Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, lamenta sulla prima pagina del suo giornale di non poter pubblicare la foto della testa mozzata del professore francese decapitato da un diciottenne ceceno per aver mostrato in classe le famose vignette di Charlie Hebdo contro Maometto. Non so sinceramente come il giornalista faccia a declinare la questione solo in termini di “censura brutta e cattiva”, anche se è difficile non ammettere che il criterio del “due pesi due misure” non venga applicato anche in ambito grandguignolesco. Mi torna in mente per esempio l’orrenda immagine dell’ambasciatore russo Andrej Karlov steso a terra mentre il suo attentatore alza il dito in segno di trionfo, premiata come “foto dell’anno” dal World Press Photo, il più importante concorso di fotogiornalismo a livello internazionale: in fondo, si trattava solo di un “lacchè di Putin” (sic), perciò è giusto celebrarne l’assassinio come “opera d’arte”. (per altre considerazioni sul tema rimando al post qui sotto, dove peraltro ricordo che Marine Le Pen venne condannata per aver pubblicato altre immagini di vittime di terrorismo, ma questa volta dell’Isis, dunque considerate dalla legge “politicamente scorrette”).
Nel caso in questione, la foto dei poveri resti di Samuel Paty è circolata immediatamente su Twitter dopo che lo stesso attentatore l’aveva postata accompagnata da una rivendicazione sgrammaticata. Chi volesse proprio vederla (ma potrebbe anche evitare, non è obbligatorio – o forse sì come vedremo), può andare a farsi un giro su /pol/ (la sezione politica del forum 4chan) e regalarsi anche il supplizio aggiuntivo dei dibattiti sulla veridicità dell’immagine nonché sull’attribuzione al professore della qualifica di “basato” o di “cuccato” (concetti di high politics che sfuggono ai non “addetti ai lavori” e che purtroppo ora non abbiamo né lo spazio né il tempo di approfondire).
Si potrebbero qui invece fare tanti bei discorsi sulla cosiddetta “pornografia bellica” che tanto appassionano i gazzettieri: peccato che siano essi stessi i primi a moraleggiare sul tema solo quando la vittima non rientra nei loro striminziti steccati ideologici. Perché la verità (non solo quella di Belpietro) è che è ammesso pubblicare immagini di una violenza inaudita, qualora utili allo “scopo”: per esempio, in un recente volume volto a esaltare la “resistenza curda” pubblicato da Longanesi si mostrano senza problemi, anzi con malcelato orgoglio, le foto dei “jihadisti” uccisi dal “nuovo partigiano” di turno. Secondo la stessa logica, le immagini delle vittime dell’Isis sarebbero invece “pornografiche”, così come lo sarebbe la foto di un italiano torturato e ucciso da un immigrato al cospetto di quella di un giovane spacciatore vittima della brutalità poliziesca.
Il “doppiopesismo” a cui accennavamo sfortunatamente è un presupposto che non si può ignorare; tuttavia, qualora ci trovassimo nel migliore dei mondi possibili e dunque la condanna valesse per qualsiasi forma di violenza esibita e spettacolarizzata, allora dovremmo osservare che la proliferazione di tale tipo di immagini non ha soltanto a che fare con i nuovi di mezzi di comunicazione o con un decadimento morale generalizzato, ma anche con un preciso modello politico, quello della trasparenza.
Il filosofo Byung-Chul Han ci aveva profeticamente messo in guardia, nel suo La società della trasparenza (2012; tr. it Nottetempo, 2014), dalla proliferazione delle istanze pubbliche di Transparenz: dietro alle esortazioni alla o-ne-stà o-ne-stà, apparentemente così innocenti e ispirate, si celava un nuovo “spazio depoliticizzato” che faceva della pornografia il nuovo paradigma della vita collettiva. Han parlava apertamente del Partito-Pirata, “partito d’opinione e senza colore” che avrebbe introdotto anche livello politico l’obbligo di esposizione già adottato dal mercato (“L’invisibile non esiste perché non produce alcun valore di esposizione, alcun interesse”). Tutto deve essere consegnato all’iper-visibilità, che fa il pari con l’iper-creatività, l’iper-produzione e l’iper-comunicazione: l’oscenità diventa regola del politico e la teatralizzazione si rivela l’ultimo passo verso il Panopticon universale, dove “non ci sarà più alcun esterno”, alcun negativo, alcun mystérion né arcana imperii (la cui “rivelazione” per Carl Schmitt avrebbe rappresentato l’apocalisse del politico).
Ecco perché adesso sembra quasi “normale” sbattere in prima pagina una testa mozzata: non tanto questione di assuefazione o desensibilizzazione, quanto di ingresso in un nuovo ordine di cose e di idee. Un ordine che, come vediamo, risente però ancora di quegli spettri del politico che Byung-Chul Han ha candidamente sottovalutato, credendo che in esso non potesse più valere la logica del “più uguali degli altri”. Invece è palese che anche la “trasparenza” sia suscettibile di strumentalizzazione: altrimenti non si spiegherebbe perché uno come Belpietro venga regolarmente deferito all’ordine dei giornalisti per “pornografia”, mentre, per fare un esempio al caso, non un solo dubbio sia stato sollevato in occasione della pubblicazione in prima pagina delle foto del cadavere di quel giovane geometra romano che nel 2009 morì durante la custodia cautelare. In nome della “buona causa” c’è sempre chi è più pornografico degli altri.