JFK Files: quando i debunkeroni non si fidavano della “verità ufficiale”

Il modo in cui la stampa italiana ed internazionale sta affrontando la questione del rilascio dei Kennedy Files è a dir poco irritante: la si spaccia come un’operazione di facciata da parte di Donald Trump, all’unico scopo di sobillare la base “complottista” con un boccone decisamente poco “nutriente”.

Si sa che però l’attuale disclosure rappresenta solo il culmine di un percorso iniziato nel 1992, con una legge federale che dava ordine al National Archives and Records Administration (NARA) di raccogliere tutti i documenti relativi all’assassinio di JFK affinché venissero resi pubblici entro 25 anni. Ovvero nel 2017, quando Trump al suo primo mandato ascoltò gli appelli alla salvaguardia dei “dati sensibili” e rinviò la desecretazione per la maggior parte dei file a data da destinarsi.

Adesso che nell’ultima campagna elettorale il candidato repubblicano ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, la pubblicazione non poteva più essere procrastinata: peraltro va ricordato che l’Executive Order 14176 di inizio 2025 ordina la declassificazione anche dei documenti relativi agli omicidi di Robert F. Kennedy e Martin Luther King.

Va altresì precisato che già l’Amministrazione Biden aveva rilasciato decine di migliaia di pagine, seppur come al solito perlopiù censurate. In quel caso nessun giornale si era permesso di insinuare alcunché, ma è ormai ridicolo meravigliarsi del doppio standard. Di certo è importante che Trump abbia deciso di snobbare le pressioni dell’intelligence e non dare ai burocrati il tempo di dare un’ultima ripulita alla tranche finale di file.

Il materiale è attualmente al vaglio di quegli studiosi e storici che hanno deciso di non accogliere l’appello del mainstream a considerare l’iniziativa una “messa in scena” per corroborare l’ipotesi che esista quella cosa chiamata Deep State. C’è chi tuttavia annuncia un lavoro di analisi che durerà mesi o anni e chi invece ha deciso di servirsi cum grano salis dell’intelligenza artificiale almeno per ordinare la colossale mole di dati.

Allo stato attuale (seconda metà di marzo 2025) stanno già emergendo alcuni punti degni di nota, in particolare: la sorveglianza stretta della CIA su Lee Harvey Oswald; gli attriti tra Kennedy e l’agenzia di cui sopra che pretendeva un monopolio informale sulla politica estera (ora si ha nero su bianco la conferma che le ambasciate statunitensi, anche in paesi europei che dovrebbero essere “amici”, sono vere e proprie succursali dell’intelligence d’oltreoceano); nuovi particolari sull’Operazione Mongoose, il piano per rovesciare il governo castrista (come, per esempio, l’utilizzo di agenti israeliani); l’attivismo di Tel Aviv a Washington per sviluppare il sistema missilistico dello Stato ebraico ecc…

Il giornalista Jefferson Morley (indipendente ma ben inserito nel mondo della grande stampa) si è già sbilanciato nell’affermare che nei Kennedy Files vi siano prove sufficienti per stabilire che una “piccola cricca nel controspionaggio della CIA è stata responsabile dell’assassinio di JFK”.

Va bene, sarà pure solo un’enorme conferma dei “Segreti di Pulcinella”, ma il tono di sufficienza di alcuni giornali, come ho detto, è davvero indisponente e ai limiti della strafottenza. Tale atteggiamento va sicuramente ricondotto alla presenza di Trump al governo degli Stati Uniti, eppure, al di là delle “polemicucce”, ci sono elementi più profondi radicati nella mentalità della cupola sinistroide che controlla l’informazione.

Per dirla papale papale, coloro i quali detengono i posti di prominenza in ambito mediatico sono sostanzialmente gli eredi di una vasta area che per decenni ha fatto della dietrologia sull’assassinio di Kennedy uno dei suoi pilastri per giungere ai “piani alti”. Una volta terminata la Guerra Fredda e sottoposto la sinistra a una manipolazione liberal e globalista, i “complottisti” dell’evo precedente si sono convertiti al debunkerismo come mimesi di un’impostazione “scientifica” nell’approccio alla politica.

Da tale prospettiva, si può dire che JFK sia effettivamente morto l’11 settembre 2001, quando la “versione ufficiale” è stata elevata a dogma: anche per questo motivo, dell’assassinio Kennedy non se n’è più parlato non solo a livello giornalistico o accademico, ma soprattutto in ambito “popolare”.

Ora come ora, si può perciò intuire con quali difficoltà i debunkerz debbano giostrarsi tra il martello della mitologia kennedyana con la quale sono stati svezzati e l’incudine del ridicolo “rispetto delle istituzioni” di cui si sono fatti custodi nel momento in cui hanno avuto il contentino di “diventare ragionieri” (riprendo l’espressione rivolta da Giorgio Almirante -“Tanto diventerete tutti ragionieri!”- ai sessantottini giunti a contestarlo durante un suo comizio).

Inutile fare nomi, perché per rendersene conto del fenomeno basterebbe aprire “Repubblica” o andare su uno di quei portali di fact-checking lautamente finanziati da varie agenzie statali, parastatali ed europee (e solo per rimanere in ambito italiano, che è comunque più grottesco e paradossale di altri).

Facile affermare che questi JFK Files non aggiungono nulla alla “verità storica” (ci si risparmia almeno l’aggettivo “ufficiale”), l’importante è non indicare quale sarebbe la “verità” a cui appellarsi per sbeffeggiare il complottista di turno. E, ciliegina sulla torta, non nominare nemmeno un altro “santo laico” come Martin Luther King, che del resto è già sparito dagli schermi trent’anni fa proprio per la coda di paglia dei villan rifatti del complottismo d’antan.

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One thought on “JFK Files: quando i debunkeroni non si fidavano della “verità ufficiale”

  1. JFK cattolico e troppo simpatizzante dei comunisti in quel periodo.

    Non proprio attinente all’articolo ma ricordarsi anche il caso di Olof Palme, Licio Gelli addirittura fecce allusioni prima della sua morte.

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