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La donna è come una vipera e l’uomo è come un angelo

Un luogo comune talmente radicato da risultare praticamente inestirpabile è quello che vorrebbe la donna attratta dalla “personalità” (cioè da qualità “interiori” come carattere, spirito, intelligenza) e l’uomo da caratteristiche esteriori, fisiche, materiali (volto, tette, culo ecc). Tuttavia la scienza ormai attesta l’esatto opposto: esistono innumerevoli studi che dimostrano come “le donne apprezzano l’attrattività fisica in un potenziale compagno molto più di quanto siano disposte ad ammettere” e che “se un uomo non è considerato attraente, la sua personalità non sembra importare molto alle donne” (Fugère et. al., 2017); oppure che, allo stato attuale, un uomo al di sotto di una certa soglia estetica può pure rassegnarsi all’idea di non trovare mai una partner in questa vita (Martínez-Pastor, 2017).

Un altro cliché, che sembra andare in direzione opposta a quanto appena esposto, cioè quello secondo cui le donne sarebbero attratte anch’esse da qualità “materiali”, ma sempre avulse dall’aspetto fisico (come il posto occupato nella gerarchia sociale da un maschio o le sue possibilità finanziarie), è stato messo in discussione, tra gli altri, dalle psicologhe Alice Eagly e Wendy Wood con la loro social role theory, per la quale la preferenza delle donne per la capacità di procacciarsi risorse rispetto all’avvenenza non sarebbe un dettame evoluzionistico, ma una risposta adattiva a una data organizzazione sociale.

Il “convitato di pietra” delle credenze sui rapporti tra i sessi è, letteralmente, il corpo degli uomini: maschi e femmine sono entrambi convinti che esso non esista, che la sessualità femminile si regoli quasi esclusivamente su ciò che un uomo fa, e non su ciò che è. Bellezza, altezza, sguardo, larghezza delle spalle, colore degli occhi, tipo di capigliatura, canthal tilt eccetera eccetera; tutti “dettagli” che non avrebbero nulla a che fare con la scelta della donna in materia sentimentale.

Senza dilungarci troppo sul punto, notiamo che anche il presupposto che le donne abbiano gusti più “raffinati” o “sublimati”, paradossalmente rientra nella necessità maschile, dettata da memorie ancestrali e meccanismi evolutivi, di “mettere su un piedistallo” la controparte femminile: questa leggenda bianca è una delle tante maschere con cui la civiltà ha tentato di nascondere lo squallore della sessualità umana. Senza la ferrea convinzione che un uomo possa aumentare le proprie opportunità riproduttive attraverso un dato comportamento, probabilmente non esisterebbe nemmeno quella cosa che chiamiamo “civiltà” (che nel bene o nel male coincide tout court col “patriarcato”).

D’altro canto, un’ulteriore sfumatura “umana troppo umana” degli stereotipi di cui stiamo trattando è che affermare che la donna sia maggiormente attratta dall’aspetto rispetto all’uomo in un certo senso “nobiliterebbe” quest’ultimo: ma è sempre questione di mera biologia. Da una parte infatti il testosterone è in grado di occultare agli occhi del maschio ogni difetto in una femmina appena un poco “appetibile”, tanto che se non esistesse una profonda correlazione tra attrattiva e fertilità, l’istinto maschile consentirebbe agli uomini di soprassedere praticamente a qualsiasi difetto fisico di una partner potenziale. Dall’altra l’uomo, sempre da una prospettiva riproduttiva, deve praticamente solo inseminare e basta; dunque è scontato che possa permettersi più “tolleranza” negli accoppiamenti: mentre la donna deve portare la prole per mesi, in alcuni casi mettendo a repentaglio la propria vita per condurre a buon fine una gravidanza.

Ecco perciò uno dei motivi fondamentali per cui quando si discute di una cosa che dal punto di vista scientifico è scontata, si viene travolti dagli insulti. L’essere umano è talmente attaccato a tale convenzione da celebrarla continuamente nelle sue manifestazioni culturali: non solo per quanto riguarda classici come Il gobbo di Notre Dame o La bella e la bestia (purtroppo la nostra cultura non va al di là degli studi di psicologia evolutiva trovati su internet e dei film della Disney degli ultimi due decenni del XX secolo), che rinverdiscono antichissimi topoi mitologici, ma anche per quella stereotipizzazione della virilità il cui testimone è passato ora al machismo dei rapper (apprezzato soprattutto dalle femministe).

Insomma, se l’ethos millenario accetta che “l’uomo è una bestia”, non può tuttavia recepire la seconda parte del postulato bracardiano: “la donna è due volte bestia”.

Gli stilemi culturali aiutano a celare una verità che infine si rivela umiliante per entrambi i sessi: per la donna, che dovrebbe riconoscere di essere incapace di elevare la propria ammirazione oltre a un bel faccino e qualche centimetro in più d’altezza; per l’uomo, che si troverebbe costretto ad ammettere che nessuna sua “conquista” ha mai avuto a che fare col savoir-faire, la sagacia o lo spirito, ma è sempre stata una questione, appunto, di bel faccino.

Inoltre la “verità effettuale della cosa” avrebbe delle conseguenze sociali da non sottovalutare, poiché in fondo l’illusione che un uomo possa garantirsi il vantaggio riproduttivo attraverso determinati comportamenti (rispettare le leggi, lavorare sodo, contribuire al benessere collettivo ecc) è l’unica a tenere in piedi qualsiasi società che possa definirsi tale. In ultima istanza, è nell’interesse di tutti fare in modo che gli uomini non si accorgano di nulla: che chi non ha alcuna speranza di trovar moglie si consoli di essere un incompreso e si crei una mitobiografia all’uopo per le giornate di pioggia; che i maschietti soli continuino a citare sui propri blog studi sociologici sull’insensibilità femminile; che gli ilici seguitino a sgobbare e pagare le tasse vagheggiando della possibilità di possedere un’anima.

Il problema è che il femminismo tende a squarciare troppi veli di Maya, soprattutto nel momento in cui esso dovrebbe porsi come ennesima “mascheratura”, istituendo un nuovo sistema di compensi e castighi basati sempre su criteri estranei alla reale natura dell’attrazione tra sessi: ma si sa che alla lunga (ma pure sulla breve distanza) esso si rivela perlopiù come un’altra strategia di accoppiamento che però non porta con sé un ordine consequenziale, ma solo  il caos delle passioni, dell’ipergamia e della ferinità.

Visto che abbiamo chiamato in causa la cultura popolare, chiudiamo con una testimonianza controcorrente rispetto a quelle riportate (presente in diverse tradizioni del folklore nordorientale italiano), così profonda da risultarci quasi “blasfema”.

La donna xe come una vipera
La donna xe come una vipera
La donna xe come una vipera
Bisogna saverla ciapar

E l’uomo xe come un angelo
E l’uomo xe come un angelo
E l’uomo xe come un angelo
Bisogna saverlo trattar

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