J.K. Rowling nella faida tra femministe e trans

Chi non conosce J.K. Rowling? Beh, io. Avevo solo sentito parlare del suo Harry Potter una ventina d’anni fa, quando il grande Ratzinger accusò la saga di “distorcere l’anima dei giovani in maniera subdola” (eh sì, cari zoomers: nel primo decennio del XXI secolo la cristianità godette di un Papa “basato”); però in quanto adulto non ho mai provato attrazione sessuale nei confronti dei ragazzini (su questo punto purtroppo la cristianità non è stata altrettanto “basata”, come del resto l’ebraismo e tutte le altre religioni) dunque non mi è mai interessato seguire le avvincenti avventure del maghetto imperialista britannico e satanista (come da tradizione crowleyana).

Certo, mi aveva piuttosto divertito che nella saga i banchieri-goblin venissero rappresentati da essere bassi e deformi col nasone a punta, ma l’accusa di antisemitismo per l’Autrice inglese è in verità giunta dopo anni di macchina del fango a causa delle sue ferme posizioni contro l’attivismo transessuale.

Bisogna partire da un punto: la signora è da sempre fatta paladina delle cause politicamente corrette e ha sposato senza remore qualsiasi battaglia del progressismo mainstream, dal femminismo al terrorismo psicologico anti-Brexit fino naturalmente all’omofilia (negli anni del boom pro-gay dichiarò pederasti un paio di suoi personaggi a posteriori – senza doppi sensi).

Tuttavia, per essersi rifiutata di plaudire all’ultima “minoranza sessuale” che il sistema ora impone di idolatrare, è stata tacciata di “terfismo” (dall’acronimo T.E.R.F., trans-exclusionary radical feminist, “femminista radicale trans-escludente”), ovvero di essere una “fondamentalista” dei diritti delle donne perché in ultima analisi convinta che le differenze biologiche tra sessi non siano causate esclusivamente da costrutti sociali.

Le impronte di JK Rowling ad Edimburgo vandalizzate con vernice rossa e una bandiera che rappresenta il movimento transessuale (fonte)

La partecipazione della scrittrice alla faida tra femministe-lesbiche e trans (nel mondo anglosassone in atto da anni) è cominciata col suo sostegno alla ricercatrice Maya Forstater, licenziata alla fine del 2019 da un think tank londinese per aver affermato che “il sesso biologico è un dato oggettivo”. Nonostante poi la Forstater vincerà la causa in appello contro i suoi ex datori di lavoro, la difesa da parte della Rowling l’ha fatta entrare nella lista nera degli attivisti arcobaleno, i quali hanno cominciato a tacciare di “transfobia” ogni dichiarazione pubblica dell’Autrice.

Dopo mesi di velata persecuzione, l’ostilità è emersa alla luce del sole quando nel giugno 2020 la Rowling ha stigmatizzato da parte della stampa mainstream l’utilizzo di espressioni come “persone con le mestruazioni” [people who menstruate] per indicare le donne ma evitare di “offendere” o “escludere” dalla definizione gli uomini che si sentono tali (i quali, nel nuovo panorama politico-sessuale, dovrebbero di conseguenza essere considerati “donne senza mestruazioni”?).

Sopraffatta dalla violenza verbale degli attacchi, la scrittrice ha cercato di spiegare pacatamente le sue ragioni in un piccolo saggio pubblicato sul suo sito ufficiale, nel quale ha accusato l’attivismo transessuale di contribuire “all’erosione dei diritti delle donne” e di negare la possibilità alle appartenenti al genere femminile, proprio in virtù della loro appartenenza a esso (la prospettiva, come si evince, rimane ginecocentrica), di rappresentare “una classe politica coesa”.

Nel suo intervento, la Rowling ha citato gli studi della ricercatrice americana Lisa Littman per denunciare la propaganda transessuale tra i giovani, che si avvale non solo del sostegno dell’apparato politico-mediatico ma anche dei meccanismi di pressione sociale messi in atto nelle comunità online, arrivando ad affermare che se fosse nata trent’anni dopo (la Rowling è del 1965), probabilmente anche lei sarebbe stata convinta a cambiare sesso.

Tutto ciò ha trasformato la “creatrice di Harry Potter in una sorta di versione femminile di Ratzinger (com’è ironica la sorte): la Warner Bros (produttrice dei film tratti dai suoi romanzi) tramite un comunicato ufficiale ha preso le distanze dalle sue dichiarazioni (indicando come primo obiettivo dell’azienda la promozione di una “cultura inclusiva”), mentre gli attori principali della saga hanno proclamato all’unisono che “Le donne transessuali sono donne”. Tutto ciò ha portato la creatrice dell’intero universo potteriano a non presentarsi (“spontaneamente”, cioè sotto forte pressione mediatica) alla reunion per i vent’anni dall’uscita del primo episodio della serie.

La mossa non è però servita a placare gli animi, perché non si è interrotta la sequela di minacce fisiche e verbali subite dalla Rowling in questi anni: oltre agli attivisti trans che protestano davanti a casa sua, anche a livelli più “alti” (si fa per dire) troppa stampa ha promosso l’impresentabile romanzo horror-trans (sic) Manhunt dell’entità Gretchen Felker-Martin, pubblicato in aprile e divenuto best-seller nella sezione “LGBTQ + Horror” di Amazon, nel quale la scrittrice, definita “terf pazza”, finisce bruciata viva “nel suo castello scozzese”.

La Rowling ha deciso di rispondere indirettamente alle minacce pubblicando un romanzo (The Ink Black Heart) con lo pseudonimo di Robert Galbraith, nel quale la protagonista è una disegnatrice perseguitata per aver pubblicato una vignetta giudicata transfobica. Sotto il nome di Galbraith, la scrittrice ha peraltro pubblicato già sei romanzi, dei quali uno del 2020 (Sangue inquieto) narra di un serial killer che si traveste da donna per uccidere altre donne. Volume finito ovviamente nel mirino del mainstream per aver fomentato “le paure del maniaco travestito che giustificano le leggi anti-trans in tutto il mondo” (quella vecchia storia che un cinquantenne che si dichiara “ragazza quindicenne” non può entrare in uno spogliatoio femminile…). Non so se a questo punto sia il caso di andarsi a leggere qualcosa della versione “basata” della Rowling e fare il pieno di transfobia pop

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