Abbiamo parlato del ruolo ebraico nell’industria pornografica e della pornografia come arma di propaganda: una vicenda che accomuna gli argomenti è il particolare tipo di guerra psicologica che l’esercito israeliano mise in atto nei confronti dei palestinesi durante l’operazione Scudo Difensivo, la più grande azione militare nella Cisgiordania dopo la Guerra dei sei giorni. Sabato 30 marzo 2002 le truppe israeliane, in una Ramallah assediata, occuparono le sedi delle tre reti televisive locali (Al-Watan, Ammwaj, Al-Sharaq) e le utilizzarono per trasmettere filmati pornografici.
L’evento, ricordato in un’anonima “cronologia” pubblicata da “Electronic Intifada” (Diary of the Invasion of Ramallah, 4 aprile 2002) e confermato da numerose fonti ufficiali e ufficiose (un rapporto del Dipartimento di Stato americano, un diplomatico statunitense presente in città e una professoressa universitaria: “Nel secondo giorno dell’assalto, girai su Watan TV per capire quello che stava accadendo e sono rimasta scioccata nell’imbattermi in un film porno”) non è da considerarsi una semplice “burla”, considerando che nella capitale de facto della Palestina la popolazione era confinata in casa da un coprifuoco esteso all’intera giornata e l’unico collegamento col mondo esterno era proprio la televisione.
Le testimonianze degli abitanti di Ramallah raccolte all’epoca sono piuttosto significative (cfr. Porn run on seized TV channels, say residents, “Sydney Morning Herald”, 1 aprile 2002): una donna palestinese di nome Reema lamentò di “avere sei figli in casa che non hanno un posto dove andare con quello che sta succedendo in città e non possono nemmeno guardare la tv” aggiungendo che “questa non è una cosa normale, gli israeliani vogliono fare il lavaggio del cervello ai nostri giovani”; mentre Anita, madre di tre figli, denunciò il “danno psicologico volontariamente causato da queste trasmissioni” (“Sono furiosa, queste sono le persone che ci sparano e ci fanno anche questo schifo. Fortunatamente, in metà di Ramallah manca l’elettricità”).
Questa, come spiega “Reason”, va a tutti gli effetti considerata un’operazione di guerriglia psicologica (Charles Paul Freund, Porn and Politics in Palestine, 3 aprile 2002):
«La moderna guerra psicologica fa spesso uso di mezzi imprevedibili. Quando anni fa le forze americane circondarono Noriega, lo bombardarono 24 ore su 24 con della musica rock: è una condotta che gli agenti dell’FBI adottano spesso negli assalti. L’idea sarebbe quella di individuare un’espressione culturale invisa all’obiettivo e di sottoporlo a un interminabile esposizione a essa (alcuni sostengono che il rumore copra i negoziati). La pornografia non è disponibile nella maggior parte delle società musulmane, tranne che su Internet. […] È probabile che l’improvvisa esposizione a immagini hardcore provochi uno shock psicologico per chi non è abituato. Sostituire notiziari palestinesi e altri programmi con questo materiale aumenta anche lo stress e la frustrazione della popolazione. Ricordiamo che gli abitanti di Ramallah non erano in grado di uscire dalle loro case nemmeno per fare la spesa. Il loro bisogno di informazioni era forte. Le forze israeliane avevano la possibilità di oscurare completamente le stazioni televisive: invece hanno preferito trasmettere immagini “sostitutive”. La pornografia potrebbe essere stata persino più demoralizzante di un oscuramento totale dei palinsesti».
Ovviamente tutto ciò non deve portarci alla conclusione che la pornografia sia una colossale operazione di guerriglia psicologica. Epperò…
Hanno sbagliato strategia perchè nella striscia di Gaza, i palestinesi figliano come conigli (quasi 5 figli per donna) e hanno tassi di crescita della popolazione del 3%.
I musulmani in genere sono grandi consumatori di porno, il tema è che a differenza del maschio occidentale ad un certo punto della loro vita hanno controllo totale sulle proprie donne che diventano mogli-oggetto sex slaves. E comunque questo sembra avvenga molto presto se è vero che un palestinese di 16 anni tecnicamente può sposarsi con sua cugina 15enne.
La tesi complottista del porno come strumento per un nuovo ordine erotico, il monopolismo nel settore di Mindgeek e pochi altri, la radicalizzazione dei contenuti volta alla distruzione programmatica delle strutture sociali familiari, mi sembrano intriganti ma -dal mio punto di vista- oscure nei fini ultimi. In quest’ottica si pongono infatti numerose domande: la pornografia sarebbe usata come sfogatoio, inibitore di energie altrimenti sovversive? dispositivo normativo (biopolitico) o il suo contrario, e se sì da parte di chi?
Altra nota; l’industria pornografica nipponica che è tra le più efficienti e organizzate, prova da anni a risollevare la libido dei giapponesi, e lo fa con evidente complicità dei governi che hanno tutto l’interesse di fronteggiare calo demografico e invecchiamento senza sovvertire la quadratura rigida della società. Se il governo giapponese ritenesse la pornografia sovversiva per l’assetto sociali la vieterebbe senza troppe preoccupazioni democratiche.
Insomma in Giappone ci provano scandagliando la più ampia gamma di perversioni (anche e soprattutto incestuose al limite del pedo) sicuramente mai rompendo il tabù raziale del Gaijin (figurarsi se black), ottenendo però risultati inversamente proporzionali agli sforzi per non dire paradossali: tassi di celibato stellari, erbivori e hikikomori. Pur ‘godendo’ -come i musulmani conoglieschi- di una femminilità pressochè sottomessa.
Ottima lettura anche se forse è un po’ stereotipata (d’altronde quando si parla in generale non si può fare altrimenti). Secondo me il rapporto tra pornografia e giapponesi ha più a che fare col sadismo che con il sesso, anche se in verità non ho mai voluto approfondire il tema: in ogni caso mi pare che nasca sin dal principio come fenomeno di nicchia, non dando rilevanza al cosiddetto “vanilla sex”. Qui in Occidente invece è sempre stato mainstream, proprio come “supporto” della rivoluzione sessuale: i feticismi e le altre degenerazioni sono venute dopo.
C’è un articolo di Gery Palazzotto sul Foglio (gennaio 2019) intitolato Pornocrazia.
Al netto di un certo elitarismo snob fogliesco credo contenga spunti interessanti.
Il tema pornografia di massa e sulla sua triangolazione con condizione femminile e società di rifermento (diversamente religiosa) mi sembra uno dei nodi da capire. Certo che dopo un ventennio di porno-web, in UK il tema della censura e del controllo sulla proliferazione del porno di massa se lo pongono, non è escluso che nei prossimi anni si agisca seriamente in proposito.
Dall’altra parte il rapporto tra porno e società giapponese è pieno di implicazioni e paradossi -ci deve essere una discreta letteratura in proposito- rimane sempre l’obbiezione su una lettura per contrasto con il resto dell’occidente avanzato, unicità giapponese è un dato di fatto. Ma è anche vero che le nostre generazioni italiche dai ’70 sono formate su un immaginario erotico tipicamente giapponese.
Ho letto il pezzo de “Il Foglio” (Pornocrazia. Chi comanda l’impero del sesso sul web, 28 Gennaio 2019) e indirettamente conferma alcuni argomenti sollevati poco tempo fa sul blog (qui e qui), anche se poi giunge a conclusioni diverse (cioè che il sesso “tradizionale” è quello che viene privilegiato):