L’unica cosa che possiamo dire con certezza su quanto sta accadendo in Catalogna è che tutto ciò passerà alla storia come la crisi costituzionale della Spagna moderna per eccellenza: il che significa sostanzialmente che per risanare le ferite non basterà appellarsi a un pezzo di carta (o che come minimo bisognerà sostituirlo con un altro).
Nelle ultime settimane anche qui si è discusso a lungo sui torti e le ragioni di entrambe le parti, giungendo alla patetica conclusione che ormai l’unica cosa da augurarsi è che vinca il migliore. Certo, sarebbe necessario aver bene presente quale sia la “bontà” a cui ci si richiama, perché la situazione pare irrimediabilmente compromessa e non si scorgono molte possibilità di rifarsi a una qualsivoglia “legittimità” (costituzionale, democratica o politica).
Non per questo tuttavia bisogna abbandonare la speranza di una mediazione o, per meglio dire, della mediazione, intesa come bene in se stesso: perché, alla fine, ciò che veramente conta non sono i soggetti che parteciperanno a tale mediazione, ma solo che essa abbia effettivamente luogo.
È doveroso osservare come finora nessuno si preso l’onere di mediare tra Spagna e Catalogna: non l’Unione Europea, la quale ha difeso lo status quo con l’ottusità tipica delle istituzioni ignare del loro prossimo tramonto; non il Vaticano, che ha assunto una posizione clamorosamente defilata quando invece questa era forse l’unica crisi internazionale in cui l’attuale Pontefice avrebbe potuto legittimamente intervenire; non gli Stati Uniti, troppo impegnati a combattere una guerra civile a bassa intensità ma anche piuttosto scettici, su entrambi gli schieramenti, riguardo al futuro di questa Unione.
Ecco perché (veniamo al punto) è necessario farsi un’idea della proiezione internazionale di cui una Repubblica Catalana potrebbe godere. In primo luogo, ci sono gli endorsement giunti ancor prima della dichiarazione d’indipendenza da parte di Venezuela e Corea del Nord, che si inseriscono però nella “strategia dell’insolenza” messa in atto dai due Stati verso le grandi potenze (tale iniziativa lascia in effetti il tempo che trova).
Diverso invece il caso della Slovenia, con la quale l’attuale classe dirigente catalana ha importanti legami diplomatici (e che a quanto pare rimane in disparte per motivi opposti a quelli vaticani): tuttavia, va riconosciuta, in onore al realismo, l’impossibilità che uno Stato satellite dia sulla voce ai suoi “padroni”. Lo stesso discorso vale per le formazioni separatiste già disposte a riconoscere il nuovo Stato, poiché è chiaro che fiamminghi, scozzesi, corsi e lapponi non possono offrire alcun sostegno concreto senza passare per le rispettive nazioni d’appartenenza.
Più complessa, infine, l’entrata in scena dell’Ossezia del Sud, la repubblica caucasica sulla quale molti hanno indebitamente ironizzato, dimenticando che dietro di esse c’è nientedimeno che Mosca. La Russia infatti, seppur ferocissima contro i propri separatismi, è tollerante e benevola con quelli altrui: negli ultimi anni la destabilizzazione è diventata addirittura un pilastro della politica estera putiniana, come si è potuto apprezzare non solo nel Caucaso, ma anche nell’Europa dell’Est e in Medio Oriente.
Non che qui si voglia alimentare la paranoia sugli “hacker del Cremlino” che ha contagiato le democrazie occidentali, ma in tal caso sarebbe ingenuo credere che la delegazione osseta (capitanata dall’“ambasciatore” Dimitrij Medojev) appena tornata da Barcellona non sia stata accompagnata da elementi dell’intelligence russa.
Per concludere in accordo con l’impostazione che ci siamo dati, lo scenario appena evocato, pur suscitando la repulsione di chi vede la Russia come una perenne minaccia per l’Europa, rappresenta comunque un indiretto riconoscimento dell’importanza della mediazione: anche in politica natura non facit saltus, e dunque laddove l’incapacità e la miopia dei politici distruggono gli spazi di composizione dei conflitti, ecco che la “natura” se li ricrea da sola.
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L’única cosa que podem dir amb certesa sobre el que està succeint a Catalunya, és que tot passarà a la història com la crisi constitucional per excel·lència de l’Espanya moderna, que bàsicament vol dir que per curar les ferides no n’hi ha prou de confiar en un full de paper (almenys cal substituir-lo per un altre).
Al llarg d’aquesta crisi, el que falta és principalment la mediació. De fet, s’ha d’assenyalar que fins al moment ningú es va fer responsable de mediar entre Espanya i Catalunya: no la Unió Europea, que ha defensat l’status quo amb la poca traça típica de les institucions a prop de la fi; no el Vaticà, que ha pres un rol de baix nivell, quan en realitat aquesta era una de les poques crisis internacionals en què Papa Francesc podria intervenir legítimament; no els Estats Units, ocupats a lluitar en una guerra civil de baixa intensitat però també bastant escèptic, en ambdós costats, sobre el futur d’aquesta Unió.
És per això que necessiteu tenir una idea de la projecció internacional que una República Catalana podria gaudir. En primer lloc, hi ha suport de Veneçuela i Corea del Nord, però encaixa en la “estratègia d’insolència” que els dos estats han adoptat cap a les grans potències.
Un cas diferent és en canvi representat per Eslovènia, amb la qual la classe dirigent català té importants vincles diplomàtics: però s’ha de reconèixer, en honor al realisme, la impossibilitat que un estat satèl·lit pot resistir als seus “mestres”. El mateix passa amb els grups separatistes ja disposats a reconèixer el nou Estat català, perquè flamencs, escocesa, corsos i lapons no pot oferir cap suport concret sense haver de passar a través de les seves nacions.
Més complex, per fi, l’entrada en l’escena de Abkhàzia i Ossètia del Sud, les dues repúbliques del Caucas respecte dels quals molts han fet broma, oblidant que darrere d’ells hi ha Moscou.
Rússia, de fet, és ferotge contra els seus propis moviments separatistes, però és tolerant amb les dels altres: en els últims anys la desestabilitzaciós’ha convertit fins i tot en un pilar de la política exterior de Putin, com s’ha observat al Caucas, Europa de l’Est i Orient Mitjà.
He llegit que a Barcelona «una oficina de representació del Ministeri d’Afers Exteriors d’Ossètia del Sud va ser inaugurada per Dimitrij Medojev», un dels homes de Putin que va afirmar que «el poble d’Ossètia del Sud va fer passos polítics fatídics similars en el camí cap a la formació de l’estat propi».
L’escenari evocat, tot i que podria provocar la repulsió dels que veuen a Rússia com una amenaça perenne per a Europa, no obstant això representa un reconeixement indirecte de la importància de la mediació: fins i tot, també en la política natura non facit saltus, de manera que si la incapacitat i la miopia dels polítics destrueixen els espais de resolució de conflictes, la “natura” els recrea per si sola.