Leaked files expose mass infiltration of UK firms
by Chinese Communist Party
(Daily Mail, 12 dicembre 2020)
Un database di quasi due milioni di membri del Partito Comunista Cinese svela come l’influenza di Pechino si estenda a quasi ogni livello della vita pubblica britannica, comprese aziende legate alla Difesa, banche e giganti farmaceutici.
Documenti trafugati e divulgati su Telegram hanno rivelato l’infiltrazione di massa di aziende britanniche da parte del Partito Comunista Cinese, tra le quali AstraZeneca, Rolls Royce, HSBC e Land Rover. Alcuni membri del Partito sarebbero al momento impiegati nei consolati, nelle università e in alcune delle principali aziende del Regno Unito.
Il lato più inquietante è che alcuni degli appartenenti del Partito Comunista Cinese, che giurano di “custodire i segreti del Partito, essere fedeli al Partito, lavorare sodo, combattere per il comunismo per tutta la vita e non tradire mai il Partito”, a quanto pare si sarebbero appunto assicurati un impiego in pianta stabile nei consolati britannici. Tra di essi ci sarebbe un alto funzionario del consolato britannico a Shanghai, dove agirebbero in incognito uomini dell’intelligence del Regno Unito.
Sebbene non ci siano prove che qualcuno sulla lista dei membri del Partito abbia compiuto attività di spionaggio in favore della Cina (molti si iscrivono semplicemente per aumentare le loro prospettive di carriera), per gli analisti è comunque difficile credere che nessuno di essi abbia passato informazioni a Pechino. In risposta alla rivelazione, una trentina di parlamentari ha annunciato un’interrogazione urgente sulla questione.
L’ex leader dei Tory Iain Duncan Smith ha dichiarato al Daily Mail:
“Questa indagine dimostra che i membri del Partito Comunista Cinese agiscono ora in tutto il mondo, e che molti di essi lavorano per alcune delle più importanti multinazionali, per istituzioni accademiche e servizi diplomatici occidentali. Il governo deve espellere e rimuovere qualsiasi membro del Partito Comunista dai consolati in tutta la Cina. Devono decidere di porsi al servizio del Regno Unito o del Partito Comunista Cinese. Non possono fare entrambe le cose”.
Il Ministero degli Esteri britannico ha però confermato l’esistenza di procedure di sicurezza affidabili per “proteggere le informazioni sensibili e monitorare il personale delle nostre ambasciate”. Pare sia implicita dunque l’ammissione di essere al corrente della presenza di membri del PCC tra i ranghi diplomatici inglesi.
Il database è originariamente comparso a settembre su Telegram, l’app di messaggistica istantanea crittografata, per tramite di un dissidente cinese: a rintracciarlo l’Alleanza Interparlamentare sulla Cina (IPAC), organizzazione internazionale impegnata nel contrasto dell’espansionismo pechinese. Risalente al 2016, l’elenco include i nomi dei membri del Partito a Shanghai, la più grande città della Cina e principale centro finanziario. L’elenco è suddiviso in oltre 79.000 sezioni, molte delle quali affiliate a singole aziende o organizzazioni. In totale, il Partito Comunista Cinese ha più di 92 milioni di membri, ma la selezione è spietata: meno di un candidato su dieci riesce ad entrarvi.
Dopo aver verificato l’autenticità dei documenti con l’aiuto di analisti, l’IPAC ha passato il database ai media internazionali più importanti, incluso il Daily Mail. Un’analisi dettagliata da parte di questo giornale ha concluso che:
1) Un membro del partito che ha studiato alla St. Andrews University ha lavorato in vari consolati a Shanghai, incluso quello del Regno Unito;
2) Gli accademici cinesi che hanno giurato di servire fedelmente il Partito hanno frequentato le università britanniche in aree di ricerca potenzialmente sensibili, tra le quali l’ingegneria aerospaziale e la chimica;
3) Nel 2016 c’erano più di 600 membri del partito in 19 filiali presso le banche britanniche HSBC e Standard Chartered;
4) I giganti farmaceutici Pfizer e AstraZeneca – entrambi impegnati nello sviluppo di vaccini contro il covid – hanno un totale di 123 uomini del Partito tra le loro file;
5) Aziende che collaborano al settore della difesa, come Airbus, Boeing e Rolls-Royce, danno lavoro a centinaia di membri del Partito.
Fonti della sicurezza ritengono che la fuga di dati iniziale provenga da un dissidente che avrebbe trafugato i registri dagli uffici di Shanghai: nonostante la quasi certezza di venire giustiziato per tradimento se scoperto, l’anonimo funzionario, dopo aver avuto accesso ai dati, li ha comunque scaricati sul suo portatile e li ha poi diffusi su Telegram. Oltre ai nomi dei membri, il database contiene luoghi, date di nascita, indicazioni sull’etnia e in alcuni casi indirizzi e numeri di telefono.
Il funzionario consolare è registrato in una sezione del Partito Comunista all’interno di una società chiamata Shanghai Foreign Agency Service Corporation, agenzia di collocamento statale che impiega quasi duemila addetti e, come afferma il suo sito web, “fornisce servizi completi e di alta qualità a più di un centinaio di organizzazioni straniere a Shanghai, inclusi consolati, mezzi di informazione e scuole”.
L’analisi dei dati mostra che almeno 249 membri del Partito Comunista sono stati registrati presso l’agenzia nel 2016. Tra gli accademici nell’elenco diversi vivono e lavorano nel Regno Unito, come un ricercatore in ingegneria aerospaziale presso un’importante università impiegato in un’azienda privata. Il settore dell’ingegneria aerospaziale è designata dal governo britannico come tra quelli più “sensibili” dal punto di vista militare. Per questo gli studenti provenienti da paesi che non fanno parte dell’UE o della rete “Five Eyes” di Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda devono ottenere un certificato ATAS (Academic Technology Approval Scheme).
Durante il processo di accreditamento, viene chiesto agli aspiranti studenti di dichiarare eventuali finanziamenti riconducibili allo Stato di provenienza, sebbene alcuni esperti di sicurezza temano che il processo di verifica non sia abbastanza rigoroso. I servizi di sicurezza statunitensi sono di certo da sempre più attenti alla minaccia dello spionaggio cinese nelle accademia. Nel 2020 quattordici cittadini cinesi sono stati accusati di spionaggio e l’amministrazione Trump ha cambiato le regole sui visti in modo che i membri del PCC e le loro famiglie possano rimanere o ottenere documenti di viaggio solo per un mese. Pochi giorni fa John Ratcliffe, responsabile della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha dichiarato che la Cina rappresenta la “più grande minaccia alla democrazia e alla libertà” dalla Seconda guerra mondiale e punta al “dominio planetario economico, militare e tecnologico”.
L’Australia ha revocato i visti a due professori cinesi a settembre, per il sospetto del loro coinvolgimento in attività di spionaggio. Uno degli uomini appare nell’elenco appena trapelato.
Il database rivela anche che i membri del Partito lavorano per aziende britanniche e internazionali in Cina, molte delle quali coinvolte nell’industria farmaceutica o della difesa. Rolls-Royce, Boeing, Airbus e l’appaltatore della difesa francese Thales annoverano decine di membri del Partito, mentre i giganti bancari britannici HSBC e Standard Chartered addirittura centinaia.
Nessuna delle società nominate vieta ai dipendenti di essere iscritti al Partito Comunista Cinese. Non ci sono d’altronde prove che le aziende siano state vittima di spionaggio; ognuna di esse conferma anche di aver messo in atto misure stringenti a protezione di dati, del personale e dei clienti.
L’ex diplomatico Matthew Henderson afferma: “Questa è un’ulteriore prova di come la Cina si sia introdotta nell’establishment britannico. Siamo agnelli alle prese con lupi rabbiosi, intenzionati a incunearsi tra la Gran Bretagna e l’America, distruggere la democrazia e sottomettere l’Occidente “.
Secondo Sam Armstrong, portavoce del think-tank sulla politica estera della Henry Jackson Society, “questo è un esempio inquietante della penetrazione del potere cinese nel mondo, un fenomeno che dobbiamo affrontare di petto”.
E un ex analista dell’intelligence della CIA e della Casa Bianca, esperto di Asia orientale, ha detto: “Questo è il Partito Comunista Cinese, non ci si può fidare, sono pronti ad approfittare di qualsiasi cosa, relazioni, amicizie, per promuovere i propri interessi”.
Tuttavia, per Robbie Barnett, affiliato del Lau China Institute al King’s College di Londra e alla London’s School of Oriental and African Studies, “è improbabile che molti membri del PCC credano nel comunismo o provino qualche interesse nei suoi confronti, si tratta perlopiù di un progetto legato agli interessi della nazione, non di una ideologia. Questo è solo uno dei tanti motivi per cui un approccio maccartista non avrebbe senso, oltre al fatto che naturalmente sarebbe una grave violazione dei diritti umani”.
La scorsa notte, una portavoce dell’ambasciata cinese ha dichiarato: “Esortiamo i media ad abbandonare i pregiudizi ideologici e la mentalità da Guerra fredda e considerare la Cina, il Partito Comunista Cinese e lo sviluppo della Cina in modo razionale e imparziale”.
Il consolato britannico a Shanghai, almeno all’esterno, è quasi insignificante: si distingue poco dagli altri grattacieli che affollano lo storico quartiere. Ciò che accade all’interno, tuttavia, è una questione completamente diversa.
Secondo fonti della sicurezza, un funzionario consolare identificato nel database trapelato sarebbe a stretto contatto con una squadra di ufficiali dell’MI6 che operano sotto copertura diplomatica. Curiosamente, il funzionario lavorerebbe “al piano di sotto” rispetto agli uffici degli uomini dei servizi britannici; come ha rivelato una fonte segreta al Daily Mail, “in teoria, chiunque passi davanti all’ufficio dove lavora il funzionario salendo le scale potrebbe essere identificato come uomo dei servizi e tale informazione potrebbe essere poi passata al Partito Comunista”.
Non ci sono prove che ciò abbia causato qualche spiacevole inconveniente, ma il solo fatto che un membro del Partito Comunista Cinese lavori a stretto contatto con ufficiali dell’intelligence ha di per sé fatto sorgere la preoccupazione che il Regno Unito stia “scherzando col fuoco”.
Shanghai negli anni ’30 era considerata la “Parigi dell’Est”, la metropoli più all’avanguardia della Cina, un paradiso per gangster e intellettuali, nuovi ricchi e ultra-poveri. La rivoluzione comunista ha cambiato tutto e la leggendaria vivacità della città è stata in soffocata. Anche alla fine degli anni ’80, quando altre parti della Cina si stavano modernizzando rapidamente, Shanghai è rimasta indietro. Il suo aspetto odierno decisamente futuristico attesta una ripresa degli antichi splendori. I grattacieli nello scintillante quartiere finanziario di Pudong, ad esempio, fanno impallidire il vecchio lungomare coloniale al di là del fiume Huangpu.