Ogni volta che doveva parlare del mancato conferimento del Nobel per la Letteratura a Franz Kafka, il critico George Steiner ripeteva sempre che “l’aggettivo kafkiano viene usato in più di cento lingue”. Sinceramente ne dubito, ma proviamo a vedere se c’è del vero in tale sparata improvvisando un elenco con l’ausilio di Wikipedia:
- Afrikaans: Kafkaesk
- Albanese: Kafkor
- Bielorusso: Кафкаўскай [Kafkaŭskaj]
- Bosniaco: Kafkijanski
- Bulgaro: Кафкиански [Kafkianski]
- Catalano: Kafkiano
- Ceco: Kafkárna; Kafkovský
- Cinese: 即卡夫卡式的 [Jí kǎfūkǎ shìde]
- Croato: Kafkijanski
- Danese: Kafkask
- Ebraico: קפקאי [Kafkai]
- Esperanto: Kafkeca
- Estone: Kafkalik; Kafkalikuks
- Finlandese: Kafkamainen; Kafkamaisuus
- Francese: Kafkaïen
- Galiziano: Kafkiano
- Giapponese: カフカ的 [Kafkateki]; カフカエスク[Kafkaesk]
- Giavanese: Kafkaesk
- Greco: Καφκικός
- Inglese: Kafkaesque; Kafkan; Kafkian; Kafkaian
- Italiano: Kafkiano
- Kazako: Кавкаские [Kafkaskie]
- Limburghese: Kafkaësk
- Lituano: Kafkiškos
- Macedone: Кафкијански [Kafkijanski]
- Malayalam: കാഫ്കയിസ്ക്ക് [Kafkayisk]
- Montenegrino: Кафкијански/Kafkijanski
- Norvegese: Kafkastemning
- Occitano: Kafkaian
- Olandese: Kafkaiaans
- Persiano: کافکایی [Kafkayi]
- Polacco: Kafkaesk; Kafkowski
- Portoghese: Kafkiano
- Romeno: Kafkian
- Russo: Кафкианский [Kafkianskij]
- Serbo-croato: Kafkijanski
- Slovacco: Kafkovský
- Spagnolo: Kafkiano
- Svedese: Kafkaesk; Kafkastämning
- Tailandese: แบบคาฟคา [Bee-ka(f)-ka]
- Tedesco: Kafkaesk
- Turco: Kafkaesk
- Ucraino: Кафкіанскій [Kafkianskij]
- Ungherese: Kafkai
- Vietnamita: Kiểu Kafka
Con tutto l’impegno possibile, non si arriva nemmeno a cinquanta: anche volendo moltiplicare gli idiomi slavi all’infinito, comunque si rimane lontani dal numero ipotizzato da Steiner. Per giunta in lingue come il ceco, lo slovacco e il polacco l’espressione non invoglia all’uso, in quanto “Kafka” (Kawka, Kavka, Kávka) significa già “taccola”, una specie di corvo (del resto è da lì che proviene il cognome dello scrittore), e pur non generando equivoci semantici crea ugualmente un certo smarrimento in chi lo usa (un po’ come agli italiani “volterriano” suona più come volterrano che voltairiano).
La verità è che nella maggior parte del mondo l’aggettivo “kafkiano” non ha alcun senso: nonostante la nota voracità con cui una lingua si arricchisce di prestiti e forestierismo, in tal caso esistono decine di aggettivi che rendono superflua l’adozione di “kafkiano” (se è per questo, pochissime lingue concedono al buon Luigi Galvani la paternità di alcuni processi di zincatura, e lo stesso discorso vale per “pastorizzazione” ecc.; forse può consolare che nemmeno serendipity abbia avuto molta diffusione).
È ovvio che quando un concetto non viene acquisito dal punto di vista sociale e culturale, difficilmente poi potrà essere espresso con un prestito linguistico. In amarico, per esempio, si potrebbe forse dire ካፍካኛ [Kafkania], ma il fatto che la pagina di Wikipedia dedicata all’Autore sia lunga una riga lascia suppore che in tutta l’Etiopia solo qualche sparuto intellettuale ne conosca non dico le opere, ma almeno il nome.
In altre lingue, come il vietnamita, “kafkiano” vuol dire semplicemente “relativo allo stile di Franz Kafka”, e anche se ho voluto inserirlo nella lista come Kiểu Kafka [“stile di Kafka”] in realtà non esiste un vero e proprio termine che rappresenti la fatidica “situazione”.
Per quanto riguarda la Cina, è da poco tempo entrata in voga l’espressione “società kafkiana”, 卡夫卡式的社会 [Kǎfūkǎ shìde shèhuì] che tende a rappresentare, secondo i canoni delle mode culturali, un senso di “straniamento” del cittadino rispetto alla società. Qualche testimonianza da social e blog:
«”Società kafkiana” è un concetto tratto dall’opera letteraria La Metamorfosi e definisce una società piena di procedure macchinose e attese infinite, dominata dalla burocrazia. In una società di questo tipo, le persone sono soggette a controlli e restrizioni sempre più coercitivi. Questo fenomeno non si limita all’ambito culturale, ma si estende a molti campi della vita quotidiana come il lavoro, l’istruzione e la politica. In una società kafkiana c’è un generale senso di crisi, nonostante l’apparenza di ordine. Gli individui che vivono in tali società spesso si trovano di fronte alla scelta di obbedire o disobbedire. Le persone obbedienti possono essere temporaneamente al sicuro, ma potrebbero pagare le conseguenze di tale sicurezza in futuro, mentre le persone disobbedienti subiscono conseguenze immediate. Coloro che cercano di evidenziare i problemi vengono spesso criticati, isolati e discriminati. Anche se tutti avvertono la crisi, la maggior parte delle persone spera di sfuggire alla catastrofe. La società kafkiana descrive un mondo di oppressione, ingiustizia e crisi, e funge da monito per mantenere alta l’attenzione nei confronti di tali fenomeni sociali» (fonte).
«Recentemente in Cina è diventata popolare l’espressione “società kafkiana”. Kafka era uno scrittore ceco che riusciva a comprendere le cose in modo profondo. Non esiste però una definizione univoca di “società kafkiana”; la più in voga è questa: “In una società kafkiana sembra essere tutto in ordine, ma in realtà in essa domina il caos. Tutti ne sono consapevoli e tutti sanno che ne pagheranno un prezzo in futuro”. La caratteristica di tale società è: “Non importa quanto siano bizzarre, assurde e illogiche le sue regole, la maggior parte delle persone le rispetterà senza esitazione”. Tuttavia se si obbedisce, si subiranno le conseguenze più tardi; se si disobbedisce, le si subiscono immediatamente. Insomma, prima o poi tutti subiranno le conseguenze di una società kafkiana» (fonte).
«In un mondo kafkiano, le leggi, le regole, l’ordine sociale e persino l’identità stessa delle persone diventano confusi. Gli individui cercano di dare un senso alla vita, ma si perdono in un labirinto assurdo dal quale non riescono a fuggire. Come i personaggi di Kafka, anche noi stiamo cercando una via d’uscita, la chiave che ci permetterà di evadere da questo mondo insensato. Kafka sobilla le nostre paure più profonde in modo straniante. Non ci sono risposte chiare nei suoi libri, solo domande e dubbi. Queste domande sono come uno specchio, che riflette le nostre paure interiori e la nostra impotenza. Quando leggiamo i suoi romanzi, sembra che egli guardi nei nostri cuori» (fonte).
Come si evince da questi esempi, qualsiasi lingua può farsi prestare un “kafkiano” dall’Occidente senza che i suoi parlanti abbiano non dico compreso, ma anche solo letto una sola riga dell’Autore. Penso che i cinesi, al pari di sumatrani, mongoli e botswani continueranno a chiedersi: «Ma precisamente questo “Kafkian” chi è?».