La Regina in lilla: Bergoglio si era pure “venduto” agli inglesi?

Molti, in questi giorni, hanno avuto modo di ironizzare sulle presunte capacità iettatorie di J.D. Vance, in quanto ultimo politico ad aver incontrato Papa Francesco prima del trapasso. A parte che, a dirla tutta, Bergoglio in quella stessa giornata aveva ricevuto dopo il vicepresidente americano anche il presidente croato Andrej Plenković, tuttavia non bisogna dimenticare che in piena convalescenza Bergoglio volle accogliere a tutti i costi il Re d’Inghilterra Carlo III, che considerare più benaugurante di uno come Vance è quanto meno ridicolo.

Ad ogni modo, non è tanto di sfighe minori che vorrei parlare, quanto di una sfiga più grande, ovvero il Magistero di Bergoglio in sé, proprio partendo dalla sconveniente simpatia che egli ha dimostrato verso la corona inglese. Io capisco che il fallimento sia il destino di ogni rivoluzionario, ma Francesco all’inizio del suo pontificato era stato presentato dalla stampa ispanofona come El Papa Malvinero, considerando le sue frequenti rivendicazioni delle Falkland come terra argentina “bagnata dal sangue dei nostri martiri”.

I media della nazione sudamericana hanno continuato a sognare un Vaticano che grazie alla presenza del Papa Pampero avrebbe cambiato di neutralità riguardo la questione in favore di Buenos Aires. In effetti nel 2010 le sue parole da arcivescovo della capitale argentina avevano suscitato una ferma reazione dell’allora premier britannico David Cameron (mentre invece la Kirchner si era schierata a favore di quello che all’epoca veniva presentato come suo “acerimmo nemico”).

Tuttavia, come per altre faccende riguardanti il bergoglismo, la montagna ha partorito il topolino. O anche peggio, se pensiamo che Papa Francesco sembra aver mostrato una benevolenza verso il Regno Unito ben più marcata di quella tenuta da Giovanni Paolo II con la politica di appeasement.

Lo dimostra un “dettaglio” che tale non è, considerando il rispetto ai limiti dell’esoterico che la monarchia inglese ha per il simbolismo (e il “diavolo”, del resto, si nasconde proprio nei dettagli), ovvero la storica rottura di protocollo di cui fu protagonista Elisabetta II durante la sua prima visita del 3 aprile 2014 (nemmeno un mese dopo l’insediamento di Bergoglio).

Per comprendere a cosa mi sto riferendo, bisogna ricordare che un reale inglese viene ricevuto da un Pontefice cattolico in primis come Governatore Supremo della Chiesa d’Inghilterra, cioè sostanzialmente come un omologo dal punto di vista religioso. E, da tale prospettiva, se il sovrano è donna il protocollo impone che essa debba essere vestita interamente di nero per testimoniare la rottura secolare avvenuta con lo scisma di Enrico VIII (peraltro il “codice” vale anche per le donne che ricoprono una carica politica, come Margaret Thatcher). Il dato si può constatare con una semplice galleria di immagini.

Vediamo, per esempio che sia nel 1980 che nel 2000 l’allora Regina vestiva ancora di nero al cospetto di Giovanni Paolo II:

Tornando indietro nel tempo, possiamo vederla rispettare il protocollo nel 1961 con Giovanni XXIII:

e nel 1951 con Pio XII:

Lo stesso valeva per Regina Madre nel 1959:

E così Diana, Principessa del Galles, nel 1985:

Nonché, come si è appena ricordato, Margaret Thatcher, in nero di fronte a Paolo VI nel 1977:

e a Giovanni Paolo II nel 1980:

e pure a Benedetto XVI nel 2009 (nonostante fosse da anni in “pensione”):

Il fatto che il dress code sia cambiato proprio con Papa Francesco non può essere di certo attribuito a uno sghiribizzo muliebre di Elisabetta II! E a nulla vale che l’attuale Regina Consorte, la famigerata Camilla, si sia presentata all’ultima visita in nero, perché comunque la tradizione era già stata interrotta da una personalità femminile obiettivamente più importante dalla prospettiva della Casata dei Windsor.

Io penso che il segnale riguardasse soprattutto le speranze (o le illusioni, perché come detto siamo sempre in ambito di bergoglismo) conferite dall’ecumenismo spinto di Papa Francesco, che dalla prospettiva anglicana pareva volesse persino riconoscere a Sua Maestà il titolo di governatore di una “Chiesa sorella” e non semplicemente di una “comunità ecclesiale” (cioè una non-chiesa), al contrario di quanto il Cardinal Ratzinger affermava nel 2000 (Domini Iesus) e aveva confermato come Benedetto XVI nel 2007:

«…Non si vede, d’altra parte, come a tali Comunità possa essere attribuito il titolo di “Chiesa”, dal momento che non accettano il concetto teologico di Chiesa in senso cattolico e mancano di elementi considerati essenziali dalla Chiesa cattolica.
Occorre, comunque, ricordare che dette Comunità, come tali, per i diversi elementi di santificazione e di verità in esse realmente presenti, hanno indubbiamente un carattere ecclesiale e un conseguente valore salvifico».

Nell’epoca insostenibile caratterizza dallo stretto rapporto tra il “Vescovo di Roma” e l’apparato mediatico c’era qualche prelato che aveva addirittura intravisto la possibilità di un riconoscimento della validità degli ordini anglicani e di un vero episcopato nella successione apostolica o, addirittura, anche di una Eucarestia condivisa.

Per fortuna dei fedeli cattolici non se n’è fatto nulla, specialmente in un contesto dove le varie confessioni protestanti dell’anglosfera stanno registrando un dissanguamento di seguaci proprio in favore di Roma, soprattutto nel Regno Unito dove le ultime statistiche (2024-2025) parlano di un “sorpasso” dei cattolici rispetto agli anglicani, che allo stato attuale si pongono come prima confessione cristiana dei sudditi inglesi.

Queste possono essere, è vero, tutte suggestioni, ma se anche i successivi pontefici vorranno continuare a recitare il teatrino del “dialogo” e delle “aperture”, allora tale patrimonio conquistato in virtù di innumerevoli fattori (molti dei quali, va detto, nel bene e nel male indipendenti da Roma), verrà quasi sicuramente sprecato nell’ennesima rincorsa a quello “Spirito del Concilio” che ha ormai trasformato il Vaticano in una “casa infestata” dagli spettri di un ecumenismo insensato. A meno che anche il prossimo Papa non voglia cocciutamente cercare il dialogo con una “Chiesa” che esiste solo sulla carta, magari riducendo anche la propria Casa al nulla di una religiosità neutrale e insapore.

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