Nel marzo 2005 il grande Marcello Veneziani vergò per “Libero” un tragico “appello” ai propri lettori (definiti come “la mia famiglia”) per informarli di quello che stava combinando la sua ex moglie (una certa Elena, dalla quale ha avuto due figli) alla sua biblioteca personale di migliaia di volumi:
«I miei libri vengono bruciati, strappati, venduti, altri sono stati nascosti sotto il materasso o il divano per poi farli sparire. I libri escono di casa in gruppi di 40-50 per non far più ritorno».
Edizioni storiche di Gentile e Soffici, vecchie copie di Heidegger, Plotino e Simone Weil minuziosamenti appuntate («volumi letti, chiosati da me, con annotazioni a margine, sottolineature, spesso introvabili»), tutti perduti per sempre:
«Qui non si tratta di una divergenza di idee, che può riguardare la sfera squisitamente personale. L’attacco a una raccolta di libri ha a che fare con la cultura, quindi con la vita pubblica. Non credo esista barbarie peggiore verso la cultura, la civiltà e verso uno scrittore. Sottrargli i libri e gli appunti è come togliergli l’ossigeno».
Gli attacchi della stampa avversaria, che considera ancora Veneziani un fascista, furono piuttosto velenosi: “Sicuramente sta mentendo perché l’ha combinata grossa”; “L’ha tradita con un’attricetta a Roma!”; “Perché non hanno intervistato anche l’ex consorte?” (il direttore di allora, il solito Sallusti, si giustificò dicendo che si era resa irreperibile cambiando anche numero di telefono).
Ad avvisare l’intellettuale del “libricidio” (ma dove siamo, nella Germania nazista?), furono i due figli rimasti in casa con la belva madre dopo la “dolorosa separazione”. Cuori di papà! Anni dopo, Veneziani avrebbe reso pubblica su “Il Giornale” una lettera che aveva dedicato alla sua Federica tredicenne quando una professoressa delle medie aveva scoperto che suo padre era un fascista:
«Mi hai raccontato che un gruppo di tuoi compagni di scuola ti ha accolto una volta con canti e slogan antifascisti. E mi hai raccontato di un amico che è venuto a trovarti a casa e si è meravigliato di trovare così tanti libri in casa di un “fascista”, e per giunta molti libri su Che Guevara. Non conosceva gli altri autori, ma ce ne sono tanti di tanti diversi orientamenti. Ma a loro avevano raccontato che i fascisti leggono solo le massime di Hitler e in casa non hanno libri, solo manganelli. Per fortuna non hanno scoperto che tuo fratello è nato lo stesso giorno di Mussolini, un segno evidente di neo-fascismo ereditario
No, Federica, non credere alla tua professoressa e nemmeno ai tuoi compagni. Non devi nascondere di essere mia figlia. Non devi vergognarti di tuo padre. Non solo perché non ci si vergogna mai dei propri padri, dei loro limiti, dei loro errori e della loro povertà. Ma anche perché non hai nulla di cui vergognarti. Devi sapere, Federica, che sarebbe stato assai tanto più facile per tuo padre professare altre idee. Avrebbe avuto la vita più facile se avesse scelto la via opposta. All’università, nei giornali, sui libri, nella vita».
Conosco Veneziani, ma non mi sono mai azzardato a domandargli i dettagli di questa vicenda patetica (in senso lato). Mi pare del resto che egli non ne abbia più parlato nemmeno in una noterella nei suoi numerosi volumi, né l’abbia ritratta in modo allegorico in qualche suo altro romanzo.
In verità sarei interessato a sapere come si è risolta, non per mera curiosità (che è femminile), ma perché il problema riguarda fondamentalmente l’intera Italia, nel momento in cui in caso di abusi femminili non esiste un 1522 da digitare, anzi semmai il corrispondente “maschile” di questo numero sono i cosiddetti “Centro di Ascolto Uomini”, denominati in seguito, per evitare equivoci, “Centro Uomini Maltrattanti”, dal momento che in questi sportelli il maschio ha la possibilità di auto-denunciarsi come violento...
E in più avrei anche una domanda da porre per un amico: in certi casi, che si fa? Si noleggia un furgoncino e ci si presenta per salvare i poveri libretti, con il rischio, nel migliore dei casi, di venire denunciati per qualche tipo di abuso (o nel peggiore di beccarsi una coltellata)? Si chiede aiuto alla mafia affinché mandi dei sicari in veste di fattorini? Si manda al diavolo l’unico patrimonio che si possiede, tanto più di valore perché spirituale e non materiale, comprese alcune prime edizioni di Gozzano, libroni dello Schmitt in lingua originale alacremente appuntati, oscuri pamphlet antisemiti che non ritrovereste più nemmeno su archive.org?
Questo mio amico non ha mai pensato nemmeno per un istante al femminicidio, non tanto per i risvolti penali (per un legionario tutto il mondo è una prigione, e comunque la prospettiva dell’ergastolo rappresenterebbe un’occasione unica per leggere i propri volumi, ché tanto magari prima o poi ci finiremo tutti per negazionismo), quanto per le implicazioni morali (sarebbe già disdicevole uccidere una d-parola di cui si è innamorati, figuriamoci per mere questioni “patrimoniali” seppur in senso lato, ma cosa siamo, e-parola?) e di interesse pubblico (vi immaginate un altro maschio bianco sfigato da dare in pasto al mainstream, tipo la versione weaponized di quell’autistico da cui si parla da oltre un anno?).
Abbiamo chiesto consiglio a ChatGPT, l’unico consulente ormai di cui fidarsi in questi tempi, ma dà delle dritte da “sbirro buono”, suggerendo addirittura di chiamare il 1522 (se sei uomo ti insultano, provate per credere). Che cosa bisogna fare, fingere di ordinare il sushi (il corrispondente della proverbiale “pizza” per distrarre il maschio violento) ai carabinieri? Ue ricchiò ma vafammoc a mammt! Si te piace o pesce crudo te dong’ o mi, te dong pur a carn e cavall….
Probabilmente la soluzione migliore sarebbe quella di pagare un “riscatto”, nonostante tutte le reprimende di ChatGPT (“Se paghi, dimostri che sei disposto a cedere alle sue pressioni. Questo potrebbe portarla a continuare o intensificare i suoi comportamenti abusivi. […] Pagare un riscatto non cambierà il suo atteggiamento o comportamento. Potrebbe anzi alimentare il ciclo di violenza o manipolazione. […] Tu meriti di vivere senza paura. […] Se dici che “è pazza,” significa che percepisci instabilità e pericolo. […] Chiama i Carabinieri o la Polizia»).
Il problema è che questo “riscatto” sarebbe impagabile (perché è impossibile appagare una donna anche economicamente), nonostante si abbia la consapevolezza che se chiedessimo ai lettori le fatidiche 10.000 lire come la Buonanima di Barnaba Cecchini (ah no, è ancora in vita, grandissimo), non per sposare una ricca principessa ma per sfancularla, voi probabilmente dimostrereste ancora la vostra generosità (Madonna che riferimenti boomer ha il mio amico). Non è però il caso, suvvia.
Conosci Veneziani di persona?
Come al solito, non rispondi mai
Beh, ma l’ho scritto caro il mio Stefanov, quindi la risposta è “Sì”. Comunque auguri, non prendertela sempre se non rispondo a questioni la cui risposta è già presente nel testo.
Sfotti pure? Mi pare evidente che la domanda era una richiesta di spiegazioni su quell’inciso (buttato lì a caso), ma siccome non vuoi dire altro, va bene così
Se io scrivo “Conosco Veneziani, ma non mi sono mai azzardato a domandargli i dettagli di questa vicenda patetica” e tu mi chiedi “Conosci Veneziani di persona?”, poi lamentandoti che non ti rispondo, allora mi obblighi a farti notare non solo che ho già affermato di conoscerlo di persona (come si evince dall’inciso “buttato lì a caso”, che in realtà significa per l’appunto che essendo una conoscenza superficiale e ridotta a un ambito specifico -quello lavorativo, se riesci a presumerlo- non ha senso fare domande sulla vita personale), ma che in ogni caso il pezzo che ho scritto non ha nulla a che fare con il conoscere o meno Veneziani. Cosa avrei dovuto risponderti? “Sì, lo conosco personalmente, l’ultima volta l’ho incontrato nella località X in data XX/XX/XX e abbiamo discusso di XXX, anzi di YYY, perché XXX suona male”?
Oppure avrei dovuto farti notare che in quel che ho scritto emerge una tragedia personale (che non riguarda la conoscenza personale di Veneziani, anche se per alcuni potrebbe esserlo), la quale, lasciandoti totalmente indifferente, mi fa presumere che o tu ti sia fermato solo alle prime righe o che, ancor più grave, ti sfugga il senso di ciò che scrivo (e non parlo di comprensione di basilare del testo, ma di un fraintendimento più profondo).
Ti ringrazio per i tuoi commenti, ma, ti prego, BASTA con questo continuo intercalare sul “non rispondi mai”, perché altrimenti un eventuale scambio di opinioni si trasformerebbe automaticamente in una lite fra kekke pazze.
Le suggeriamo la visione de La città delle donne, del Fellini.
Crudezze a parte, degna di nota da parte di un non terronide la corretta trascrizione dell’espressione “vafammoc a mammt”. Ammirevole e commovente.
Grazie, ma allora ti chiedo: il modo dire sulla carne di cavallo per indicare l’omosessualità di un uomo esiste oppure l’ho sentito solo io?
Al momento non mi sovviene alcuna espressione del genere. Ma la Terronia è ampia e ricca di dialetti, forse il modo di dire che hai sentito proviene da landa differente dalla mia.
sulla cultura nun gna a fanno, nun gna a ponno fa’. Anche nel panorama disastratissimo, non ce la fanno proprio a fare qualcosa di non ridicolo.