Il deputato del PD Emanuele Fiano è intenzionato a lasciare il segno nella storia repubblicana con un ddl che estenderebbe il reato di apologia di fascismo all’antieuropeismo, al sovranismo e a qualsiasi critica alle politiche migratorie del’attuale governo (chi vuole può leggersi l’intervista rilasciata a “l’Unità”).
Ora, anche volendo prendere sul serio tutta la faccenda, si prova un leggere disagio (anche mentale) nel constatare che per montare l’“emergenza” il governo non ha trovato di meglio che una “spiaggia fascista” gestita da un personaggio decisamente pittoresco. Ancor più irritante il tentativo di sfruttare un tema così importante (che rischia di reintrodurre il reato d’opinione) come pretesto per ricompattare il centro-sinistra.
Tuttavia, il punto che più colpisce è che anche in Italia, come in Francia, a proporre iniziative di tal fatta sia qualcuno che non esiterei a definire un “sionista sfegatato”. Non è un mistero infatti che Fiano abbia da sempre incentrato la propria militanza politica sul contrasto al “pregiudizio anti-israeliano” che a suo dire allignerebbe nella sinistra italiana, tanto da aver creato nel 2005 l’associazione Sinistra per Israele, della quale è ancora segretario nazionale.
A parlare di certi argomenti si rischia, come è noto, l’etichetta di antisemita: tuttavia “Lele” Fiano non è Moni Ovadia, dunque pare legittimo criticarlo non in quanto ebreo, ma come fervente sostenitore di Israele (poi chi vuol ravvisare un atteggiamento razzista da parte mia faccia pure, ma il problema è suo).
Il presupposto da cui parte Fiano è che la condotta di Israele vada difesa a prescindere, indipendentemente dai principi a cui essa si ispira. Per dirla ancora meglio, non esiste “destra” o “sinistra” per la “Sinistra di Israele”: esiste solo Israele.
Eppure, al di là delle opinioni personali sulla questione mediorientale e lo Stato ebraico, se ci limitiamo a considerare la situazione italiana, emerge che storicamente Israele ha riscosso simpatie perlopiù a destra.
Per farsi un’idea di quanto sia forte tale legame, una lettura più che consigliata è La destra e gli ebrei. Una storia italiana (Rubbettino, Catanzaro, 2003) di Gianni Scipione Rossi. Nel volume emergono numerosi particolari di tale “amicizia”, opportunamente lasciati cadere nell’oblio: per esempio, che verso la fine del 1947 «il quotidiano del MSI [“L’Ordine Sociale”] guardò con palese simpatia a quelli che chiama in un primo tempo “sionisti” e dopo qualche giorno semplicemente “ebrei”, scaricati dagli inglesi» (p. 69).
L’Autore cita a tal proposito una frase significativa di Franz Maria D’Asaro (uno dei primi direttori del “Secolo d’Italia”), tratta da Socialismo e nazione (Ciarrapico, Roma, 1985): costui, rispondendo al suo interlocutore Enrico Landolfi (che rimproverava alla destra il passaggio «dalle drastiche negazioni del periodo prebellico ai deliri addirittura filosionisti degli anni settanta e ottanta»), ribadisce «l’ammirazione per lo spirito nazionale di un popolo che, accerchiato da tutte le parti, difende esemplarmente il suo sacrosanto diritto alla vita».
Con la guerra dei sei giorni, Israele entrò infatti ufficialmente nella pantheon missino in qualità di “antemurale occidentale” contro il comunismo. Giorgio Almirante, nonostante la nomea di antisemita, fu in realtà un “fedelissimo” di Israele almeno a partire dal febbraio del 1967, quando espresse alla trasmissione “Tribuna Politica” la sua “ripulsa” delle leggi razziali, e fino al fatidico 1973, anno della guerra del Kippur, che oltre a registrare l’incondizionato sostegno del MSI al fronte israeliano, vide uno scambio epistolare tra Giulio Caradonna (deputato romano e segretario provinciale della Destra Nazionale) e il rabbino capo di Roma Elio Toaff.
Caradonna offrì un “appoggio concreto” da parte dei militanti alla comunità ebraica di Roma, minacciata dagli attacchi dell’estrema sinistra. Toaff rifiutò, ma da quell’offerta nacque un “prudente” dialogo, e un breve messaggio di ringraziamento del rabbino venne portato da Almirante negli Stati Uniti come “lasciapassare” «per contrastare possibili contestazioni d’antisemitismo».
Oltre a ciò, è doveroso ricordare anche il lavorio intellettuale di Giano Accame, primo sionista “ufficiale” dell’estrema, a Gerusalemme già dal 1962 come inviato del “Borghese” (giornale ai tempi gestito da Mario Tedeschi, altro ex-repubblichino di origine ebraica). Accame registrò l’apprezzamento da parte degli ambienti di destra della figura dell’ebreo combattente e dell’istituzione del kibbutz come «idea comunitaria basata su valori sociali, nazionali e spirituali» (Rossi, p. 111).
Sarebbe complicato rintracciare aneddoti simili nella storia dei rapporti tra lo Stato ebraico e la sinistra italiana (tanto meno quella estrema). Perciò è lecito domandarsi se non sia un po’ schizofrenico continuare a sostenere che “Israele è di sinistra”, e dato che ci siamo, pure “antifascista”. E, giusto per tornare alla “legge Fiano”, come dovremmo regolarci, per esempio, con figure come quella di Fiorenzo Capriotti, incursore della Decima Mas che, dopo la guerra, assieme a Nicola Conte (Mariassalto) formò l’unità speciale della marina militare israeliana Shayetet 13, della quale venne poi nominato comandante ad honorem? Capriotti, nonostante non abbia mai rinnegato certi “valori” (come dimostra l’autobiografia Diario di un fascista alla corte di Gerusalemme), in Israele è comunque considerato alla stregua di un eroe nazionale.
Ecco, se proprio è necessario approvare questo benedetto provvedimento, che almeno si contempli un “salvacondotto” per tutti quei camerati che contribuirono alla gloriosa epopea di Eretz Yisrael!