La lebbra nell’India antica

Monumento a Suśruta (Haridwar)

In India, per indicare la lebbra si usa il termine sanscrito kustha, che ricorre nell’Atharva Veda (1400 a.C.), nei Kausika Sutra e in altri testi vedici, dove è usato per indicare il Costus speciosus, pianta che cresce assieme al soma sulle alte vette dell’Himalaya.

È noto per curare varo acciacchi: mal di testa, malattie degli occhi, febbre, ma non deve essere confusi con la lebbra. Nella Maitrāyaṇi Saṃhitā, il termine kustha è usato per indicare una misura pari a un dodicesimo.

Il termine kilasa si trova invece nell’Atharva Veda e della Vājasaneyi-Saṃhitā e indica la cosiddetta “lebbra bianca”, probabilmente un tipo di lebbra tubercoloide che riempie la pelle di ulcere.

I riferimenti alla malattia di kustha, identica alla lebbra, si ritrovano anche nella letteratura buddista. Il Vinaya Piṭaka afferma che gli uomini e le donne che soffrono di kutta (così indicato nei testi) non possono diventare monaci (upasampada) né andare all’estero (pabbaja). Per il testo sacro buddhista, questa era una delle cinque malattie prevalenti che affliggevano il Regno Magadha.

Pure i testi giainisti Acaranga (VI secolo d.C.) e Vipaka-Sutra (XII secolo d.C.), menzionano la lebbra: l’etimologia della parola sanscrita kustha è “kusnati iti kustham” (dalla radice kus + suffisso kthan) che significa “ciò che distrugge, lacera”.

“Kustha” trova menzione nei libri Shanti Parva e Anuśāsanaparva del Mahabharata. C’è anche un riferimento nei Purana: il re Janamejaya prese la lebbra per aver ucciso dei serpenti. È diffusa infatti la credenza nei testi sacri indù che un uomo che abbia ucciso un serpente nella vita passata possa soffrire di lebbra nella rinascita successiva. Il culto dei serpenti è quindi considerato di buon auspicio per i pazienti con lebbra.

La lebbra come malattia è menzionato anche in Bhartṛhari (650 d.C. circa) e nel Kathāsaritsāgara, una raccolta di leggende. Un inno (śloka) dello Srngarasataka fa così:

Jatyandhaya ca durmukhaya ca jarajirnakhilangaya ca
Graminaya ca duskulaya ca galatkusthabhibhutaya ca
Yacchantisu manoharam ni javapur laksmi-lavasraddhaya
Panyastrisu vivekakalpalatikasastrisu rayeta kah

“Chi può affezionarsi alle prostitute, che sono come pugnali che tagliano il divino ramo della discrezione e offrono il loro bel corpo per la brama di qualche denaro anche a un nato cieco, a un tipo orrendo, a un vecchio appassito, a un villano, a chiunque sia nato in una casta inferiore e a un lebbroso con gli arti in decomposizione?”

Già molto tempo prima kustha, inteso come malattia, è descritta sistematicamente con le sue cause e sintomi nel Charaka Saṃhitā (“La scienza di Charaka”). Charaka era medico di corte dell’imperatore Kaniska (I secolo d.C.) e secondo la tradizione avrebbe guarito sua moglie da un grave malanno. Il medico, nella sezione Nidanasthana (che tratta l’origine delle malattie) della sua famosa opera, che si dice sia stata originariamente composta da Agnivesa, citando l’autorità di Atreya, stabilisce che i tre umori vita (vento), pitta (bile) e slesma (catarro), e i quattro śarīra-dhātu, tvak (pelle), mamsa (carne), sonita (sangue) e lasika (linfa), qualora contaminati, causano la lebbra.

La lebbra può essere di sette, diciotto o infiniti tipi, secondo il modo in cui è classificata. Caraka si occupa di sette varietà di lebbra (kapala-kustha, audumbara, mandala-kustha, rsyajihva, pundarika, sidhma e kakanaka-kustha), enumerandone i sintomi: secondo le sue osservazioni, solo il kakanaka-kustha è incurabile, mentre gli altri rispondono al trattamento e sono guaribili. Le cause della lebbra da lui identificate sono, tra le altre, un improvviso cambiamento nelle abitudini alimentari durante il passaggio di stagione, l’immergersi nell’acqua fredda quando si è estremamente stanchi o impauriti o addolorati, la nausea, il mangiare cose cose calde e fredde senza rispettare il giusto ordine, indulgere in atti sessuali dopo aver mangiato troppo cibo oleoso e abbondante, ecc…

Questi sintomi compromettono tutti e tre gli umori del corpo contemporaneamente, indebolendo i quattro śarīra-dhātu, e quindi causano la lebbra. Caraka menziona anche i sintomi che spesso precedono la lebbra: la mancanza di sudore o la traspirazione eccessiva, la rugosità o l’estrema levigatezza della pelle, la mancanza di colore, il prurito, la sensazione di pizzicamento, intorpidimento, bruciore, pesantezza, gonfiore, ferite che non si rimarginano eccetera.

Se il tipo curabile di lebbra viene trascurato, le ulcere vengono infestate da vermi che divorano i quattro śarīra-dhātu, i nervi, i tendini e le cartilagini. In questa fase, nel paziente lebbroso compaiono noduli ed egli sperimenta fitte, deformità, decadimento degli arti, febbre, dissenteria e mancanza di appetito, ecc. Secondo Caraka:

Sadhyoyam iti yah purvam nano rogam upeksate
Sa kincit kalam asadya mrta evavabudhyate
Yastu prageva rogebhyo rogesu tarunesu ca
Bhesajam kurute samyak sa sukhatnamute

“Una persona che ignora la malattia all’inizio, pensando che guarita da sé, muore dopo un intervallo di tempo. Colui invece che, prima dell’aggravarsi della malattia o in un momento in cui la malattia è agli inizi, si presta a un trattamento adeguato, vive felice per molto tempo”.

Suśruta, discepolo di Re Divodasa, ritenuto un’incarnazione del mitico Dhanvantari (medico degli dei), è l’autore della Suśruta-Saṃhitā, uno dei testi fondativi dell’Ayurveda. Si ritiene che Suśruta abbia vissuto prima del 600 a.C., sebbene la sua opera, per stile, lingua e contenuti, sembra essere posteriore a quella di Caraka.

Suśruta ritiene che la lebbra sia di 18 varietà, 7 classificate come maha-kustha e 11 come ksudra-kustha. I sette maha-kustha (tipi gravi) sono aruna, audumbara, rsyajihva, kapala, kakanaka, pundarika e dadru. Le 11 varietà meno gravi sono sthularuska, manakustha, ekakustha, carmadala, visarpa, parispara, sidhma, vicarcika, kitibha, pama e rakasa, che sono in realtà per lo più malattie squamose.

Nella sua Saṃhitā, Suśruta annota nei dettagli le cause e i sintomi della lebbra, che generalmente gli stessi che si trovano in Caraka con qualche differenza minore. Suśruta menziona anche il kildsa (leucoderma) come specie di lebbra. Così scrive il saggio:

Stripumsayoh kusthadosad dustasonitasukrayoh
Yadapatyam tayor jatam jneyam tadapi kusthitam

“Gli spermatozoi e gli ovuli degli uomini e delle donne che soffrono di lebbra vengono infettati e il bambino nato dalla loro unione sarà incline alla lebbra”.

Inoltre egli osserva che il kustha è il risultato delle azioni malvagie della persona:

Brahma-stri-sajjana-vadha-parasva-haranadibhih
Karmabill paparogasya prahuh kusthasya samhhavam

“Si dice che l’uccisione di un bramino, una donna o un nobile, oppure il furto degli averi degli altri ecc, sono cause della lebbra, che è una malattia che nasce dai peccati”.

Per Susruta un malato di lebbra è afflitto dalla lebbra anche nella sua prossima nascita, fino a quando se ne libera mangiando cibo salutare, mantenendo una buona condotta, curandosi adeguatamente e facendo penitenza.

In un passaggio si riferisce anche alla natura contagiosa della malattia:

rasangad gatrasamsparsan nisvasat sahabhojanat
Sahayyasanaccapi vastramalyanulepanat
Kustham jvarasca sosasca netrabhisyanda eva ca
Aupasargikarogasca sankramanti naran naram

“Lebbra, febbre, consunzione, malattie degli occhi e altre malattie infettive si diffondono da una persona all’altra attraverso l’unione sessuale, il contatto fisico, il mangiare insieme, dormire insieme, sedersi vicino, e attraverso l’utilizzo, degli stessi vestiti e monili”.

Nella medicina ayurvedica indiana la lebbra viene trattata con l’applicazione di vari oli vegetali, come l’olio di Chaulmoogra, usato per centinaia di anni fino alla metà degli anni ’40, nonostante l’efficacia di tali medicamenti non sia mai stata stabilita. La terapia moderna prevede il trattamento con solfoni e ulteriori progressi sono stati fatti nel trattamento della lebbra, che non rimane più una malattia incurabile se adeguatamente trattata nelle sue fasi iniziali.

Questo studio (Leprosy in Ancient India) è stato presentato inizialmente in un simposio internazionale tenuto presso l’Institut Pasteur il 4-5 settembre 1981, sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Société Française de Microbiologie.

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