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La Settimana Incel

Il 23 aprile a Toronto un venticinquenne canadese di origine armena ha investito una trentina di passanti con un furgone, uccidendone dieci: nonostante le modalità fossero le stesse di un attentato, la stampa ha inizialmente preferito derubricare la vicenda a semplice fatto di cronaca, anche alla luce dell’alterazione psichica del “terrorista” (non che gli altri siano davvero sani di mente, ma famo a capisse).

Tra le righe dei primi articoli dedicati all’episodio quasi si percepiscono i sospironi di sollievo dei redattori, che per una volta si sono risparmiati l’ennesima gincana tra “islam moderato” e “colpe dell’occidente”. Sfortunatamente, solo qualche ora dopo è spuntato “dal web” un presunto post misogino dell’attentatore, non si sa né dove (si è detto prima su Facebook, poi su… “LinkedIn”?!) né in quale occasione pubblicato. Col senno di poi, a causa del timore di apparire troppo scorretti nei confronti di un attentatore potenzialmente “islamico”, i giornalisti hanno perso l’occasione per lanciare una colossale crociata contro il maschilismo. Sia chiaro, non si sono fatti mancare nulla, ma anche le tirate più demenziali comparse nei giorni successivi ormai erano fuori tempo massimo per apparire credibili.

Prendiamo per esempio il pezzo scritto da Guido Olimpio per il “Corriere” del 25 aprile: Alek, l’introverso che odia le donne. È il nuovo terrore. Il giornalista rivela di “studiare da tempo” il fenomeno Incel, e già questa affermazione appare alquanto risibile: ma de che stamo a parlà? Praticamente è la solita sigla americana data in pasto all’opinione pubblica come se fosse antani, seguito da un’infinità di “spiegoni” senza capo né coda. Vabbè, in sostanza Incel starebbe per “celibe Involontario“, quelli che per un’infinità di motivi (ma in primo luogo la scarsa avvenenza) sono impossibilitati a trovare una donna.

Ecco, Olimpio è riuscito nell’impresa di paragonare gli Incel all’Isis, pur trovando l’onestà di ammettere che “non mancano dubbi sull’autenticità del messaggio” e che il rapporto tra l’attentatore canadese e la comunità dei Celibi Involontari sia ancora “tutto da verificare”. A posto così! Perlomeno l’inviato del “Corriere”, pur fregiandosi della qualifica di “storico degli Incel“, ha cercato di mantenere un minimo di deontologia professionale, cosa che invece altri non hanno fatto, lanciandosi in fourieristiche tassonomie sugli “sfigati che non riescono a scopare” (sic).

dal trailer di Totò e le donne (1952)

Ci vuole una incredibile dose di faccia tosta da parte della grande stampa a lanciare un’accusa collettiva contro i “misogini”, dopo che per anni ha stigmatizzato fino al delirio tale atteggiamento nel momento in cui veniva adottato nei confronti di altre categorie. D’altro canto, se il fenomeno fosse così diffuso come si tenta di far credere (al pari del terrorismo islamico), allora il conformismo avrebbe già prodotto gli alti lai contro l’androfobia (o la machofobia) e le contrite precisazioni su “tutti quei maschilisti perbene che non fanno assolutamente del male alle donne (le odiano e basta)”.

Per giunta, nel caso in questione è assurdo che il politicamente corretto imponga di dirottare il dibattito su supercazzole colossali, ignorando forse l’unico dato certo di tutta la faccenda: i problemi psichici dello stragista. Siamo perciò costretti ancora a chiederci: ma de che stamo a parlà? Nelle stesse nazioni in cui il disagio mentale regolarmente conduce a stragi (parlo ovviamente degli Stati Uniti) è interdetto qualsiasi public debate sulla questione, proprio perché i “pazzi” sono una delle tante specie protette incastonatesi, magari anche per caso, in quell’immaginario rivoluzionario che non può smettere di alimentarsi neppure nel momento in cui i suoi rappresentanti sono diventati establishment. Perciò è inevitabile che il “terrorista” sia sempre ricondotto a una categoria che non violi i dogmi delle “sensibilità” odierne e che non possa rivendicare per sé alcun vittimismo aggressivo; strano a dirsi, ma persino in un’epoca apparentemente così “tollerante” i capri espiatori sono numerosi: maschio, bianco, eterosessuale, misogino, destrorso, xenofobo, cristiano, carnivoro, fumatore ecc…

Tuttavia, a ben vedere non sarebbe nemmeno questo il problema principale, perché in fondo l’uomo è una creatura semplice e non può fare a meno di decaloghi e tabù. Il dramma è che tutto ciò che concorre a formare l’esprit du temps (politica e informazione in primis) non riesce mai a “tenere il punto” (o “la parte”) su almeno uno dei suoi principi, perché in fondo non ne riconosce nessuno. L’unico vago criterio a cui si rifà è una sorta di libertarismo “parassitario”, che distribuisce simpatie e antipatie in maniera totalmente opportunistica: è il caso, per esempio, delle sigarette, le “torce della libertà” dalle quali sostanzialmente scaturì il femminismo ma che, a partire dal nuovo millennio, si sono trasformate in un’invenzione del demonio. Non riesco a immaginare come la stampa avrebbe reagito se uno dei terroristi islamici che ha colpito l’Europa negli ultimi anni fosse stato ritrovato con una sigaretta in bocca: no, non è humor nero, ma la consapevolezza che se davvero prendessimo sul serio le favole che ci raccontiamo, la nostra civiltà non durerebbero più di un pomeriggio.

In questi anni si è parlato molto, fino allo sfinimento, di “società liquida”: l’immagine, seppur efficace, non rende pienamente il senso di un’epoca, neppure a un livello superiore di elaborazione teoretica quale è quello del suo ideatore Zygmunt Bauman, che aveva una concezione un po’ troppo “leggiadra” della flessibilità delle nostre istituzioni. L’acqua dà un’idea di fluidità e rapidità che non caratterizza in alcun modo il potere attuale; sarebbe magari il caso di ricorrere a un altro elemento: ce ne vengono in mente tanti, ma scegliamo il fango per non scadere nella volgarità. Si, questa è una società “fangosa”, o ancor meglio “fanghigliosa” (spero non sia un neologismo sennò mi cancello da internet), perché il fango ha una sua dignità ontologica e quasi metafisica (dal pantano di Eleusi alle trincee della Grande Guerra) che non meritiamo. La società fanghigliosa quindi coltiva l’illusione che il limaccio dell’ultima piena possa reggere fondamenta solide, con l’inconscia colpevolezza che alla minima fiumana tutto verrà distrutto senza pietà.

È questo, alla fin fine, il senso della Settimana Incel a cui abbiamo assistito. Ci tengo ancora a precisare che questa non è una geremiade sui “maschilisti moderati”, anzi è esattamente il contrario: alla luce delle dinamiche con cui i nostri idoli si rimpiazzano a vicenda, non vorrei che per un crudele scherzo del destino gli incel superassero gli “immigrati musulmani” nell’impenetrabile classifica dei vittimismi. Sembra impossibile, ma quando si orienta l’esistenza comune a una “liberazione” che sempre più pericolosamente coincide con l'”annichilimento”, è inevitabile che a trionfare siano gli incubi (anche in senso etimologico) peggiori.

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