La rivalità mimetica tra messianismo ebraico e islamico

Come sapete, sto cercando di portare in Italia le tesi sull’islam del curato francese Édouard-Marie Gallez, che interpreta la religione maomettana come una sorta di “eresia” ebraica derivata da una setta nota come “giudeo-nazarena” (la quale riconosceva Gesù come Profeta ma non come Figlio di Dio, e attendeva la sua seconda venuta).

Padre Gallez: l’islam non esiste

Alcuni lettori mi hanno segnalato altri autori che avanzano ipotesi simili a quelle del Gallez, tra i quali spicca il nome di don Curzio Nitoglia, che oltre ad aver scritto diversi articoli sul tema lo ha anche approfondito in alcuni capitoli del volume Islam, metafisica medievale araba e filosofia moderna ebraica (Radio Spada, 2014).

Conoscevo già gli argomenti di Nitoglia, ma sinceramente non mi avevano convinto sia perché troppo indirizzati alla polemica contemporanea (per esempio riguardo agli interventi neocon in Medio Oriente o al sionismo), sia perché le sue fonti risalivano perlopiù fino ai primi anni del Novecento e trascuravano almeno mezzo secolo di studi teologici, storici e filologici.

Ad ogni modo, anche per rispetto, è giusto ricapitolare le osservazioni di don Nitoglia: in primo luogo, egli considera l’islam come la conseguenza (imprevista?) di un tentativo di “giudaizzazione dell’Arabia”, attribuito a un “rabbino della Mecca” che avrebbe dirozzato Maometto con l’ebraismo talmudico servendosi anche del tramite della prima moglie del Profeta, Khadigia, di probabile origine ebraica.

Per Nitoglia dunque il Corano originale, fondamentalmente una traduzione araba del Pentateuco, sarebbe andato perduto, e l’attuale Corano, più che un testo sacro, rappresenterebbe una sorta di raccolta di “Atti” riguardanti il proselitismo giudaico fra le tribù arabe.

La base di tali affermazioni sono i ponderosi tomi del teologo domenicano Gabriel Théry, che sotto lo pseudonimo di Hanna Zakarias (perché il suo Ordine si era rifiutato di concedergli l’Imprimatur) nella seconda metà del secolo scorso dedicò tutta la sua scienza nel dimostrare che l’islam fosse una entreprise juive, un’espressione di giudaismo post-messianico divulgata tra gli arabi da dei dotti talmudisti.

Nitoglia si rifà inoltre ad alcuni studi di intellettuali ebrei, come quello di Abraham Geiger del 1833 (proprio d’annata, quindi), Was hat Mohammed aus dem Judenthume aufgenommen?, che analizza gli elementi  veterotestamentari e rabbinici presenti nei primi testi coranici, riducendo l’islam a una religione di halakah, cioè di “precetti”.

Non voglio improvvisarmi teologo né tanto meno islamologo, tuttavia trovo che l’evidenziare qualche errore nelle ricostruzioni di Nitoglia non possa tradursi in un esercizio peregrino, nel momento in cui esse influenzano la sua visione degli eventi contemporanei, per esempio portandolo ad affermare che il conflitto arabo-israeliano trovi la sua origine esclusivamente in fattori storici e politici, dal momento che la religione ebraica e quella musulmana concorderebbero da una prospettiva teologica.

Allora, dalla prospettiva di Gallez, vediamo quali sono i principali “errori” di don Curzio Nitoglia, o  per meglio dire delle sue fonti. Partiamo dall’affermazione, all’apparenza corretta, che il cosiddetto proto-islam sia anticristiano e rifletta le dispute teologiche tra il “rabbino di Maometto” e i cristiani della Mecca.

È vero, il Corano critica il cristianesimo, in particolare la dottrina della Trinità e la divinità di Gesù. L’idea che Cristo sia figlio di Dio, cioè che Dio abbia generato un figlio rappresentano ancora una barriera insormontabile per il dialogo interreligioso tra le due fedi. I cristiani, tra le altre cose, vengono accusati di “associazione” (shirk), ovvero di aver associato a Dio altre divinità, in particolare Gesù e lo Spirito Santo (in seguito l’espressione si è allargata a indicare il politeismo).

Tuttavia, Gallez sostiene che il testo coranico sia stato manipolato in diversi punti per supportare il dogma di un islam come “rivelazione”: ad esempio, l’interpretazione del termine nasara (nazareni) come “cristiani” è considerabile un’alterazione successiva per confondere le origini proto-islamiche.

Il Corano infatti fa riferimento ai “nazareni” come un gruppo distinto dai cristiani, presentandoli quali veri seguaci di Gesù e fonte di ispirazione per i musulmani. Del resto, è un dato obiettivo che l’interpretazione coranica della figura di Cristo, per quanto ne neghi la divinità, sia assolutamente opposta a quella talmudica: già di per sé tale caratteristica dovrebbe ridurre al minimo, fino a negarla, l’influenza dell’ebraismo talmudico sulla religione islamica.

Anzi, si potrebbe dire che proprio la radice nazarena del Corano segna un ripudio netto del talmudismo: per questo nel testo sacro troviamo l’accettazione di figure come Abramo quali modelli di “sottomissione” a Dio in opposizione all’infedeltà (“perfidia”) degli ebrei. E pure Maria, la Madre di Gesù, viene esplicitamente difesa dalle ingiurie del giudaismo rabbinico.

Addirittura il Corano ha un termine preciso per gli ebrei che hanno rifiutato Cristo per il Talmud: yahud. Questi “falsi ebrei” sono accusati di non aver riconosciuto la messianicità di Gesù, di aver ucciso i profeti e di aver disubbidito a Dio. Ai cristiani sono invece riservate critiche obiettivamente meno veementi: essi hanno divinizzato un Profeta ponendolo sullo stesso piano di Allah, equivocando al contempo sia la natura dei Messaggeri che della divinità stessa.

Ci sono poi un terzo gruppo, i nazareni, che per l’appunto sono considerati i “veri figli di Israele” e che vengono considerati un modello: non sono ebrei talmudici, ma per certi versi dei “cristiani giudaizzanti”, che al pari dei musulmani odierni riconosco la natura messianica di Gesù e accettano i precetti della Torah.

Senza perderci ulteriormente in queste diatribe, si può qui apprezzare come l’accettazione acritica dell’idea che l’islam sia una forma deviata di giudaismo talmudico porti a un’interpretazione distorta sia della storia di questa religione che delle sue espressioni contemporanee.

E torniamo in conclusione al conflitto arabo-israeliano: se ci pensate bene, l’ossessione (absit iniura verbis) per Gerusalemme è caratteristica più di ebrei e musulmani che non di cristiani. La conquista della Città santa è preponderante nel Corano e rappresenta un obiettivo fondamentale per il ritorno del Messia e l’instaurazione del regno di Dio sulla Terra.

Secondo Gallez, i nazareni iniziarono a tradurre parti della Torah e passaggi di vangeli apocrifi (testi che poi sarebbero stati “sacralizzati” nel Corano), per conquistare le tribù arabe alla propria causa, la quale contemplava l’occupazione della Terra Santa allo scopo di propiziare la seconda venuta di Gesù. Tra le altre cose, i giudeo-narazareni promisero agli arabi la dominazione del mondo intero, in virtù della loro discendenza abramitica da Ismaele.

A livello storico, la “mania gerosolomitana” si registra sin dal 629 con la battaglia di Mu’ta, evento trascurato perché Maometto fu sconfitto dai bizantini (anche se il Corano ne fa un riferimento all’inizio della trentesima sura, Ar-Rûm): il Profeta e i suoi seguaci erano spinto dall’obiettivo finale di conquistare Gerusalemme, considerando soprattutto la valenza simbolica del luogo della battaglia, a sud-est del Giordano, fiume che nei tempi messianici sarebbe stato attraversato verso la Terra santa.

In questo contesto Gallez aggiunge un’ipotesi degna di nota: i bizantini non avrebbero compreso la natura teologico-politica del progetto di Maometto, riducendo l’ennesimo attacco arabo a un’espressione dell’indole nomadica di quelle popolazioni “del deserto”. Col senno di poi, la caduta di Bisanzio sembra legata alla sottovalutazione del pericolo, a sua volta causata da un’equivoco sulla natura della nuova fede che si stava espandendo in Medio Oriente.

A mio parere, comprendere come un rabbino di Tel Aviv e un imam di Baghdad non condividano la stessa “ideologia” è essenziale per interpretare l’odierno conflitto che circonda la Città Santa, frutto di una “rivalità mimetica” messianica, la quale riguarda in minima parte i cristiani, e più per questioni “materiali” che teologiche (nessun cattolico crede che la conquista di Gerusalemme possa far tornare Gesù, anzi per certi versi questa idea potrebbe configurare una sorta di “peccato”…), mentre coinvolge enormemente i musulmani ed ebrei nella misura in cui essi attendono ancora il “Figlio di Dio”.

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One thought on “La rivalità mimetica tra messianismo ebraico e islamico

  1. Un francese del cazzo, sull’imitazione ha detto tutto: più antropologo di lui, manco un virologo a Tel Aviv.

    Vaccinati a fior di fuoco, i bimbi di Gaza muoiono spappolati e nel cattivissimo gusto.

    Tasso, liberata la Città Santa, se ne andò in giro per i secoli a venire. Ma senza nessun interesse.

    Non è che…

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