“Remigrazione” è un concetto che nasce in ambito tedesco (dunque, anche se sembra un anglismo, è tecnicamente un germanismo: Remigration), e trova tra i principali teorizzatori il giovane intellettuale austriaco Martin Sellner, esponente di spicco della Neue Rechte perseguitato per le proprie opinioni (nel marzo scorso è stato arrestato e poi rilasciato per aver tenuto un discorso in Svizzera, e attualmente gli è vietato l’ingresso in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Germania).
Sellner affronta la questione con un approccio decisamente pragmatico, raccogliendo diversi esempi storici nel suo recentissimo volume Remigration: Ein Vorschlag (“Remigrazione. Una proposta”), pressoché introvabile anche online. Tra i casi da egli analizzati, ci sono quelli delle Figi e della Germania stessa.
Per quanto concerne l’arcipelago del Sud Pacifico, l’Autore risale alla seconda metà del secolo scorso, quando le popolazioni indigene figiane erano già una minoranza rispetto ai discendenti degli indiani portati in massa dai coloni inglesi per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. Gli abitanti di origine indiana non solo non si erano in alcun modo assimilati agli usi e costumi locali, ma al contrario avevano costruito una società parallela e creato persino i loro partiti politici.
La goccia che fece traboccare il vaso nel sistema figiano fu l’elezione del primo ministro Timoci Bavadra nel 1987, che portò a un doppio golpe militare con destituzione di Elisabetta II come regina dell’arciplego e proclamazione della Repubblica. Le motivazioni per cui il colonnello Sitiveni Rabuka intervenne per deporre un governo democraticamente eletto furono esplicitamente legate al timore di discriminazioni delle popolazioni indigene delle isole. Da lì in poi la politica figiana avviò un programma di remigrazione favorendo il rimpatrio degli indiani tramite incentivi economici.
Come osserva Martin Sellner,
«Circa trent’anni dopo i figiani sono tornati a rappresentare la maggioranza nel proprio Paese. Alcuni indiani sono rimasti, ma non rappresentano una minaccia. La cultura indiana è unica nel suo genere, così come quella figiana. In che modo il mondo si sarebbe arricchito se i 1.425.776.000 abitanti dell’India avessero “inghiottito” i 929.766 Fijiani? La remigrazione degli indiani dalle Fiji, oltre a essere moralmente giustificata, è stata legalmente e “logisticamente” possibile. Non ci sono stati genocidi o pogrom. Perché questo non dovrebbe essere possibile in Europa? A differenza degli industriosi e pacifici indiani (alcuni dei quali erano più prolifici dei figiani), i migranti dalle nostre parti rappresentano soprattutto un peso economico».
Il “caso tedesco” di cui parla l’Autore è meno eclatante ma comunque degno di menzione, e si riferisce alla famigerata Rückkehrhilfegesetz, la “legge sull’assistenza al ritorno” promulgata nel 1983 per favorire il rimpatrio degli stranieri disoccupati dalla Repubblica Federale Tedesca. Rivolta essenzialmente alla comunità turca, l’iniziativa prevedeva un bonus una tantum di 10.500 marchi con un’aggiunta 1.500 marchi per ogni figlio minorenne che gli immigrati si sarebbero riportati al Paese d’origine.
Circa 150.000 stranieri accettarono l’accordo, e il 29 ottobre 1990 la Corte Costituzionale tedesca stabilì che tutti coloro che avevano ottenuto incentivi al ritorno erano “esclusi per legge dalla residenza permanente”, ovvero non potevano più ritornare in Germania. Il primo promotore della legge, l’allora cancelliere Helmut Kohl, dichiarò apertamente l’intento di “sbarazzarsi della metà dei turchi” presenti in Germania. Sellner nota con amara ironia come egli, per aver solo ipotizzato l’idea di una nuova remigrazione, sia diventato un perseguitato politico.