La globalizzazione è “naturale” come la peste

Uno degli argomenti forti di cui si avvalgono gli apologeti della globalizzazione, del libero mercato e della società aperta, è la “naturalità” delle costruzioni ideologiche che sostengono: a loro dire l’uomo sarebbe naturaliter portato alla competizione (da destra) o alla cooperazione (da sinistra). La loro idea è dunque che un mondo “interconnesso” regolato dalla finanza e dal cosmopolitismo rappresenterebbe fisiocraticamente (in senso lato) l’intima essenza dell’umanità. Quel che però dimenticano è che di “naturale” al mondo c’è anche il veleno dei serpenti, l’incesto, la catena alimentare e, in tema con l’attualità, la peste.

Da tale prospettiva, non si capisce se il coronavirus sia una reazione “naturale” all’innaturalezza del capitale mondializzato, o se la globalizzazione sia talmente “naturale” da aver spazzato via quel diaframma di protezioni (artificiali) che ci hanno allontanati dalla durezza del vivere.

Ad ogni modo, Madre Natura impone un cambio di passo: qualsiasi reazione alla pandemia, per quanto mascherata da tecnicismi e medicalismi, sarà totalmente politica. MI pare si possano già individuare le direzioni sulle quali essa si innesterà, a grandi linee rappresentate da un laissez-faire patologico (“Non fermiamo i consumi anche al costo di decine di migliaia di morti”) e dal terror panico (“Fermiamo tutto e poi ripartiamo dalle rape”).

In entrambi i casi, sono scelte politiche che moduleranno la risposta in senso globalista o sovranista, nel senso che da una parte c’è chi invocherà sempre meno Stato e più Mercato, per esempio proponendo una “internazionalizzazione” dei sistemi sanitari nazionali o una intensificazione degli scambi (così cinesi e tedeschi ci vendono le mascherine -invece di bloccare la loro esportazione come fanno ora- e noi in cambio evitiamo qualsiasi interruzione della catena di produzione di quel che serve a loro), mentre dall’altra ci sarà chi proclamerà il decorso “spontaneo” della globalizzazione in nome se non dell’autarchia tout court, almeno del rilancio dei mercati interni.

Come ha dichiarato al New York Times l’economista olandese Servaas Storm, “l’austerità a cui è obbligata la politica economica italiana blocca il mercato interno e perciò le aziende che vogliono espandersi possono farlo solo esportando”. Più semplice di così: la conseguenza da trarne è che se uno starnuto basta a far crollare l’export, allora si è obbligato a ripensare la politica economica non solo dell’intero Paese, ma di tutto il continente, e dell’intero orbe terracqueo a questo punto.

Personalmente prediligo sempre la via moderata, ma è chiaro che il paradigma va cambiato indipendentemente dalla circostanze. I “cattivi” sono sempre capaci di trarre vantaggio dalle crisi, tanto che a volte non si riesce a capire se siano in grado di governare la crisi oppure se semplicemente il loro metodo sia governare con la crisi. Ad ogni modo, sarebbe ora che anche i “buoni” cominciassero a ragionare in termini “emergenziali”. Tenendo in conto l’eventualità che la peste non basti a chi ha “ripetuto per trent’anni anni le cazzate del liberismo” (C. Calenda): per esempio, l’altro giorno un importante imprenditore nel settore turistico (cioè un magnaschei con un alberghetto in culo ai lupi) è riuscito a sostenere, nello stesso post su Facebook, che gli insegnanti non devono ricevere lo stipendio a scuole chiuse ma che lo Stato è tenuto a rimborsargli i mancati incassi dovuti all’emergenza.

Bisogna far capire a chi è stato fatto il lavaggio del cervello che anche la globalizzazione segue la logica del free lunch: non è che siccome i “vincenti” in tale processo “vincono” -per pura casualità- anche a livello politico-mediatico, allora i perdenti non hanno consistenza ontologica (come il male nella filosofia agostiniana). L’ampliamento del mercato del lavoro avvantaggia quella minoranza che da una posizione di privilegio riesce sia ad avvalersi di stipendi più alti (perché la concorrenza per essi funziona in maniera inversamente proporzionale rispetto a chi sta “in basso” nella gerarchia sociale) sia di godere di una drastica riduzione dei costi: e non parliamo solo di cineserie, ma anche, per fare un esempio malizioso, di “personale domestico”, un campo dal quale i globalisti più compassionevoli e riflessivi hanno promosso la desindacalizzazione e la dequalificazione coatta del mondo del lavoro italiano.

Sulla lunga distanza, il pasto da pagare è il disordine sociale e l’ingovernabilità, ma sulla breve distanza basta appunto uno starnuto per far cadere questo bel castello di carte. Madre Natura offre la straordinaria occasione di uscire da un paradigma fallimentare e disumano in punta di piedi, senza guerre o stillicidi: il villaggio globale sarebbe stato “il migliore dei mondi possibili”, ve lo concediamo, ma purtroppo il destino ha disposto altrimenti.

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