmana di lingua russa […]. Poiché le informazioni non sono trasmesse dai media russi, ma attraverso i social e i canali islamici tradizionali, questa propaganda diventa estremamente efficace in ambito mussulmano».

La dimensione politica in cui la persecuzione dei musulmani birmani viene inquadrata è facilmente intuibile:

«Il concetto di democrazia è utilizzato [dal ministro ceceno Umarov] come un’idea direttamente collegata ai Paesi occidentali e alla catena di eventi che ha portato alla proliferazione dell’Isis in Iraq, Libia e Siria, e infine al genocidio in Birmania».

(Per inciso, i media russi insistono molto nel precisare che uno storico alleato militare della Birmania è Israele).

Quella religiosa, invece, è più complessa, poiché il buon Kadyrov si sta pericolosamente muovendo tra il martello della sharia e l’incudine del panslavismo:

«La mitizzazione di Kadyrov si realizza attraverso riferimenti religiosi; Kadyrov è inviato da Allah per diffondere la parola del Jihad e “riunire i musulmani come fossero un pugno”. Gli eventi in Myanmar sono una manifestazione delle azioni del Dajjal (l’Anticristo dell’Islam). L’essenza di questa metafora è radicata alle leggende riguardanti il Dajjal, secondo le quali una delle manifestazioni della sua comparsa sarà la coeva apparizione del Mahdi, l’imam che unirà tutti i musulmani. Questo potrebbe essere un altro epiteto lusinghiero per Kadyrov».

Al di là del tipico schematismo di chi crede di aver capito tutto, mi pare un’analisi non del tutto avulsa dalla realtà, che restituisce anche il senso di quanto sta accadendo nelle secolari comunità islamiche russofone: di fronte alla minaccia di un’islamizzazione della Russia, Putin ha risposto con una russificazione dell’islam. Sarà Kadyrov l’uomo in grado di portare a termine l’impresa? Forse sì, se teniamo in conto delle sue messianiche abilità di sportivo.

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