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La guerra civile tra vaccinati e non vaccinati

Volevo avvisarvi che ho appena ricevuto un’offertona di lavoro via email da Mr. Joseph Konan, un regional Bank Manager della Costa d’Avorio, che è rimasto colpito “dal mio profilo” (non so a cosa si riferisca, ma l’importante è acchiappare la grana al volo) e mi propone un business che farà bene ai nostri rispettivi Paesi. Mi fa piacere entrare finalmente nella fiorente industria della cosiddetta “truffa alla nigeriana”, seppur nel ruolo di vittima.

In ogni caso, l’unico commento possibile, come al solito, è lol (però c’è un dato interessante che andrebbe approfondito: ho notato che questo tipo di “offerte” hanno cominciato a giungermi nel momento in cui ho associato l’email alla partita d’iva – che per inciso ho chiuso da anni, quando il Green Pass si chiamava ancora austerità espansiva, ma cosa volete ricordare voi gretini che avete la soglia di attenzione di una falena alle prese con una candela).

A parte gli scherzi, non vi nascondo che il momento è piuttosto ostico: l’aver aggiunto un tasto donazioni di PayPal è il segno della disperazione più nera. Se non sto ancora raschiando il fondo del barile è grazie alle generose offerte di lavoro che mi giungono da una parte all’altra, anche se naturalmente ciò toglie alla mia esistenza qualsiasi dimensione di progettualità (a meno di non fare progetti solo per il fine settimana, come appunto fanno i gretini con le loro sfilate).

Il fatto è che ognuno ha quel che si merita. O forse no. Non si può fare la resistenza senza qualche sacrificio, questo è scontato. Al contempo però, nel momento in cui ci si sta sacrificando per qualcosa (non solo un ideale), non ci si può neppure collocare comodamente in una posizione di terzietà: dunque posso capire le accuse di manicheismo nei miei confronti, ma non è stato un qualche mio “fanatismo” innato a costringermi a dividere il mondo tra vaccinati e non-vaccinati.

La dicotomia, del resto, metterebbe in difficoltà qualsiasi “partigiano”, nel momento in cui non si è nemmeno in grado di stabilire contro cosa si sta facendo la “resistenza” e in fondo ci si rende conto di aver solamente trovato un simulacro di quello che dovrebbe essere il proprio “nemico”. Comunque tengo a precisare che utilizzare toni da guerra civile non presuppone la grottesca ipotesi di uno scontro all’ultimo sangue tra chi è vaccinato e chi no.

Purtroppo, non avendo ancora chiaro chi sia l’hostis, il Feind, il deuteragonista della stasis (visto quante ne so, assumetemi come precettore a 6,99€ all’ora grazie), non posso che esprimere la mia incazzatura in forma di guerra di religione, millenarismo e weaponized autism assortito. Ripeto, però: non è colpa mia. Non sono io che ho iniziato a chiedere a chicchessia: “Scusi, lei è vaccinato?”. Non sono io ad aver trasformato l’unica risposta possibile (“Si faccia i cazzi suoi”) nel segnale di una diserzione, di una tentata epidemia o della pianificazione di qualche attentato bioterroristico.

Uno degli aspetti della faccenda che più mi preme è quello di obbligare alla coerenza tutte le parti in causa. In primis, chi afferma di aver ceduto perché “costretto”. Ad esclusione dei sanitari (anche se quelli che lavorano nel settore pubblico e non erano convinti del vaccino avrebbero potuto benissimo opporre un minimo di resistenza, con la consapevolezza che i Presidenti di regione, seppur in veste di crocerossine fanatiche, non avrebbero avuto la possibilità di rimpiazzarli così alla svelta), penso a chi avrebbe potuto continuare a lavorare scegliendo l’opzione dei tamponi.

Anche qui, in barba al mio “manicheismo”, posso persino mostrarmi indulgente con chi avanza motivi psicologici (sottoporsi a 2/3 tamponi a settimana può essere effettivamente stressante, se non umiliante), ma non con chi tira in ballo la pecunia. Perché sono assolutamente convinto che gli stessi che affermano di non potersi permettere i tamponi, non rinunceranno a esibire il loro Green Pass da vaccinati per partecipare dell’industria della jouissance. “Visto che ce l’ho, tanto vale usarlo”, investendo appunto i soldi dei test in sushi e stadio.

Un’altra categoria che vorrei richiamare alla coerenza è quella dei cosiddetti “statofobici”, termine entrato da qualche anno nel lessico politico italiano per indicare una varietà davvero ampia di esemplari, dal turboliberista all’evasore fiscale, dall’anarco-capitalista al survivalista de’ noantri. Questa gente, che ha passato la vita intera a sputare su qualunque cosa avesse la minima attinenza con lo Stato (praticamente tutto), ha poi accettato un ricatto colossale da parte dello stesso addirittura di buon grado, se non con entusiasmo.

Gli appartenenti al settore “privato” evidentemente devono esser stati privati anche dell’intelligenza, se si sono fatti abbindolare dalla retorica della ripartenza senza comprendere che essa comporterà un rilancio dello statalismo in termini inediti per l’Italia repubblicana. Non dico che si arriverà ai livelli che il gestore di un ristorante verrà arrestato per non aver battuto uno scontrino, ma non capisco perché, per ipotesi, chi abbia licenziato un cameriere bravo solo perché non vaccinato possa poi continuare a “fare il napoletano” pretendendo indulgenza e “chiusure di occhi” da parte di quel Controllore assoluto di cui esso ha accettato di far da emanazione o tirapiedi.

D’altro canto, può anche darsi che dopo questo esperimento di ingegneria sociale, del quale la vaccinazione perpetua non è che una dimensione, tutto torni come prima senza alcun redde rationem (anche soltanto nella forma di uno statalismo “transgenico” di cui sopra): ma se la prospettiva fosse davvero tale, ci si potrebbe mettere il cuore in pace subito. Eppure c’è qualcosa che non torna e sicuramente lo sentite persino quelli che scambiano la loro sottile inquietudine per il timore verso un coronavirus.

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