La retorica partigiana, appropriazione indebita delle “origini violente”

Come ogni anno dal 1946 a questa parte gli italiani sono costretti a commemorare la brutalità della guerra civile sul cui sangue versato si è costituita la “Costituzione più bella del mondo” in una lunga “Settimana Santa” (dal 25 aprile al 1° maggio) che si esprime in iniziative sempre più folkloristiche nel loro anacronismo, le quali al contempo hanno dalla loro la forza pressoché inesauribile del Vae Victis.

Partiamo allora proprio dal “testo sacro” dell’antifascismo: la Costituzione. In essa i “Padri” provarono con un minimo di lungimiranza a nominare il fascismo solo nella fatidica XII disposizione transitoria, proprio per evitare che il “divieto di riorganizzazione” si trasformasse in dogma e consentisse di chiudere nel più breve tempo possibile l’epoca dei rancori e delle faide.

In tale prospettiva rientra l’altrettanto famigerata “Amnistia Togliatti” che simboleggia un accordo tra le parti verso un antifascismo che non si sclerotizzasse in semplice negazione ma venisse ad assumere un carattere di valore universale tramite la diversificazione dei poteri, la composizione pluripartitica e l’espansione moderata del metodo democratico nell’ambito della “macchina” governativa.

Purtroppo la storia non procede in maniera “magnifica e progressiva”, e quel che ne è risultato è una liturgia funebre basata solo ed esclusivamente sull’oltraggio perpetuo al corpo del re, messo a testa in giù e sfregiato non tanto dalla plebe oppressa in cerca di riscatto, quanto dai soldati americani della V Armata Alleata che ordinarono ai partigiani di issare il cadavere di Mussolini per farlo riprendere dalle telecamere, gesto che ha portato poi allo spappolamento del volto del Duce.

Anche un dettaglio trascurabile come questo può illuminare sul perché non si è mai riuscito a ripulire la Costituzione dagli schizzi di sangue: l’epopea partigiana ancora oggi rifiuta di riconoscere il ruolo degli eserciti nemici raccontandosi la favola del “Nonno Arturo” che con uno schioppo ottocentesco rubato da un fienile riuscì a far piazza pulita dei nazi-fascisti.

Ecco perché il nostro antifascismo è non solo un’ottusa replica della distinzione amico-nemico di marca schmittiana, ma addirittura assume caratteri prettamente girardiani nel suo occultamento della violenza originaria in una versione piuttosto grezza, quasi da cavernicoli, della “macchina mitologica” che lungi dal marginalizzare o eliminare l’omicidio fondativo del nuovo ordine lo continua a riproporre come matrice mitopoietica.

Per tale motivo, qualsiasi dibattito a “sinistra” sulla questione della violenza politica negli ultimi settant’anni (o anche ottanta, a questo punto…) o si è risolto in una carnevalata, oppure ha contribuito indirettamente (o meno) ad alimentare nuove guerre civili combattute con altri mezzi.

Non sfugga, solo per fare un esempio, come a venticinque anni dalla soppressione di qualsiasi “Brigata Nera”, nacquero quelle “Brigate Rosse” a esprimere il più sciatto dei mimetismi, la cui “sete di sangue” era talmente scontata da poter essere adottata persino da un gruppo di ultras milanisti, le note “Brigate Rossonere” che come ideologia di riferimento potevano avere eventualmente il neotribalismo.

Ora, dopo la lunga premessa veniamo infine al punto fondamentale: la violenza umana va repressa, controllata e, se è proprio necessario, sublimata. La nostra specie ha impiegato secoli, o millenni, o addirittura ere, per incardinarla in un sistema che non la portasse all’estinzione. Per tale motivo l’umano ha sempre avuto una mentalità “conservatrice” in ambito politico, perché l’attaccamento a rituali, simboli e feticci è necessario a celare l’orrore di un’origine indicibile ed illegittimabile.

Il fascismo a livello storico è stato probabilmente l’ultimo precipitato dell’epoca delle rivoluzioni in cui gli Spartachi e i Bruti mascherati da filantropi promettevano la fine di ogni violenza, salvo poi riproporla in termini più osceni e disumanizzanti. La crisi mimetica con l’antifascismo è perciò comprensibile, anche se non giustificabile nel momento in cui almeno a livello ideologico la dottrina mussoliniana era costretta, volente o nolente, a integrare elementi “tradizionali” nel proprio apparato di potere.

Alla barricata opposta (la tentazione è dire “curva”, ma non scadiamo nell’italofobia dei liberali alle vongole), c’è invece chi non è mai riuscito a produrre un sistema in grado di emanciparsi dalle origini violente. E badate che non sono grandi discorsi, perché giusto per uscire dai filosofemi, la questione in realtà è piuttosto banale: al giorno d’oggi, qual è l’ideologia che potrebbe affidarsi da un momento all’altro alla violenza per raggiungere i propri scopi?

Facile svicolare paragonando il “monopolio della violenza” al terrorismo, ma è proprio questo il fulcro della questione: qualsiasi proposta politica basata sul “mito partigiano” non potrà che produrre un mosaico sgangherato di schegge impazzite, gruppetti extraparlamentari e bombaroli dell’ultima ora. Del resto, tale tendenza la si evince dalla varietà (o diversità?) della creatura che potrebbe trasformarsi in “soggetto politico”: il proletario (almeno fino agli anni ’80 del secolo scorso..), il vandalo, l’ultras, il maranza, l’omosessuale, l’obeso, l’alienato (in senso di “ritardato mentale” come ne L’Agente Segreto di Joseph Conrad) eccetera eccetera.

Praticamente lo stesso parterre de roi che si può ammirare in ogni Concertone del 1° Maggio. Identità fluide, istanze minoritarie e microidelogie che giocano con gli archetipi come un bambino scherza col fuoco, in una forma paralitica di autorappresentazione, che se riconoscesse il proprio riflesso speculare nei meccanismi che pretende di combattere si scioglierebbe come neve al sole.

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3 thoughts on “La retorica partigiana, appropriazione indebita delle “origini violente”

  1. Fino al trionfo di Cesare su Pompeo, peraltro visto come nefasto dai suoi concittadini, era tradizione non festeggiare le vittorie nelle guerre civili. L’Italia postbellica invece non trova niente di meglio da fare che festeggiare la vittoria degli imboscati (appaltata agli invasori anglo-americani) nella guerra civile del 1943-45. Ma tanto ormai dove è finita l’Italia? Appena è arrivato il bel tempo, in giro per i paesi della Lombardia si vedono solo immigrati, sempre e solo loro…

  2. La Storia è Morte.
    La Memoria è Morte.
    Ha creato un Futuro di Morte.
    La Storia per completare il suo senso, la sua fine dichiarata non ha nient’altro che attuare il cupio dissolvi, la disintegrazione e cannibalizzazione.
    La Memoria oltre a essere divenuta una cantilena lugubre, è un ergastolo dove non c’è via di uscita, se non quella della nemesi purificatrice di noi attori (e carnefici) che hanno sfidato e attentato alla linea retta decisa della Storia. Siamo colpevoli per la Storia/Memoria di “Esserci” ancora.
    Non voglio dare l’idea di essere così criptico in questo frangente, ma leggendo tra le righe si può capire qual’è il punto focale a cui si deve imporre l’attenzione.
    Qual’è il Vero Senso della Storia.
    Meditate gente

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