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“Saremo mongoli fino alla morte!”. La Cina sta perpetrando un genocidio culturale nella “Mongolia Interna”

China’s Crackdown on Mongolian Culture
(Antonio Graceffo, The Diplomat, 4 settembre 2020)

“La lingua della Mongolia è ciò che rende un mongolo tale, e e se un individuo perde la propria lingua perde la propria identità”. Così si legge su uno striscione di protesta contro la decisione del governo cinese di limitare l’istruzione bilingue nella cosiddetta “Mongolia Interna”.

Dopo la Seconda guerra mondiale, la parte meridionale della Mongolia è stata annessa dalla Cina, diventando appunto la regione autonoma della Mongolia interna. Da quel momento, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha gradualmente eroso la cultura e l’indipendenza della popolazione mongola della regione. Pechino ha incoraggiato i cinesi di etnia Han a trasferirsi nella Mongolia Interna, dove ora essi superano i mongoli in rapporto di quasi 6 a 1. Inoltre il PCC ha ridotto i posti nelle scuole pubbliche bilingue da 190.000 a 17.000 consentendo ai bambini di etnia Han di accedervi.

Ad agosto 2020 il governo cinese ha annunciato che all’inizio del nuovo anno scolastico le lezioni di mongolo sarebbero state drasticamente ridotte. In base ai nuovi regolamenti, letteratura, politica e storia saranno ora insegnate in mandarino. Simili iniziative sono state posto in atto anche nel Tibet cinese e nello Xinjiang (la regione degli uiguri).

Molte famiglie della Mongolia Interna preferiscono lasciare i loro figli a casa piuttosto che costringerli a seguire lezioni in mandarino. Con l’apertura delle scuole nella prima settimana di settembre sono iniziate anche le proteste dei genitori. Nella contea di Naiman, ad esempio, dove normalmente c’erano 1000 studenti mongoli, solo 40 si sono registrati per questo semestre e solo 10 si sono effettivamente presentati il primo giorno di scuola. In tutta la regione, più di 300mila studenti hanno “scioperato”.

I 300 dipendenti delle stazioni radio e TV mongole controllate dal PCC nella Mongolia Interna hanno minacciato le dimissioni in massa se i genitori subiranno qualche conseguenza per essersi rifiutati di mandare i propri figli a scuola. La risposta di Pechino è stata mettere delle taglie su presunti “capobanda” mongoli: finora sono stati emessi migliaia di mandati di arresto.

Sono apparsi video sul web di genitori che cercano di portare via i loro figli da scuola mentre la polizia gli impedisce di farlo. Centinaia di poliziotti antisommossa sono stati schierati per prevenire le proteste, ma dopo una situazione di stallo durata diverse ore, i manifestanti sono finalmente riusciti a sfondare le barricate della polizia e riprendersi i figli. Altri video sui social mostrano bambini mongoli intonare “La nostra lingua è il mongolo!” e “Saremo mongoli fino alla morte!”.

Alcuni manifestanti hanno indossato gli abiti tradizionali e innalzato il khar suld, lo stendardo nero che rappresenta il potere dell’eterno cielo blu (Monke Khukh Tenger) e che secondo il folklore nazionalista avrebbe lo scopo di concentrare lo spirito di tutto il popolo contro i nemici. Secondo la leggenda, in esso risiederebbe l’anima di Gengis Khan. Per molti mongoli innalzare il suld equivale a una dichiarazione di guerra.

La Costituzione della Repubblica Popolare Cinese stabilisce che “tutti i gruppi etnici sono uguali” e che “lo Stato protegge i diritti delle minoranze etniche”. Tuttavia, le autorità cinesi hanno passato gli ultimi settant’anni a intaccare gradualmente i diritti delle minoranze etniche, in un tentativo ad ampio raggio di omogeneizzazione etnica e nazionale. Gli uomini di etnia Han ricevono persino generoso contributi dallo Stato quando sposano donne appartenenti a minoranze etniche uigure o mongole. I gruppi per i diritti umani della Mongolia Interna all’estero hanno definito le azioni cinesi una forma di “genocidio culturale”.

Non è solo una questione di linguaggio. Anche ai mongoli della Cina, come ad altri gruppi etnici, viene negata la libertà religiosa. In Cina, l’unica associazione buddista legale è quella controllata dal PCC: molti mongoli, tuttavia, seguono una forma tibetana di buddismo che riconosce il Dalai Lama come autorità spirituale. Le restrizioni di Pechino sulla religione tibetana colpiscono quindi anche i mongoli.

Mentre la comunità internazionale sembra però interessarsi, almeno a parole, ai diritti di tibetani e uiguri, una petizione per salvare l’insegnamento del mongolo finora ha ricevuto meno di 21mila firme. Trump ha firmato l’Uyghur Human Rights Policy Act del 2020, mentre il Tibetan Policy and Support Act del 2019 è passato alla Camera. Il Congresso della Mongolia Meridionale, un gruppo di attivisti di base in Giappone, ha rivolto un appello al Congresso degli Stati Uniti affinché si impegni anche a difendere i diritti della minoranza mongola in Cina.

La nazione mongola, una democrazia di appena 3 milioni di abitanti, conta meno mongoli della parte cinese, che su 24 milioni annovera più di 4 milioni di cittadini cinesi di etnia mongola. A differenza però di quelli cinesi, i mongoli godono di libertà religiosa, culturale, linguistica e di stampa. Per impedire alle famiglie di etnia mongola di comunicare e organizzarsi, Bainu, piattaforma social mongola in Cina, è stata oscurata. Sfidando le minacce del governo cinese contro i cittadini che criticano la nuova “politica linguistica”, i mongoli cinesi hanno comunque continuato a inviare video ad amici e parenti oltre confine, dove vengono ripubblicati su social proibiti in Cina come Facebook e Twitter.

Molti cittadini mongoli sono indignati per il maltrattamento dei loro fratelli in Cina. Un post di un accademico mongolo mostra un uomo in lacrime per la situazione del suo popolo: “Mi dispiace per i mongoli, dobbiamo sostenere i mongoli interni. Non riesco a controllare le mie emozioni”.

La Mongolia Interna, nonostante la repressione, è stata determinante nel preservare l’alfabeto tradizionale mongolo, a differenza della Mongolia indipendente costretta dall’occupazione sovietica ad adottare il cirillico, usanza poi mantenuta anche dopo il crollo dell’URSS. I mongoli cinesi però ora temono che, in base alle nuove direttive della Repubblica Popolare Cinese, l’uso dell’antica scrittura mongola potrebbe sparire per sempre.

L’ex presidente della Mongolia Cahiagijn Ėlbėgdorž ha recentemente twittato:

“Se un mongolo non può avere una propria cultura, una propria storia e una propria lingua, allora non può essere un mongolo. Trecento anni di umiliazioni contro i mongoli non dovrebbero proseguire nel nuovo secolo! So che il leader dei nostri vicini del Sud, Xi Jinping, rispetta la lingua e la cultura altrui. La soppressione della lingua e della cultura mongola non è la strada che una grande potenza responsabile dovrebbe seguire”.

Purtroppo non c’è molto che il governo mongolo possa fare per protestare, data la forte dipendenza della nazione dalla Cina, che assorbe oltre l’80% delle esportazioni della Mongolia ed è in grado di danneggiarla economicamente. Come ha già fatto in passato, quando Ulan Bator consentì nel 2016 al Dalai Lama di recarsi in visita nel Paese e Pechino reagì imponendo alti dazi alle importazioni. Di conseguenza, i mongoli sono ridotti a spettatori frustrati che guardano da lontano la Repubblica Popolare Cinese distruggere ciò che resta della loro cultura a sud del confine.

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