L’Italia non è il Kekistan

La stampa italiana ha scoperto il Kekistan: che Dio (o Kek) ci aiuti!

In due parole: sabato pomeriggio al comizio milanese di Salvini è spuntata una bandiera del Kekistan, nazione immaginaria nata su 4chan per puro trolling. Anche in Italia il vessillo ha evidentemente svolto il suo compito alla perfezione, se il “Corriere” e “Repubblica” (e poi tutti gli altri a cascata), lo hanno identificato come “simbolo neonazista e suprematista”.

Finora sembra che solo “Milano Today” abbia provato a far capire alle grandi testate cos’è una trollata: è prevedibile che il tentativo non avrà tuttavia alcun successo, per gli stessi motivi per cui le tv italiane si rifiutano di accettare che il terrorista più ricercato del mondo non sia Sam Hyde. Credo che in generale sia un’assoluta perdita di tempo “tradurre” un meme in un gergo comprensibile a un giornalista: non solo perché, nel caso particolare, il provincialismo dei nostri “professionisti dell’informazione” è disarmante, ma anche perché le ragioni della propaganda impongono il paraocchi ideologico. Non a caso al di là dell’oceano si sono verificati esattamente gli stessi “equivoci” riguardo al sacro simbolo dei devoti di Kek (che con tutte quelle K saranno sicuramente del Ku Klux Klan…):

Spiegare un meme, d’altronde, è come spiegare una barzelletta: per certi versi ci troviamo di fronte a un inside joke talmente suggestiva da evolversi in folklore. Sempre in due parole, il Kekistan (tralasciandone la genealogia, ché dovremmo partire dalla famigerata “rana dell’ultradestra” che ha accompagnato il trionfo di Trump) è una reazione goliardica alla cosiddetta identity politics (“politica dell’identità”), cioè quella “dittatura delle minoranze” che attualmente sembra l’unica causa in grado di appassionare le sinistre occidentali. Il ragionamento è piuttosto semplice: se il Rule of Law può essere “balcanizzato” da chiunque si senta oppresso in base al proprio orientamento sessuale o al colore della propria pelle, allora anche gli abitanti dell’immaginario Kekistan si sentono in diritto di fare altrettanto. Questo è, in ultima analisi, uno dei motivi dietro al successo che sta riscuotendo uno “scherzo tra amici”: la politica dell’identità (da non confondere con l’identitarismo) negli Stati Uniti ha raggiunto livelli così demenziali che la “maggioranza silenziosa” ha accolto con entusiasmo la possibilità di farsene beffe.

In Italia evidentemente la situazione è diversa, anche se non saprei dire quanto ciò rappresenti un fattore positivo, perché da un lato si potrebbe sostenere che è necessario bere fino in fondo l’amaro calice per ottenere una reazione di qualsiasi tipo; dall’altro che forse abbiamo ancora qualche possibilità di “salvarci” (nonostante personaggi come la Boldrini stiano accelerato questo tipo di “americanizzazione” in entrambi gli schieramenti). Perciò anche a costo di sembrare un guastafeste, penso non abbia molto senso, almeno per il momento, invocare un “dio straniero” nella politica italiana: in fondo il nostro Paese ha infinite risorse per fabbricarsi da sé la propria “magia memetica”. L’iniziativa è stata comunque divertente, ma appunto quaggiù lascia il tempo di una risata. Invece negli Stati Uniti, terra in cui quel vessillo corrisponde così profondamente all’immaginario collettivo, i suprematisti bianchi del Kekistan hanno già individuato un leader con cui marciare su Washington:

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