La destra è un po’ troppo puttana

Nel 1972 per le Edizioni del Borghese il filosofo Armando Plebe (1927-2017) stilò un Libretto della Destra che voleva rappresentare una sorta di “manifesto politico” a misura di quelli che oggi definiremmo “normaloidi” (normie). La destra “coraggiosa e combattiva” evocata da Plebe si ammanta sin dal principio dell’aggettivo nazionale, contrapponendosi così a una destra economica (che ha come scopo “conservare i privilegi dei ricchi”) o clericale (che pretende di “imporre la supremazia della Chiesa sullo Stato”). Il modello culturale a cui si richiama è nientedimeno che l’umanesimo rinascimentale, rappresentante della tipica mentalità italiana che “rifiuta le ideologie astratte” e il cui compito storico è “difendere nuovamente la dignità dell’uomo dalle forze che tentano di soffocarla”.

Il Libretto fa insomma parte di quella pubblicistica conservatrice post-68ina che da una parte invocava una reazione dura alla rivoluzione culturale (secondo il principio “combattiamo se vi siamo costretti”) e dall’altra strizzava un occhio alla destra istituzionale in nome del buongoverno: “In uno Stato che funzioni la destra nazionale si identifica col funzionamento stesso dello Stato”. Non ci perderemo però in anacronistiche analisi e “inquadramenti” che lasciano il tempo che trovano, preferendo piuttosto concentrarci sul presupposto da cui sembra partire ogni idea di “destra” (il quale si rispecchia pure nel passo appena citato): la concezione di una “legge naturale” alla base delle proprie rivendicazioni politiche.

Nel “manifesto” di Plebe la dipendenza da tale paradigma è fin troppo evidente: a suo parere l’essere umano sarebbe naturaliter di destra, così come gli animali, in virtù di un “istinto naturale”, sarebbero di per sé “conservatori”. Il fatto stesso di inserire la radicalizzazione delle varie forze dell’area in uno schema di azione/reazione implica che nel migliore dei mondi possibili la destra nemmeno dovrebbe esistere, perché a tali condizioni appunto essa si identificherebbe con la “natura”, la “normalità”, il “buon funzionamento” etc. Secondo il filosofo, infatti, il “vero uomo di destra” non indugia troppo nella riflessione, ma “salta il fosso di tutte le sterili antitesi” conscio del ruolo della specie nel mondo, che è fondamentalmente quello di lavorare e far figli:

Per natura l’uomo ama il proprio lavoro: presso tutti i popoli primitivi abbondano miti e racconti ispirati alla soddisfazione creative dell’uomo. […] Per natura, il lavoro è per l’uomo qualcosa di analogo alla procreazione dei figli: secondo natura, la generazione dei figli procura gioia all’uomo, e altrettanto deve procurarne il lavoro. […] L’uomo che giunge a odiare il proprio lavoro è infatti come l’uomo che giunge a odiare i propri figli”.

Naturalmente Plebe, che oltre a essere un noto pederasta possedeva anche una solida formazione filosofica (non che le due cose coincidano, sia chiaro), regge la parte del “finto tonto” finché non riaffiorano quei residui di materialismo storico rimastigli nel sangue dalla precedenza militanza (ricordiamo che fu marxista fino al Sessantotto): a un certo punto non può fare a meno di ammettere che sì, la “legge naturale” imporrebbe di ammazzarsi di lavoro, ma che “l’avvento del lavoro di tipo industriale” ha sottratto al lavoratore “la gioia di essere l’artefice del prodotto finito”, e a causa di ciò qualche rivendicazione sariale, almeno da destra, andrebbe accolta (per esempio il principio della cogestione e la partecipazione agli utili).

Per il resto è tutto un elogio della meritocrazia (“La lotta contro la competenza è contro natura”, ça va sans dire) e una rappresentazione dell’uomo come un animale che “ce l’ha fatta”. In fin dei conti, non ci sarebbe nulla di male a pensarla così: per certi versi questa è anzi la “filosofia perenne” che caratterizza sin dal principio le varie destre. Non a caso di recente uno come Žižek ha avuto buon gioco nel definire il pensiero di Jordan Peterson (anonimo psicologo canadese divenuto paladino della lotta al “politicamente corretto”) in questi termini:

“La sua logica si bassa sul presupposto di una una gerarchia biologica e sociale necessaria che rappresenterebbe ‘come stanno le cose’, così che dalla violazione di tali presunte leggi di necessità ne deriverebbe decadenza e caos”.

Tutto esattissimo, or dunque: eppure è un fatto che nessuna destra al potere abbia mai mantenuto questa promessa di felicità (a suo dire adempibile peraltro solo conformando le leggi umane a quelle naturali), all’opposto preferendo in molte occasioni di abbandonare i propri figli alle forze più innaturali, rappresentante di volta in volta dal grande capitale, dalla grande industria, dalla grande finanza, dalla grande stampa ecc…

Certo sarebbe un colpo basso rispolverare Marx, specialmente nei confronti di Plebe, tuttavia da una prospettiva “naturale” Carletto non aveva tutto i torti a intravvedere la possibilità di una “forma superiore di famiglia” dall’erosione dell’autorità del pater familias conseguente all’ingresso di donne e bambini nella forza lavoro: si può osservare qui all’opera il classico meccanismo per cui il capitale divora se stesso a cominciare dai piedi (come il leggendario catopleba di Mattioli). Malgré lui (s’intende l’Autore del “Manifesto”), un eguale “frizione” tra struttura e sovrastruttura si verificò anche nei Paesi comunisti, dove la socializzazione dei mezzi di produzione non scalfì per nulla l’istituto familiare, che rispetto al “blocco occidentale” ne uscì addirittura rafforzato (e probabilmente la sua resilienza odierna può anche essere imputata agli infiniti “ritardi” accumulati dai satelliti sovietici durante la Guerra Fredda).

Per farla breve, la destra continua a propinare grandi discorsi su grandi ideali, ma in conclusione non riesce mai a resistere alla tentazione di “divorare i propri figli”, con un processo chiasmatico a quello delle forze rivoluzionarie, le quali almeno dalla loro hanno l’ingenuità e l’improvvisazione. Al contrario, dal punto di vista storico, il tradimento “da destra” è puntuale, quasi sistematico, tanto da far suppore che la vera “legge naturale” a cui si rifà sia quella delle puttane. Sì, la destra è un po’ troppo puttana e a dimostrarlo ci sono almeno tre secoli di fallimenti epocali.

Battute a parte, forse è davvero solo un problema di premesse: e se non esistesse alcuna “legge naturale”, al di là di qualche tratto biologico che la specie è riuscita a “culturizzare”? Non è infatti scontato che il laissez faire comporti che le cose vadano come “devono andare”, e cioè che che gli umani non si riducano a scimmie che passano il tempo a tirarsi merda addosso e a violentare i propri figli (questo fanno quei famigerati bonobo che tanto appassionano i “giusnaturalisti” della sponda opposta – politicamente parlando, s’intende). Se una destra, qualsiasi destra, intendesse finalmente salvarsi dall’irresistibile tendenza al tradimento, dovrebbe rivedere i propri presupposti e riconoscere che tutto quel che è “naturale”, cioè dato per scontato (dalla monogamia al “merito”) non è che una costruzione culturale, bisognosa di manutenzione al pari di ogni altra tecnologia (ideologica o meno).

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7 thoughts on “La destra è un po’ troppo puttana

  1. É che alla puttaneria della destra, nel migliore dei mondi possibili (andati), corrisponde una Chiesa che, “ottima conservatrice e protettrice del genere umano“ protegge i suoi figli più fragili dalla brutality fagista di cui scrivi, promettendogli persino una felicità sempiterna.
    Semplificando, per quello che è sottinteso e alleggia in queste pagine, garantisce moglie e famiglia anche ai dis-graziati perché dice allo Stato: ..”il provvidentissimo Iddio intese che la coppia di coniugi edenica fosse il principio naturale di tutti gli uomini…che la loro progenie so’ tutt’ figli meie e che io, Chiesa, madre e vicaria della potestà del Cristo sono garante delle unioni, della loro perpetua stabilità e dell’ criatur, bell e scarafon’…”
    Capisci però che siamo dalle parti di Leone PP. XIII e della Arcanum Divinae…1880

    1. Ho cercato la prima parte della citazione perché credevo in effetti fosse tratta da qualche enciclica, forse sono troppo stupido per fare questo “mestiere”

  2. Che la “destra” si sia prostituita e che continui a farlo è una critica oggettiva ed inattaccabile… tuttavia, proprio partendo da “destra”, da anti-egualitarista (o meglio dalla platonica “critica alla democrazia”) mi domando quanto sia davvero realistico che il “laissez faire” possa produrre qualcosa di molto distante dalle dinamiche sociali dei bonobo… basandomi semplicemente su quanto ci è possibile osservare oggi: il ritratto del bel mondo che si è delineato dalle “società più laiche, libere e democratiche” degli ultimi secoli.
    Se il problema o la causa alla radice della degenerazione sia l’assenza di Dio (o del timore di), l’avvento di una “nuova” moralità, della “scala dei valori” occidentale (diventata opinabile, quando non direttamente invertita) oppure se sia da additare al dominio incontrastato dell’economia rispetto al resto, è secondario dal momento che non puoi curare l’effetto con la causa, a mio avviso.
    Come giustamente concludi è la stessa “destra” a dover fare i conti con se stessa: sono mancate le figure chiave, i “custodi” dei Valori (e/o magari i “manutentori delle tecnologie sociali” che a noi di parte piace tanto definire “naturali”), ed ancora (ma a difesa della stessa) è mancata una meritocrazia integrale e disinteressata dal contingente (che quindi non sia esclusivamente “economica”) come giustamente osserva il cattolico dell’articolo riportato (anche se… a voler essere sinceri quando ho letto: “Infine, la meritocrazia è un meccanismo ideologico che ci libera dalla responsabilità nei confronti dei poveri”, mi è venuta voglia di condividere “l’elogio dell’avidità” di quel cripto-fascista di Gordon Gekko: https://www.youtube.com/watch?v=jnJONzcrxxI :-)).

    1. meritocrazia tema spinoso, anche se la questione alla fine è sempre quella della “base naturale”

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