Vorrei poter offrire ai miei lettori qualche prospettiva originale sulla figura di Kamala Harris, visto che in effetti le informazioni che giungono da oltreoceano sono filtrate dalle tifoserie avversarie (nel mainstream predomina il sinistrismo, sui social un quieto populismo) e non si riesce a capire né quale sia la sua effettiva storia politica né se abbia qualche possibilità di vincere alle prossime elezioni statunitensi.
Partiamo appunto dalla sua ascesa in qualità di female Obama (anche se naturalmente è molto più maschia di quest’ultimo) negli anni in cui il “Primo Presidente Nero” stava per entrare nella storia e la nostra Kamala si poneva sotto l’ala protettiva della filantropa Ann Getty, la “regina” della society di San Francisco, il cui marito Gordon (quello con la grana che le ha donato il brand di Donna Prassede californiana) è tra i suoi primi donatori, assieme a un certo Donald Trump, che tra il 2011 e il 2013 ha contribuito alla corsa della Harris per il posto di procuratore generale della California con un totale di 6.000 dollari.
Il misero obolo da parte dell’imprenditore che poi sarebbe diventato il peggior nemico dei democratici aveva messo in imbarazzo la Kamala ai tempi in cui venne scelta come “badante” di Biden, tanto è vero che lei dovette inventarsi (la sua tendenza a mentire, come vedremo, è ai limiti del patologico) di aver donato quel pugno di dollari a un’organizzazione non-profit per i diritti umani degli immigrati sudamericani, ma i giornalisti hanno scoperto che tale elargizione non è stata fatta che nel 2015, un anno dopo esser stata rieletta a a procuratore generale e mentre stava già organizzando l’ascesa al Senato.
In qualità di “procuratrice”, Harris si è guadagnata davvero una brutta reputazione nella sinistra americana. Un militante di Black Lives Matter, per esempio, descrive così la sua carriera nell’ambito giudiziario: “Il suo curriculum consiste nell’aver terrorizzato le comunità nere servendosi del complesso industriale carcerario, dimostrando costantemente di essere una nemica delle masse afroamericane”.
In particolare, gli attivisti neri la accusano di essersi opposta alla legalizzazione della marijuana in California (dalla loro prospettiva una politica razzista, perché la maggior parte degli spacciatori e consumatori della sostanza sono neri), di non aver fatto nulla per obbligare gli agenti di polizia a indossare le bodycam e, peccato più grande, aver difeso la cosiddetta regola dei 3 strikes (quella famosa legge per cui se fai tre reati finisci all’ergastolo, che naturalmente mette in difficoltà soprattutto i negretti americani). Come sostiene ancora il suprematista nero: “Kamala Harris ha dimostrato attraverso le sue azioni di non conferire alcun valore alle vite dei neri, ma piuttosto di sostenere la nostra morte tramite il sistema carcerario“.
Su questa faccenda della marijuana i neri, come prevedibile, sembrano particolarmente infervorati, tanto è vero che la povera Harris, la quale comunque non è considerata “afroamericana” dalla comunità di riferimento (al pari di Obama, che dovette offrire alla moglie Michelle una visibilità mediatica eccessiva per garantirsi, tramite osmosi, il pedigree di “discendente di schiavi”), nel 2019 si è dovuta inventare di esser stata una grande consumatrice della sostanza ai tempi del college, insinuando che fumasse ascoltando Tupac e Snoop Dogg (bufala agevolmente debunkerata considerando che la signora ha completato il percorso accademico prima della fine degli anni ’80 e che i due rapper hanno esordito non prima del 1991).
Per quanto riguarda la “comunità bianca”, essa è adirata perlopiù per la “fermezza” con cui la Harris ha svolto il suo ruolo di procuratrice in una delle città più liberal e degenerate del mondo occidentale: tra le altre cose, la Lady indo-giamaicana ha sostenuto la politica dell’ex sindaco Gavin Newsom (ora governatore e pupillo degli ultraprogressisti) di far rinchiudere in centri per immigrati i figli di cittadini non americani che avevano fatto qualche “marachella” (sempre dalla prospettiva del sinistroide privilegiato) a scuola, tipo rubare la merenda a un compagno e bullizzarlo con altre azioni. In sostanza, la Harris si è resa protagonista di una politica che nemmeno Trump si potrebbe permettere: fare arrestare un minorenne straniero per reati di poco conto direttamente dalla famigerata Immigration and Customs Enforcement (ICE), per giunta in una “città rifugio” quale San Francisco.
Gli ottimati bianchi piagnucolano poi per il fatto che la Harris non abbia mai manifestato apertamente la sua opposizione alla pena capitale durante la sua attività istituzionale, e abbia addirittura (udite udite) negato la transizione di genere a un detenuto nel 2015!!!
In generale la Harris assomiglia molto a una post-sessantottina delusa che si concede di ironizzare sul suo passato barricadero, come dimostra l’attenzione di cui ha goduto il passaggio di uno suo intervento a una conferenza in cui affermava che lo slogan Build More Schools, Less Jails (“Costruite più scuole e meno prigioni”) non rispondesse ai problemi di chi doveva mettere inferriate alle finestre e lucchetti alle porte, attestando inoltre la “realtà” del crimine a fronte d quelle utopie che vorrebbero ridurlo a una mera ripercussione delle condizioni socio-economiche del reo:
Al di là però delle ubbie di neri scatenati e bianchi privilegiati, per l’americano medio le eventuali iniziativa in politica estera di Kamala appaiono sicuramente meno rassicuranti di quelle di un Obama, e anche di un Trump: la Nostra ha una posizione ferocemente anti-russa e di conseguenza anti-iraniana, a volte talmente intransigente che si giunge a non capire se sia la sua avversione a Teheran a obbligarla sempre e comunque a schierarsi contro Mosca nel momento in cui i legami tra Putin e ayatollah si stringono sempre più.
I maligni sostengono che la sua marcata militanza anti-persiana all’interno dei democratici, che l’hanno portata non solo a sostenere il prolungamento della “guerra per procura” in Siria persino con un Trump alla Presidenza (iniziativa sconsigliata dal Partito per ragioni tattiche), ma persino a farsi promotrice del disegno di legge che ha permesso a Trump di imporre sanzioni all’Iran (in violazione del noto accordo nucleare, fiore all’occhiello della diplomazia obamiana), sia dovuta all’influenza del marito Doug Emhoff, ebreo newyorchese fortemente legato a Israele.
Tutto questo, però, ha un’influenza infinitesimale nel momento in cui gli yankee dovranno andare alle urne (tanto è vero che è inutile continuare a discutere del perché la persianofobia della candidata serva a tenere buoni i “palestinisti” che non potrebbero accettare un suo aperto sostegno allo Stato ebraico): in America sono già sorti comitati di “Gattare per Kamala” (letteralmente, Cat Ladies for Kamala, perlopiù obese sessantenni con la mascherina) che affermano che la loro paladina sarebbe “la donna di cui abbiamo bisogno” perché “è come loro” e porterà Peace & Love (sì, questi sono i presupposti):
LOW IQ woke female Kamala voters have no idea why they support Kamala Harris when asked what policy wins their support
Nothing but emotional nothingness
This is why Kamala doesn’t need policy on her website, they know these types of people don’t care
— Drew Hernandez (@DrewHLive) August 10, 2024
Del resto, il tema principale della campagna harrisiana è per l’appunto la joy, che tradurre con “gioia” sarebbe forse riduttivo, in quanto gli americani, almeno quelli di orientamento liberal, stanno conferendo all’espressione connotazioni sempre più vicine all’incoscienza, se non al vaneggiamento e in ultima analisi al cupio dissolvi. Mai sottovalutare la spinta all’auto-distruzione di un impero in decadenza. Kamala potrebbe vincere a mani basse, oppure con qualche “aiutino” come Biden nel 2020.
We are all laughing at the prospect of President Kamala, but we must remain steadfast and never ever ever ever ever ever ever underestimate how retarded women voters are.
— The Redheaded libertarian (@TRHLofficial) July 21, 2024
I know its superficial, but I like that Kamala can dance and that she looks incredible for her age. She looks like the kind of person you’d like to have a margarita or two with.
— Claire Lehmann (@clairlemon) July 24, 2024
Leaked video from Hell:
— ALX 🇺🇸 (@alx) August 11, 2024
Hai ragione con la tua frase mai sottovalutare la spinta all’auto-distruzione.
Americani gente strana.
Per quanto riguarda gli americani di andare a morire in Medio Oriente credo non ne abbiano voglia.
Black Lives Matter e movimenti woke sono tutti schierati contro l’invio di nuove armi in Medio Oriente.
Da qui alle elezioni ne vedremo delle belle, credo dovremmo procurarci dei popcorn.