Ha fatto discutere, a metà 2019, il caso di Denis Lisov, cittadino russo emigrato in Svezia che ha chiesto asilo politico alla Polonia dopo esser dovuto fuggire dal Paese ospitante. La storia è tanto semplice quanto sconcertante: nel 2017 la moglie di Lisov viene ricoverata per schizofrenia e le autorità svedesi stabiliscono che il padre non è in grado di far fronte al mantenimento delle tre figlie Alisa, Serafima e Sofia, di 4, 6 e 12 anni. A quel punto le bambine vengono prelevate con la forza dalla loro casa e affidate a una famiglia di origine libanese, eventualità che inquieta profondamente il padre, soprattutto per la marcata connotazione religiosa (islamica) degli affidatari.
A quel punto Lisov decide di ritornare in Russia, ma per farlo deve fare scalo a Varsavia. Nell’aprile 2019 prende un aereo con le tre figlie ma viene bloccato all’aeroporto della capitale polacca in seguito al mandato d’arresto emesso da Stoccolma. Inizia il processo e il giudice Dariusz Łubowski riconosce a Lisov il diritto di poter tornare in patria, stigmatizzando l’atteggiamento delle autorità svedesi, che a suo parere hanno “violato le libertà e i diritti umani del cittadino Denis Lisov”.
Nella sentenza Łubowski ha stabilito che le autorità svedesi hanno portato via i tre figli del signor Lisov in maniera indebita, sulla base della “sola malattia mentale della madre, che è stata poi ricoverata”. Il giudice ha anche affermato che la malattia mentale della madre ha ostacolato l’esecuzione della potestà genitoriale ed “era collegata ai limiti di espressione della propria volontà da parte del secondo genitore”.
Secondo il parere di uno psicologo, le figlie sono molto legate al padre e vogliono vivere con lui. “Non si sentivano al sicuro nella famiglia affidataria, il che avrebbe potuto aumentare il loro stress e creare ulteriori problemi”, ha sentenziato il giudice polacco, aggiungendo che “le azioni delle autorità svedesi hanno ignorato palesemente la sensibilità dei bambini provenienti da una famiglia russo-europea“.
Qualora estradato in Svezia, Denis Lisov avrebbe rischiato quattro anni di carcere. “Sono molto soddisfatto di questo verdetto. Abbiamo salvato una famiglia. Lisov è un padre, non un criminale. Tutti in Polonia, dalla procura alla polizia fino alle guardie di frontiera erano contrarie alla separazione della famiglia e non hanno consentito che accadesse”, ha ringraziato il suo avvocato. In effetti è poi emerso un particolare inquietante: all’aeroporto erano presenti uomini dei servizi svedesi che hanno cercato di portar via il padre con le figlie, impediti solo dall’intervento delle forze dell’ordine polacche.
Alla fine del 2019 Denis Lisov è tornato in Russia e ha scritto una lettera di ringraziamento alle autorità polacche: “Sono profondamente grato di aver ricevuto aiuto da così tanti meravigliosi cittadini del vostro Paese”, ha sottolineato.