«Eliezer Ben-Yehuda tentò di ridar vita a una lingua che non era mai stata dimenticata ma che era evidentemente inadatta a un uso moderno […]. Svolse un grande lavoro di lessicografo, e volle dare personalmente l’esempio: in casa sua si sarebbe parlato solo ebraico. Non è un caso che, per lunghi anni, i coniugi Ben-Yehuda fossero costretti a ridurre notevolmente il loro vocabolario. […] Il malcapitato figlio di un padre così ostinato fece le spese di questa strana afasia familiare: fino all’età di quattro anni ebbe uno sviluppo verbale così limitato che si cominciò a temere un suo ritardo mentale (curiosa smentita alle teorie medievali dell’ebraico come lingua spontanea dell’umanità!). Poi gli si parlò in altre lingue, e la cosa si aggiustò»
(A. Guetta, “Una scrittura ebraica, un’esistenza europea”, in D. Vogel, Davanti al mare, 1932, E/O, Roma, 1998, p. 130).