Su YouTube è presente una versione bruttina ma adorabile di Yerushalayim shel zahav in esperanto: è suggestivo che la lingua creata dal buon Zamenhof, accostata alle sue radici, si riveli molto simile a un dialetto sefardita della Romània occidentale.
Ancora più incredibile (o angosciante, a seconda della prospettiva) che chi si pone il compito di creare una lingua artificiale dal nulla non sia poi in grado di estraniarsi completamente dal mondo da cui proviene.
Ovviamente non intendo dire che l’esperienza esperantista vada ridotta alle sue origini storiche e culturali, se non addirittura etniche. Qualcuno potrebbe pure obiettare che da quando il Doktoro Esperanto è stato proclamato come divinità dalla setta nipponica Oomoto, molti vocaboli giapponesi sono confluiti nel lessico degli esperantisti – ma lasciamo stare la faccenda delle “misteriose connessioni” tra giapponesi ed ebrei (anche se sono state scritte pagine molto belle sul tema…).
Vinece klara mont-aero kaj pina bon-odor’ ŝvebadas en la vent’ vespera kun sonoril-sonor’ En dorm’ de arboj kaj ŝtonaro Jerusalem’ de vera or’ Malplena restas plac’ merkata Kaj hurlas ventoj kun malĝojo Al ciaj ni revenis fontoj Sun-miloj brilas jam kun ĝojo |
Aria di monti limpida come vino e fragranza di pini portata nel vento del crepuscolo con una voce di campane E in un sonno di albero e di pietra Gerusalemme di vero oro La piazza del mercato è vuota E gemono i venti con tristezza Siamo ritornati ai pozzi Splendono mille soli |