La Francia non è in grado di gestire la minaccia terroristica

Attentat de Strasbourg: comment on fabrique le déni
(Causeur, 17 dicembre 2018)

L’attentato di Strasburgo dell’11 dicembre 2018 ha scatenato molte reazioni di diniego, una cosa che ormai accade regolarmente in Francia ogni volta che è coinvolto il terrorismo di matrice islamica.

I primi a negare sono lo Stato e la classe politica

Il 12 dicembre, quando era già stato confermato che un terrorista islamista di nome Chérif Chekatt, delinquente recidivo di origine algerina, aveva sparato a vista sui visitatori del mercatino di Natale di Strasburgo, le autorità francesi hanno cercato di negare l’attentato. Laurent Nunez, Segretario di Stato presso il Ministro degli Interni, durante un’intervento su France Inter, si è rifiutato di parlare di “attentato” con la motivazione che “lo sparatore non ha mai tentato di andare in Siria”.

Bruno Studer, deputato macroniano, ha piagnucolato dopo due giorni dai banchi del Parlamento: “Ieri sera, uno strasburghese nato a Strasburgo, un alsaziano nato in Alsazia, un francese nato in Francia (non essendo cresciuto in nessun altro luogo se non a Strasburgo, in Alsazia e in Francia), ha deciso, per motivi che le indagini appureranno, di seminare il terrore al mercatino di Natale di Strasburgo” .

Sia Studer che Nunez cercano di negare la realtà. Gli attacchi islamisti non sono attacchi islamisti perché l’Islam è una religione di pace e amore. Mettere in discussione l’Islam significherebbe “colpevolizzare” tutti i musulmani. L’attacco a Strasburgo deve rimanere l’atto isolato di un “francese” medio, incomprensibile e dunque dettato dalla follia. Questo è il paradigma che vige dal 2015: i terroristi sono squilibrati che agiscono come lupi solitari.

Ovviamente è inaccettabile, sia moralmente che politicamente, puntare il dito contro l’islam e i musulmani in blocco. Liquidare tuttavia la questione della secessione politica e culturale di una larga parte della comunità musulmana francese è altrettanto inaccettabile.

La negazione si avvale degli “esperti”

Questa politica pubblica di diniego si avvale di potenti alleati: media ed “esperti” spesso si uniscono per rafforzare la tesi secondo cui l’Islam non può ispirare un assassinio. Per fare ciò, la tecnica migliore è trasformare il colpevole in vittima. Questo è ciò che infatti ha provveduto a fare su Le Monde Farhad Khosrokhavar: secondo l’islamologo, affermare che Chekatt “è un individuo guidato dall’islamismo radicale spaventa la società e crea un’atmosfera di panico diffuso”. Per impedire che i francesi si spaventino, Khosrokhavar ha rilanciato la tesi -ormai un classico- che Chekatt fosse un povero ragazzo “disperato”, uno “che voleva scendere in guerra con la società, stanco di vivere una vita tra la prigione e il mondo di fuori”. Strasburgo non è stata perciò colpita da un attacco islamista ma da un “momento di fragilità psicologica o desiderio di vendetta sociale” da parte di una persona triste e sfortunata.

Il ricercatore Olivier Roy è il capofila di questa “scuola di disinformazione”. Roy analizza la re-islamizzazione delle società musulmane come una congiuntura di percorsi individuali. Secondo lui, “Allah akbar” sarebbe l’equivalente del “Peace & Love” degli hippy anni ’60. Più la cappa islamista si allarga sulla popolazione, più Roy vede le strade del Cairo invase da hippy musulmani alla ricerca di una spiritualità.

Le autorità sono naturalmente interessate ad avvalersi di queste “teorie”, in modo da non rispondere alla domanda che ogni francese adesso si pone: il musulmano che vive all’angolo è o non è uno che vorrebbe fare a pezzi gli infedeli a colpi di machete? Olivier Roy e Farhad Khosrokhavar contribuiscono alla negazione della realtà quando snobbano tale domanda e affermano che i giovani radicalizzati non sono terroristi islamisti, ma hippy che sbagliano.

Gilles Kepel, uno dei pochi veri esperti francesi di islam, si è indignato per la ricostruzione di France Tv dell’attentato: “Alcuni specialisti, come il sociologo Farhad Khosrokhavar, spiegano che Cherif Chekatt non era un jihadista ma un depresso, che ha fatto quel che ha fatto per disperazione. Una rappresentazione plastica del fallimento della politica nei confronti di tale fenomeno: l’incapacità di comprendere la dimensione ideologica della radicalizzazione, di capire cosa sta succedendo nelle carceri, eccetera”.

I media sono il principale motore della negazione della realtà

All’elenco dei “negazionisti”, dopo politici ed “esperti”, vanno aggiunti i media. Quale modo migliore per accreditare la tesi dello squilibrio mentale che non andare a intervistare i genitori dell’assassino? I quali, come ogni buona famiglia francese, hanno ovviamente educato i propri figli al rispetto della legge e dell’ordine repubblicano. La negazione funziona su questi presupposti. Come l’Islam, la famiglia è simbolo di pace e amore.

France 2 è andata a intervistare i Chekatt. E i francesi hanno fatto la conoscenza di papà Chekatt, un tizio con l’immagine del Che sul cappello e la barba tinta con l’henné dei salafiti radicali. La domanda di France 2 è stata: “Come ha fatto vostro figlio a diventare così cattivo?”. La risposta del padre (e dei vicini, degli amici e della nonna) è stata, all’unisono: “È sempre stato un bravo ragazzo”.

In breve, la tv filma in diretta una cellula islamista radicalizzata, ma rifiuta di vedere l’ovvio: lo stesso padre è un islamista e si tinge la barba con l’henné per imitare il profeta, vive a Strasburgo da trent’anni e parla ancora a malapena il francese. La negazione è così potente che gli islamisti radicali non hanno nemmeno più bisogno di nascondersi. Girano in pieno giorno e tutti fingono di non vederli. La stessa polizia ha rilasciato la coppia di genitori dopo meno di 24 ore di interrogatorio. Ricordiamo peraltro che i servizi sociali hanno gentilmente trovato casa a Tremblay-en-Francep er Zulikah Merah, madre di Mohamed Merah, in modo che potesse stare più vicina al figliolo Aldelkader Merah, incarcerato a Villepinte nel 2017.

“Non avrete il mio odio”

Un altro espediente per negare la realtà usato dai media è quello di trovare e rilanciare immediatamente qualcuno disposto a esclamare “Non avrete il mio odio”. Un ruolo che stavolta è stato ricoperto in maniera eccellente dal professor Philippe Meirieu: “Attentato di Strasburgo: la barbarie è in agguato nella nostra vita quotidiana. Ma non dimentichiamo mai che il passaggio all’azione, anche preparato a lungo, può sempre essere fermato da una parola, un gesto, un incontro. Addolcire il mondo è la vera emergenza”.

Il musulmano è la vera vittima

Questo teatrino osceno termina sempre con le dichiarazioni dei leader della comunità musulmana, che opportunamente ci ricordano che c’è una sola vittima in Francia, il musulmano. “I musulmani vivono in un contesto stressante “, ha dichiarato all’inizio di dicembre a un giornale algerino Dalil Boubakeur, rettore della moschea di Parigi. Se però qualcuno dicesse che anche i francesi non musulmani vivono in un contesto stressante proprio a causa dei musulmani radicalizzati, verrebbe come minimo bacchettato per allarmismo…

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