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La comunità di Cardiff ricorda commossa un travestito che ha violentato un ragazzino

Domenica 22 gennaio 2023, Darren Moore, un travestito (“drag queen”) che attraverso le sue “performance” si era guadagnato una sorta di celebrità a Cardiff, è stato trovato ucciso. Il cordoglio unanime della comunità LGBT+ e dei media ha lasciato di stucco una parte (molto esigua) della stampa britannica conservatrice, le cui istanze a livello mainstream ormai si riducono obiettivamente al solo “Spetactor”. L’unico foglio, infatti, ad aver riportato la notizia delle “commemorazioni” di Moore con un certo sdegno, dal momento che costui in vita era stato, oltre che artista drag, uno stupratore di ragazzini (cfr. J. Esses, The strange reaction to the death of a child rapist drag queen, 28 gennaio 2023):

“Questo dato, agghiacciante, è stato quasi completamente ignorato dai media mainstream nel riportare la notizia della sua morte. Al contrario, i commenti riguardo al personaggio sono stati estremamente positivi, a volte hanno rasentato il mieloso, con articoli su articoli a descrivere in dettaglio i commossi tributi a Moore dalla comunità locale”.

Prima di polemizzare, riassumiamo i fatti: Darren Moore, 39enne che di mestiere faceva il gioielliere, è stato trovato morto a Cardiff ancora conciato con la sua “divisa” d’ordinanza (abito giallo sfavillante, parrucca bionda, trucco completo e “il suo caratteristico seno finto”). Ad ucciderlo, per motivi non ancora chiariti, un cinquantenne che lo ha pedinato all’uscita di un nightclub.

Il signor Moore era stato arrestato nel marzo del 1999 per lo stupro di un ragazzo minore di 16 anni. Era poi stato condannato nuovamente nel 2011 per aver fatto l’insegnante di danza a dei ragazzini, violando il divieto di non avere più contatti “lavorativi” con i minori che gli era stato imposto. Questo però non ha impedito alla “comunità di Cardiff”, di ricordarlo: la BBC ha riportato (in un articolo che liquida le malefatte di Moore in due righe finali) le commosse testimonianze di anonimi “membri” di tale comunità, uno dei quali ha affermato che “nessuno è più al sicuro da nessuna parte” (non me lo dica, signora) e un altro ha ricordato che “nella comunità gay lo conoscevano tutti, e tutti gli volevano bene”.

Persino l’ispettore capo di Cardiff ha voluto rassicurare la “comunità” (continuiamo a usare il termine nella convinzione che da quelle parti esso valga sia per la collettività di cittadini che per gli LGBT+, nel contesto albionico perfettamente assimilabili tra di esse): “Cardiff ha una lunga e orgogliosa tradizione nel riconoscere, celebrare e proteggere l’uguaglianza e la diversità”.

Peggio della BBC hanno fatto Sky News, il Mirror e il Daily Post, che hanno completamente censurato la macchia sul passato della drag queen. Come nota ancora lo “Spectator”:

“È sempre più preoccupante la tendenza dei giornalisti a gettare alle ortiche la propria integrità nel momento in cui devono parlare di persone LGBT+. […] Il timore è che dire qualcosa di negativo o provocatorio su un trans, anche quando ci si riferisce a fatti reali, potrebbe essere condannato come transfobia“.

Più preoccupante ancora, il supporto accorato alla raccolta fondi per i funerali di Moore da parte di “Aida H. Dee” (vero nome Sab Samuel), animatore della “Drag Queen Story Hour UK” (travestiti che vanno a leggere favole ai bambini nelle scuole o nelle biblioteche), il cui slogan è Love has no age [“L’amore non ha età”], un motto già poco innocente sulle labbra truccate di un uomo che organizza “eventi di lettura” indossando (ricorda sempre lo Spectator) “abiti così attillati che i suoi genitali [maschili!] sono spesso visibili”, ma che anche alla luce di questo “elogio” diventa senza dubbio inquietante (ma chi indagherà mai?).

Un altro caso ricordato dall’autore dell’articolo (James Esses, avvocato e psicoterapeuta, che si occupa coraggiosamente degli aspetti più controversi della questione trans) è quello di “Isla Bryson”, nome “d’arte” di Adam Graham, un individuo biologicamente maschio che si veste da donna (ed è pure scozzese), condannato per aver violentato due donne (da uomo) e condotto in un carcere femminile (perché adesso è “donna”). Il caso, del quale la stampa italiana non ha parlato (e se lo ha fatto, ha usato i pronomi “giusti”, cioè sbagliati), ha costretto il Ministro della giustizia di Edimburgo a porre la condizione (solo temporanea!) che le “donne trans” accusat* di stupro su vere donne non possano essere detenute in carceri femminili. Lo Spectator cita il fatto per evidenziare come i giornalisti britannici, nel descrivere le violenze, abbiano -senza tema di ridicolo- parlato di “pene femminile” [her penis] nonostante all’epoca dei fatti “Ilsa” evidentemente considerasse il suo organo genitale come “maschile”. E ci feriamo qua, solo per buon gusto.

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